Sembrano davvero “La strana coppia” del film di Billy Wilder. Lui, per quindici edizioni affezionata presenza a Festivaletteratura, lei per la prima volta a Mantova. Lui sprizza simpatia e ironia di narratore, lei dispensa sorrisi e rigore giornalistico. Beppe Severgini balza sul palco: «Questo è il festival più bello d’Europa. Lo sapete, no? Come direbbero a Pegognaga (risata del pubblico), ladies and gentlemen: Lilli Gruber». La quale, divertita, si presta al gioco di un ingresso da star. Si percepisce che i due siano grandi amici. «Tu hai avuto la maglietta? La mia – dice Servegnini – è una small, quella di Lucarelli è extra large. Sospetto sia una valutazione letteraria». Amenità prima di entrare in argomento.
La giornalista, conduttrice da quasi un decennio del programma televisivo “Otto e mezzo”, da qualche anno si dedica a compiere ricerche sulla sua terra natale, il Sudtirolo, partendo dall’impero austroungarico fino a giungere al fascismo e al dopo guerra. Il lavoro è sfociato nella saga di “Eredità”, “Tempesta” e del terzo ultimo nato, “Inganno”. Un libro impregnato di storia, spiega Severgnini, a metà tra il reportage e la narrazione. In “Inganno”, puntualizza Gruber, ho indagato con gli occhi della storia un passato complicato, non solo del Sudtirolo, ma una memoria collettiva. Parlo delle bombe in Alto Adige e dei dinamitardi degli anni Sessanta. Cercando negli archivi e incontrando i testimoni mi sono resa conto che questa terra era un cuscinetto tra Italia, Europa, URSS e servizi segreti deviati. Parlo della cosiddetta notte dei fuochi del 61, quando fecero cadere i tralicci. Si presentavano come difensori dell’identità tirolese contro lo Stato italiano, che non rispettava le regole europee che dettavano una forte autonomia per le minoranze linguistiche. Poi, indagando, sono venuti fuori gli infiltrati dei servizi segreti USA, che avevano militarizzato la zona per stoccarvi armi nucleari.
Ho usato il metodo della narrazione, della fiction, e ho sondato la psicologia di quei protagonisti, con l’aiuto di mio marito, il giornalista francese Jaques Charmelot, e con la collaborazione di altri ricercatori, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Questa zona, un pezzo di Italia e una frontiera del Brennero, è cruciale ancor oggi.
Quelli tra i Cinquanta e i Sessanta erano gli anni della CIA, prosegue Gruber, del lavoro degli uomini americani nel dopoguerra. Dal 47 in poi gli americani erano certi che i sovietici avrebbero invaso l’occidente. Pensavano che i sovietici sarebbero passati attraverso la Cecoslovacchia e l’Ungheria e sarebbero entrati dal Brennero. E pensavano di fermarli con le armi nucleari. A Naz e Sciaves, due paesini della Pusteria, c’era una base militare Nato dove in quegli anni venivano stoccate armi nucleari. Quelle in Veneto e Friuli, a Ghedi e Aviano, erano ufficiali, ma di queste altre non si parlava. L’Italia aveva il più forte partito comunista di allora. A Naz Sciaves si vede un paesaggio idilliaco, invece ci sono due bunker, oggi dismessi, dove organizzano concerti e vorrebbero fare un museo della guerra fredda. Anche ora i locali negano informazioni, con l’intenzione di proteggere il turismo da questa brutta fama. Noi abbiamo percepito la situazione molto più tardi: negli anni 60 gli americani volevano far diventare l’Alto Adige un campo di battaglia nucleare. C’erano bombe del quadruplo della potenza di quella di Hiroshima.
