Tre cast: Jonas Kaufmann, Maria Josè Siri e Daniel Oren sul podio. A precedere, Anna Netrebko, Yusif Eyvazov, Clémentine Margaine. E ancora Latonia Moore, Jorge de León, Olesya Petrova con direttore Marco Armiliato.
La grande piramide dorata è tornata a svettare al centro del palcoscenico dell’Arena di Verona. In questa estate 2022 viene ripresentata la celebre Aida firmata esattamente vent’anni fa, nel 2002, dal compianto genio di Franco Zeffirelli. La struttura formata da un intersecarsi di tubi, a ricordare le canne palustri del Nilo, dorati argentati e ramati per moltiplicarne i riflessi quando vengono colpiti dalle luci, occupa buona parte dello spazio scenico, incombe sui personaggi rappresentando un simbolo soverchiante di potere politico e religioso, e al contempo proietta l’ambito d’azione verso l’alto, verso gli dei e verso il cielo. La piramide ruota mostrando diverse facce e diversi idoli, e sulle sue rampe di accesso trovano posto dignitari e sacerdoti, soldati e ancelle vestiti con i costumi sfarzosi e ipercolorati di Anna Anni.
Taluni accusano maldestramente il compianto regista di favolizzare la storia, ma molti particolari smentiscono questa affermazione: la scenografia prende spunto da un antico Egitto vero e reale, sia pure ovviamente reinterpretato ad hoc per l’ambito operistico, in stile colossal come si conviene all’Arena di Verona, e con un pizzico aggiuntivo di magia teatrale. Per citare un solo esempio tra i tanti, il magnifico sedile dorato con due animali dal mantello maculato di blu che Zeffirelli colloca nelle stanze di Amneris è identico a quello rinvenuto dall’archeologo Carter nella tomba di Tutankhamon nel 1922. Particolarmente curati anche trucco e parrucco, rispettosi della tradizione che, va ricordato, non viene solo da una impostazione registica ancorata alla tradizione, ma deriva in primis da Giuseppe Verdi.
Con il suo straordinario senso del teatro, Zeffirelli utilizza sapientemente la costruzione mastodontica e oggettivamente invasiva come un mezzo per focalizzare l’ottica su una dimensione raccolta e intimistica: il macro che riconduce al micro. Ruotando e fasciandosi di luci e colori, la piramide diventa soggetto attivo e partecipe al trionfo dell’esercito egizio vincitore o alla sorte degli etiopi catturati o all’amore contrastato tra Aida e Radamès. Un successo di pubblico, tributato al Maestro Zeffirelli, che si rinnova con immutato gradimento a ogni ripresa di questo allestimento, alla cui fortuna contribuiscono anche le esotiche coreografie di Vladimir Vasiliev, eseguite dal Corpo di ballo coordinato da Gaetano Petrosino, con solisti Ana Sophia Scheller come Akmen (personaggio introdotto da Zeffirelli stesso) e i primi ballerini Alessandro Staiano ed Eleana Andreoudi.
Grande attesa per Anna Netrebko per la prima volta Aida in Arena, dove questa estate è presente anche nelle vesti di Turandot, a consolidare un rapporto continuativo di quattro anni non interrotti nemmeno durante le difficili stagioni di pandemia. Il soprano russo, tra le stelle di prima grandezza nel firmamento internazionale attuale e, ci sentiamo di aggiungere, di ogni tempo, aveva finora sostenuto il ruolo della principessa etiope solo a Salisburgo, a Napoli e al Metropolitan di New York. Tra le mille splendide caratteristiche che contraddistinguono la sua voce stratosferica e la proiettano in quell’olimpo che si erge un gradino sopra l’eccellenza, in questa specifica occasione e in questa specifica serata Netrebko ha fatto particolare sfoggio di pianissimo eterei e cristallini, di mezze voci sfumate con sapienza e sensibilità, di impalpabili sussurri in grado di “correre” acusticamente per tutto l’anfiteatro. Una tecnica lussureggiante mai disgiunta dalle doti interpretative, basate sulla ricerca psicologica del personaggio, cui Netrebko ha donato una significativa carica umana guarnendo di trasporto emotivo sia le aperture liriche che i momenti drammatici che gli slanci amorosi dell’etiope verso il giovane egizio. Si aggiungono una dizione ineccepibile, un fraseggio magistrale, gli squilli luminosi a dir poco svettanti e l’attenzione, nel canto, a quell’infinita gamma di particolari che fanno la differenza.
