La colonnina del termometro sale, sale. I campi coltivati si seccano, i boschi si incendiano, i cervelli ribollono, i neuroni fondono. Sarà una conseguenza del meteo, perché l’interrogativo non pare da prima pagina, eppure… quale volto deve avere Aida? Il suo destino nel nuovo millennio è restare figlia del Re dell’Etiopia Amonasro o invece diventare figlia dei nostri tempi blackface correct?
L’ultima arrivata in ordine di tempo a sollevare il polverone sulla supposta sconvenienza di scurire la pelle per esigenze sceniche di fedeltà al libretto è un soprano afroamericano chiamato all’Arena di Verona per due recite (poi non svolte) di Traviata. Il contesto della diatriba? Per l’appunto Aida. E già qui si inizia a sospettare un danno da insolazione.
La presunta colpa? È presto detto: in uno dei più importanti teatri al mondo ci si “ostina” a voler valorizzare quell’immenso patrimonio artistico e culturale costituito dagli allestimenti storici, oppure, come nel caso di quest’anno, relativamente recenti ma fedeli alla tradizione: beni preziosi che l’Arena custodisce negli scrigni dei suoi magazzini e che portano firme illustri. L’opera lirica è senza tempo. Ben vengano le regie moderne e ben vengano, accanto a queste, le regie classiche, ognuna con i rispettivi canoni estetici.
È capitato sbadigliosamente troppe volte che qualche cantante particolarmente distratta, o con il neurone accaldato, abbia firmato un contratto a molti zeri per prendere parte a un allestimento tradizionale accorgendosi solo in seguito che si trattava di un …. allestimento tradizionale. Mannaggia al cambiamento climatico! E anche capita, in questa torrida estate, che una cantante diversamente collocata metta becco nelle scelte delle colleghe / rivali (guarda caso artisticamente più grandi di lei).
Omettiamo il nome del soprano, una acclamata star, per non prestarci alla sospettata ricerca di visibilità nel circo mediatico, e perché di lei in particolare non importa più di tanto, nel discorso generale. Di cosa siamo ripetutamente incolpati? Di rispettare la storia. La nostra storia. Ognuno gode di sacrosanta libertà di idea e di parola, che merita tutto il nostro rispetto come anche comprendiamo e rispettiamo la mutata sensibilità odierna. Però qui, scusateci, viene fuori l’orgoglio patrio. L’Opera Lirica, usiamo di proposito le maiuscole, è nata in Italia attorno al Seicento se non prima. Una paternità, anzi un patrimonio genetico che il mondo ci invidia. L’Italia è maestra nel tramandare questo genere musicale riuscendo a mantenerlo vivo attraverso i secoli, e ad esportarlo nell’orbe terracqueo dove pare sia in assoluto lo spettacolo maggiormente rappresentato a livello globale. L’Opera Lirica è una eccellenza italiana – candidata a entrare tra i beni immateriali UNESCO – e ce ne facciamo vanto. Per cui, scusateci, al di là delle ragioni o dei torti, anche il nostro neurone si surriscalda se chicchessia pensa di poterci insegnare cosa sia e come debba essere inscenata, montando un casus belli da balera. Il teatro è – e deve restare, aggiornandosi – specchio della realtà, ma d’altro canto vive sul palcoscenico, di finzione e di recitazione. Perché no, anche di tradizione e di storia.
Un’altra considerazione va fatta. Al di là dello sfregio che quest’anno viene perpetrato alla memoria di un genio indiscusso della regia come Franco Zeffirelli, che ha donato al mondo una eredità artistica della quale essergli grati (e dalla quale imparare), forse ci si dimentica di qualcuno? Qualcuno che in queste sudaticce bagarre da ombrellone viene totalmente ignorato, quando invece dovrebbe avere voce in capitolo? Ci riferiamo a tal Giuseppe da Busseto.
Temiamo che l’esautorato Verdi, dall’Olimpo degli immortali, assista con tristezza alle appropriazioni indebite del suo lavoro. Verdi, prima di chiunque altro, ha fatto dell’etiope Aida un’eroina positiva. Verdi era un precursore, un lungimirante. Per Aida compose alcune delle più belle pagine di musica che mai siano state scritte. Sarebbe auspicabile, ma ci rendiamo conto di pretendere troppo dal neurone fritto dal sole, capire cosa Verdi ci abbia voluto dire, senza frapporre interferenza di sorta.
Circa gli artisti che per sentirsi tali hanno bisogno di innescare polemiche fini a se stesse, non spetta a noi esprimere un giudizio. Il tempo lo farà. Il tempo è il migliore e più imparziale giudice che esista. Fra cento o mille anni certamente l’Arena sarà ancora in piedi e ancora accoglierà i suoi 13 mila spettatori da tutto il mondo, festanti per il rinnovarsi della magia. Fra cento o mille anni ancora si eseguiranno le immortali composizioni del Maestro Giuseppe Verdi e ci si inchinerà al suo cospetto. Resterà memoria indelebile del genio di Franco Zeffirelli, e accanto a lui di Giovanni Zenatello e della famosa Aida del 1913 che ancor oggi viene applaudita, e dei tanti altri che nell’albo d’oro dell’opera lirica hanno scritto pagine passate alla storia. Altrettanto certamente fra cento anni, probabilmente molti meno, i fuochi di paglia si saranno autoconsumati e le meteore, destinate a brillare per pochi giorni, saranno fagocitate nel buio del cosmo, sparite nell’oblio riservato ai più.
Maria Luisa Abate
Un torrido, infuocato, pomeriggio di luglio 2022