L’irredentismo tirolese, i “combattenti della libertà” come si chiamavano loro, erano ex combattenti dell’esercito nazista, come il “martellatore” della Valle Passiria. Persone con conoscenza di tecniche militari e di armi. Poi agricoltori, contadini, artigiani: uscivano dalla guerra e c’era una forte povertà. Lo Stato aveva mandato nelle fabbriche dell’Alto Adige migliaia di lavoratori dal Sud, per italianizzare la zona. Quindi i sudtirolesi, dopo i nazisti, si sono ritrovati con uno Stato italiano che non rispettava la tutela della minoranza etnico-linguistica. Questo generò grande malcontento. Teste calde, sognatori, idealisti, disoccupati: fu facile arruolare combattenti. Durante i primi anni del terrorismo sudtirolese non ci furono vittime umane, se non una, per sbaglio. Dopo il 64 le cose cambiarono. Avevano come obiettivo i simboli e gli uomini dello Stato. C’erano molti infiltrati, sia dei servizi americani che italiani, e gente della Wehrmacht. Gli americani e la CIA infiltravano tramite i tirolesi del nord, che dovevano rendere la situazione esplosiva, per poi militarizzare la zona, come è avvenuto, afferma Gruber. È quello che è stato scoperto anni dopo, con Gladio: la CIA aveva disseminato in punti cruciali dei luoghi segreti per far fronte all’invasione sovietica e a qualsiasi tipo di emergenza.
Interviene Beppe Severgnini: questo libro non è la narrazione italiana né austriaca, né sudtirolese, né americana. È la storia narrativa di una brava giornalista. È un fictionage, un fiction reportage. E ci sono scene di sesso!
Fra i tre personaggi di fantasia, risponde Gruber, uno appartiene ai servizi segreti, mandato in Sudtirolo per mantenere l’ordine o per provocare disordine, a seconda di cosa fosse più utile. C’è Clara, una giovane donna curiosa e temeraria, che non vuole essere una pedina in mano ad altri ma vuole essere lei a dettare il gioco. E si innamora di Peter. È la storia della gioventù, di quando si è motivati da ideali e si vuole agire. Oggi certi ragazzi dicono che siamo in guerra, ma usano questa parola in modo superficiale, senza sapere come siano davvero le conseguenze di una guerra. Un mix tra fiction, ricerca storica e testimonianze vere dei protagonisti. Una storia che nessuno conosceva. Un lavoro intellettualmente onesto, Gruber si dice da sola, senza nascondere la verità, perché secondo me la memoria fa bene a tutti.
Sui cosiddetti “combattenti della libertà”, ho dato la prova che molti erano infiltrati dai servizi segreti americani con funzioni anticomuniste, altri dai servizi segreti italiani, ripete Gruber insistendo su questo punto.
Severgini sposta il discorso ai giorni nostri e Gruber esprime il proprio parere. Le elezioni europee del prossimo giugno saranno certamente cruciali, diventeranno una sorta di referendum pro o contro l’Europa, pro o contro l’Euro. Oggi viviamo un’epoca di rinascita dei forti nazionalismi europei, ma è difficile distinguere, perché siamo sommersi da pseudo informazioni. Io penso che se dovesse crollare l’Euro il rischio di forti tensioni ci sia. Quando le democrazie si indeboliscono, il pericolo che il potere manipoli le coscienze è altissimo. Dovremmo ricordarci che per costruire le democrazie c’è voluto molto tempo, e per abbatterle basta un attimo. Dobbiamo proteggere ciò che abbiamo fatto con l’ultima guerra. L’Europa ha molte riparazioni da fare, ma da lì a distruggerla, pensiamoci bene. Bisogna riformarla, non indebolirla. L’Europa è stata costruita per pacificazione del nostro continente, per salvaguardare dei diritti. Prima di buttarla a mare dobbiamo pensarci molto molto bene. Tu, conclude Servegini, hai fatto una cosa rara: hai parlato dell’Europa con passione.
Resoconto Maria Luisa Abate
Visto a Festivaletteratura Mantova il 7 settembre 2018
Foto MiLùMediA for DeArtes