La Fondazione Federico II rompe gli schemi. Ricerca della verità e ‘defusione cognitiva’: a Palazzo Reale l’arte irrequieta di Ryan Mendoza.
Dal culto dei falsi idoli, simboleggiati dal vitello d’oro, ai pipistrelli che sembrano richiamare le inquietudini della società: dopo tre anni di lavoro ecco la mostra quasi interamente site specific voluta dalla Fondazione Federico II, “The golden calf”, diffusa tra stanze, cortili e giardini del Palazzo Reale, residenza coronata tra le più antiche d’Europa, dal 31 luglio al 26 settembre 2022. Pitture, sculture, installazioni, un grande polittico e una proiezione. L’invasione artistica prosegue anche fuori dal Palazzo: “Pipistrelli” anche a Napoli (MANN- Museo Nazionale Archeologico), Roma (Parco Archeologico Appia Antica) e Palermo.
Un’arte irrequieta dinanzi ai rassegnati, indifferenti, predicatori di virtù e fedeli consumatori di verità onnicomprensive. Da Palazzo Reale giunge l’urlo silente ma potente di Ryan Mendoza (New York, 1971), artista americano che ha vissuto tra Berlino e Napoli. Oggi vive in Sicilia ai piedi dell’Etna. Le sue opere sono state esposte in gallerie di tutto il mondo: da Milano a Londra, da Parigi a Tokyo. Mendoza ha conquistato autorevolezza a livello globale sui diritti umani e sul piano della critica attraverso la vocazione visiva strettamente connessa con la tendenza alla denuncia, cifra peculiare della sua ricerca.
“Look at this mess”, si legge in un’opera: guarda il “pasticcio”, affronta il “disordine” del mondo che ci circonda. Come in un esercizio di “defusione cognitiva”, l’artista invita a espandere il proprio sguardo e affrontare la realtà come spazio della possibilità contro il pensiero emergente del nostro tempo che tende a “restringere”; invita a non chiudere gli occhi difronte alle ambiguità della società di oggi perché non c’è più tempo.
Ha spiegato lo stesso Ryan Mendoza durante l’inaugurazione, d’aver creato «una montagna di peluche e voli di pipistrelli, metafora di una società spenta e soggiogata, idoli davanti ai quali prostrarci, noi tribù in cerca di una guida in grado di riattivare la capacità di percepire e di intercettare valori perduti. Nei dipinti la decapitazione mi appare a posteriori: gli uomini e le donne li ritrovo così, come dei busti che galleggiano fluttuanti e senza radici. Questa mostra mi evoca il tradimento, il tradimento alla natura, il tradimento tra esseri umani, il tradimento universale».
In un delirio organizzato, Mendoza frantuma ogni staticità di significato per far sì che la vera trama sia la non trama e l’anti-narrazione. Un indizio, tuttavia, si coglie nel titolo della mostra, Il vitello d’oro, che evoca un immaginario in grado di spaziare dall’arte alla religione e coniugare temi dell’iconografia tradizionale con il disagio quotidiano dei nostri tempi. L’artista associa il biblico vitello d’oro al culto per i beni materiali e i falsi idoli.
Curata dalla Fondazione Federico II col patrocinio del Ministero della Cultura, il percorso di costruzione della mostra ha visto la collaborazione della Fondazione Brodbeck. La Fondazione Morra Greco ha gentilmente prestato alcune opere. Il catalogo della mostra (238 pagine) contiene i contributi di Gianfranco Miccichè, Patrizia Monterosso, Alberto Fiz, Cristina Costanzo, Angelica Freddi e Paola Nicita.
C.S.M.
Fonte: Ufficio Stampa, 30 luglio 2022
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