Accanto a lei, il compagno d’arte e di vita Yusif Eyvazov. In Arena, e non solo, il tenore azero ha sempre brillato, tuttavia una serata meno felice di altre capita a tutti, fisiologicamente. L’esordio, ma solo quello, è stato incerto poi sono uscite in toto l’esperienza, la professionalità e tutte le doti che, negli ultimi tempi, hanno scandito la sua carriera in strabiliante e progressivo miglioramento. Una serata in crescendo, caratterizzata dalla linea stilistica elegante, avendo cura del fraseggio, poggiando bene la voce e altrettanto bene gestendola dal punto di vista tecnico ed espressivo, calandosi con convincimento nei panni del generale egizio Radamès dibattuto tra l’indole di guerriero e l’animo da innamorato.
Si è contesa con Aida l’amore verso di lui Amneris, alla quale ha dato volto il mezzosoprano francese Clémentine Margaine (in questo 99° festival areniano impegnata anche come Carmen, vedi recensione DeArtes qui), meno temperamentosa di come siamo abituati a vedere l’egizia, più riflessiva calcolatrice e stratega, doti calzate a pennello alla figlia del Faraone. Un ruolo svolto più di testa che di pancia e privilegiando una linea di canto studiata e curata, stante il mezzo vocale importante, pieno e corposo, dai riflessi bruniti e caldi.
Prova di classe per Ambrogio Maestri nelle vesti di Amonasro, la voce guarnita di sapienti sfumature ancorché solide come roccia. Maestri ha espresso l’indomita fierezza del Re etiope fatto prigioniero ma rimasto battagliero nello spirito, oltre che padre protettivo nei confronti della figlia Aida. Un ruolo che il baritono ha fatto proprio con incisività e senza indulgere in inutili orpelli interpretativi, confermando, ancora una volta, la qualità che contraddistingue il suo canto.
Era in serata no, il basso austriaco Gűnther Groissbőck, Ramfis. Bene si sono destreggiati sia il Re degli Egizi Romano Dal Zovo sia la Sacerdotessa Francesca Maionchi; puntuale Riccardo Rados quale Messaggero. Una nota di merito, nonostante qualche percepibile sbavatura, va tributata al Coro preparato da Ulisse Trabacchin.
Sul podio era Marco Armiliato. Il direttore ha anche in questa circostanza fatto della misura la propria cifra stilistica, espressa in un uso assai equilibrato, fluido e scorrevole delle dinamiche, unita all’attenzione nel sostenere quanto più possibile le voci, purtuttavia dovendo talvolta spendere qualche forza extra per riuscire (e così è stato) a tenere incollate buca e palco. Una lettura ricercata e di buon gusto anche nelle pagine verdiane che più sono a rischio di scivolare in eccessi, rischio da Armiliato evitato al meglio, con intelligenza.
Le repliche di Aida proseguiranno fino al 4 settembre, con l’alternanza di diversi cast.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona l’8 luglio 2022
Contributi fotografici: Foto Ennevi
CAST ALTERNATIVO: LATONIA MOORE
Grazie ai diversi e notevoli cast che si stanno alternando nel corso di questa estate, agli inizi di agosto è andata in scena un’Aida musicalmente agli antipodi rispetto a quella sopra descritta: diversa ma di equivalente valore.
Il pluripremiato soprano statunitense (originaria di Houston e residente a Miami), la stella del Met Latonia Moore, ha fatto il suo debutto all’Arena di Verona in un’unica eccezionale data, durante la quale la forza caratteriale dell’interprete si è riversata sul personaggio di Aida. Un’emissione sfolgorante, decisa, alla bisogna graffiante, dai volumi importanti e dalle note alte arrivate come saette e caratterizzate dal timbro brunito. Un grande talento riscontrabile anche nella capacità di padroneggiare la scena e catalizzare il pubblico, tratteggiando una donna che, pur trapiantata alla corte egizia, ha sempre a scorrerle nelle vene sangue regale, ma che sa essere al contempo innamorata devota.
L’amato Radamés era lo spagnolo (nato a Santa Cruz de Tenerife) Jorge de León, il quale ha incarnato in toto l’esuberanza e lo slancio vocale tipicamente tenorili, con acuti svettanti e tenuti molto a lungo. Il personaggio è uno dei suoi cavalli di battaglia e l’interprete ne ha approfondita l’indole, combattiva e ruvidamente maschia anche nelle esternazioni d’amore, come si addice al comandante egizio.
Il mezzosoprano russo Olesya Petrova ha donato ad Amneris la sua vocalità enorme e saggiamente giostrata sia nei volumi sia nel carattere. Ha fatto sfoggio di colori smaglianti e accenti vivaci, finalizzati a delineare un personaggio, con il quale possiede una lunga frequentazione, affascinante e dalla personalità incisiva.
Altra carismatica presenza, il baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat nelle vesti di un Amonasro forte e imperioso, dai mezzi vocali lussureggianti, prodighi di colori, dalla dizione impeccabile così come il fraseggio.
Per un’unica serata, ha vestito i panni di Ramfis un interprete di extra lusso per il breve ruolo, il basso Michele Pertusi, che ha donato al pubblico areniano la propria eleganza nella linea stilistica, l’emissione fluida, il fraseggio espressivo.
È tornato in scena Romano Dal Zovo a dare risalto al Re. Suadente la Sacerdotessa Yao Bohui; puntuale Carlo Bosi come Messaggero. Le esotiche coreografie di Vladimir Vasiliev, eseguite dal Corpo di ballo coordinato da Gaetano Petrosino, hanno visto eleganti primi ballerini Elisa Cipriani, Ana Sophia Scheller e Matias Santos.
A questi interpreti straordinari ha dato una ulteriore marcia in più Daniel Oren, tornato a dirigere Orchestra e Coro areniani – quest’ultimo istruito come sempre da Ulisse Trabacchin – con i quali l’intesa di lunga data rasenta la perfezione. Oren vanta una personalità direttoriale prorompente, ha una visione nitida e si fa capire al volo: così le due formazioni hanno reso al meglio, seguendolo nei tempi vivaci e nello sfoggio sontuoso di colori densi, di atmosfere drammatiche, di sprazzi luminosi, di suggestioni liriche. Il direttore di Tel Aviv a Verona è di casa ed è comprensibilmente osannato dal pubblico internazionale che frequenta l’anfiteatro. Una sua “grave pecca”? Comparire troppo raramente nel cartellone di questa estate!
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 5 agosto 2022
Contributi fotografici: Ennevi Foto
CAST ALTERNATIVO: JONAS KAUFMANN
Aida, nell’alternarsi di molteplici eccellenti cast, è una conferma del percorso di rialzo qualitativo intrapreso negli ultimi anni dal Sovrintendente e Direttore artistico Cecilia Gasdia, che è riuscita a riportare in Arena nomi di primissimo piano del panorama internazionale, e, quel che più è bello, distribuiti durante l’intero arco della programmazione. La presenza di Jonas Kaufmann era stata annunciata a sorpresa solo pochi giorni prima della rappresentazione: un’unica imperdibile data, la penultima per questo titolo nel 2022.
La recita è stata preceduta dalla presentazione alla stampa, durante la quale il tenore di Monaco di Baviera si è mostrato affabile e sorridente, e si è scusato per la difficoltà a partecipare più frequentemente alle stagioni areniane stante la necessità di prendersi, in estate, qualche giorno di riposo dagli impegni lavorativi. Il Presidente della Provincia Manuel Scalzotto ha prontamente risposto che Verona e provincia, con il Lago di Garda, è il luogo ideale per unire ferie e palcoscenico, e per dimostrargli quanto sia nutrita la presenza estera si è rivolto a lui in tedesco, mentre Kaufmann ha replicato in un italiano fluido. Ci auguriamo che l’invito futuro venga accolto da colui che oggi è universalmente ritenuto fra i più grande tenori al mondo, se non il più grande in assoluto.
Dopo essere stato osannato dal pubblico nell’anfiteatro lo scorso anno in una serata di gala (vedi recensione DeArtes qui) Jonas Kaufmann ha fatto il suo attesissimo e altrettanto apprezzato debutto areniano in un’intera opera: Aida. Il tenore aveva preannunciato essere il condottiero egizio un personaggio a lui congeniale, perché presenta uno sviluppo. «Radamès è … Radamès!» aveva detto accompagnando l’affermazione con un gesto ampio della mano, ma il ruolo non si riduce a questo. È un guerriero però pensa alla sua fidanzata, è conteso fra due donne, mira a distruggere il nemico, «è un uomo in gamba e non tutti i ruoli da tenore sono così». Un uomo quindi la cui interiorità è divisa tra il senso del dovere, l’amor patrio e il batticuore per l’amata. Le premesse/promesse verbali sono state tutte mantenute sul palcoscenico.
L’esordio è stato improntato alla prudenza, quasi come se Jonas Kaufmann stesse prendendo dimestichezza con gli spazi areniani che, ricordiamo, sono unici e si dice mettano in soggezione chiunque (circa l’acustica, abbiamo notato che mentre Anna Netrebko generalmente predilige la metà del proscenio di sinistra per le sue arie solistiche, Kaufmann ha invece scelto la metà di destra). Dopo l’inizio volto a “tastare il terreno”, la prova si è svolta in un crescendo che ha raggiunto entusiasmante apice negli ultimi due atti, dove Kaufmann ha dato la “zampata del leone”. Uno sfoggio di delicatezza e raffinatezza che ha splendidamente fatto piazza pulita di quelle accentuazioni magniloquenti ad usum populi alle quali certa prassi esecutiva ha abituato, per riportare il dettato verdiano alle sue origini. La voce lussureggiante, per quanto tenuta un poco “indietro” nella proiezione, non ha mai indulto alla facile “spinta” ed è sgorgata con fluidità, studiata e attentamente calibrata così come le dinamiche. Uno sfavillio di colori e accenti, di sfumature e di chiaroscuri ottimamente supportati dal fraseggio. Un tripudio di filati, sussurri, pianissimo, mezze voci (su tutte un indimenticabile “Celeste Aida” con il si bemolle sfumato), magistrali “messe in voce” che sovente, dopo essere state fatte crescere, sono state nuovamente smorzate: sublime!
Al risultato d’assieme hanno contribuito in pari misura le due protagoniste femminili. Il soprano uruguaiano Maria Josè Siri, grazie alla padronanza tecnica ed espressiva, alla vocalità malleabile ma al contempo solida, ricca di colori smaltati, ha presentato una scansione approfondita di Aida, anch’essa dalla sensibilità multisfaccettata, dibattuta tra l’amore per il padre e le ragioni del cuore. Una interpretazione intelligentemente tarata sull’interiorità del personaggio, ben abbinatasi alla visione di Kaufmann.
Del mezzosoprano di Leningrado Olesya Petrova confermiamo quanto scritto nelle righe precedenti: “ha donato ad Amneris la sua vocalità enorme e saggiamente giostrata sia nei volumi sia nel carattere. Ha fatto sfoggio di colori smaglianti e accenti vivaci, finalizzati a delineare un personaggio, con il quale possiede una lunga frequentazione, affascinante e dalla personalità incisiva”. Il baritono Sebastian Catana ha prestato voce salda, dai volumi importanti, e cipiglio fiero ad Amonasro. Ha fatto ritorno sul palco a dare incisività al Re degli Egizi Romano Dal Zovo; il basso Abramo Rosalen era il gran sacerdote Ramfis. Riccardo Rados era il Messaggero e Yao Bohui la Sacerdotessa. Insieme al Ballo areniano coordinato da Gaetano Petrosino ha debuttato la Akmen di Marianna Monteleone e si sono confermate le étoile Ana Sophia Scheller e Alessandro Staiano, primi ballerini nelle coreografie originali di Vladimir Vasiliev.
Applauditi per i risultati brillanti l’Orchestra areniana e il Coro preparato da Ulisse Trabacchin, diretti da Daniel Oren, del quale pure confermiamo il giudizio espresso nelle righe poco sopra. Il maestro di Tel Aviv “vanta una personalità direttoriale prorompente, ha una visione nitida e si fa capire al volo: così le due formazioni hanno reso al meglio, seguendolo nei tempi vivaci e nello sfoggio sontuoso di colori densi, di atmosfere drammatiche, di sprazzi luminosi, di suggestioni liriche”. Possiamo aggiungere che Oren, in questa occasione, ha raggiunto il proprio optimum, con una direzione particolarmente rigogliosa e ricca di sfaccettature dinamiche.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 28 agosto 2022
Contributi fotografici: Ennevi Foto