«Per me l’opera non è una passione, è stata la vita. Il mestiere sì, l’ho svolto con passione. E mi sono divertito. Se mi chiedevano di fare il bis, facevo il bis. Se mi chiedevano di fare il tris, facevo il tris». Ma alla Scala è passata alla storia quella volta che ne inanellò sei, con facilità. All’immenso e visibilmente emozionato Leo Nucci è andato il Premio Internazionale “Maria Callas” 2022, durante un pomeriggio festoso svoltosi, come da tradizione, nella Sala Casarini dello storico Hotel Due Torri a Verona.

L’incontro con uno dei più grandi interpreti del Novecento e di questo secolo, è stato tra i maggiormente riusciti negli otto anni di vita del Premio, per l’estrema affabilità del baritono e per la sua straripante simpatia. Una chiacchierata vivace, schietta, colloquiale, servita a ripercorrere alcune tappe della sua sfolgorante carriera, interrotta da pochissimo tempo, ultraottantenne, con la voce in condizioni strabilianti e ancora acclamata in palcoscenici “di serie A”. Un repertorio di ruoli vastissimo, tra cui un indimenticabile Figaro, personaggio con il quale ha esordito nel ‘67 vincendo il concorso del Teatro lirico sperimentale di Spoleto, per poi portarlo alla Scala per la prima volta nel 77.

Ma Nucci è, e sempre sarà, Rigoletto, personaggio che in lui viene universalmente identificato e del quale è incontrastato punto di riferimento. Sono circa seicento le volte che ha vestito i panni del buffone verdiano, contando solo, ha sottolineato ridendo, quelle per cui è stato pagato: in totale, con le occasioni non retribuite, si arriva a settecento, e tremila recite. Ha debuttato come Rigoletto a Lugano nel ’73 assieme alla moglie, il soprano Adriana Anelli, anche lei presente e raggiante all’appuntamento veronese. La “formula” del successo, come descritta da Nucci, pare semplice, a dirsi: «Io ho un carattere completamente diverso da Rigoletto, ma sono un attore e ci si deve immedesimare in cosa prova quel personaggio».

Tra i tanti episodi straordinari che hanno costellato la sua lunga attività, Nucci sceglie di citare un Gianni Schicchi alle cui prove aveva assistito Giovacchino Forzano, il librettista di Puccini. Ma affiorano anche La Scala e il Metropolitan. In America, ricorda, si è esibito per oltre vent’anni. «Credo di essere l’unico, oltre a Pavarotti, ad aver cantato in tutti i teatri d’America. Duecento recite e due dischi. E sono stato il primo italiano a eseguire in russo Eugenio Oneghin, diretto da Rostropovič. Ho avuto occasione di cantare e di incidere dischi con tutti i cantanti del XX secolo».

«Come ho vissuto io questo mondo? Non ho mai lavorato per ricevere una bella critica, ma per emozionarmi e per emozionare il pubblico». Un refrain che sovente ritorna nel corso del pomeriggio. «Per me la musica non è sacra, è di più, è un momento di emozione». È “un signore del palcoscenico”, lo saluta il soprano Elena Mosuc collegata via telefono dalla Svizzera.  

La carriera di Leo Nucci è iniziata ufficialmente, come si diceva, nel 1967, dopo aver superato l’indecisione se darsi alla bicicletta o all’opera. «Ho fatto il cantante per 60 anni e adesso che sono in pensione vado in bicicletta» confessa con un sorriso.Non solo la voce è rimasta sempre giovane ma anche il fisico che, forse grazie allo sport, sbugiarda l’anagrafe. «La bicicletta mi ha insegnato che per arrivare dove si vuole bisogna pedalare. E mi ha insegnato che quello che va più forte di te, lo trovi sempre».

Gli viene chiesto come fosse il teatro di qualche anno fa e come sia oggi. «Era un teatro, e anche un mondo, diverso, ma non ho nostalgia: il mondo va avanti. In bicicletta il grande nemico è il vento: inutile andarci contro. Adesso, vediamo quale vento tira…». Nel frattempo a Verona tira aria di amicizia e di buona cucina, non solo per gli assaggi enogastronomici offerti al pubblico dai partner del Festival: arriva un’altra telefonata di saluto da parte di Vittorio Testa, che si conclude con un appuntamento per andare assieme a mangiare il culatello.

La data dell’incontro era quella ormai codificata dal Festival Internazionale “Maria Callas”, ossia il 2 agosto, per ricordare lo stesso giorno del 1947 quando il soprano debuttò all’Arena di Verona. Il giorno viene accoppiato a quello della nascita della Callas, il 2 dicembre, che quest’anno sarà particolarmente importante, anche se ancora avvolto nel riserbo. Ci stiamo infatti avvicinando, in “crescendo”, alla ricorrenza di New York 2023, quando cadrà il centenario della nascita della “Divina” e il Festival presenterà grandi sorprese, come ha preannunciato il Presidente, il direttore d’orchestra Maestro Nicola Guerini. Intanto, è stato lanciato l’hashtag #Callas100.

«Io non credo – ha commentato Leo Nucci – che Maria Callas sia stata il più grande soprano del Novecento: è stata un unicum artistico di tutti i tempi. Lei ha dato al teatro d’opera le sue vere origini. Il teatro, che ebbe inizio 2500 anni or sono, c’è chi lo fa per la vetrina e chi per la sostanza. Maria Callas è un “uno totale” del teatro». Nucci racconta di avere avuto occasione di cantare assieme a lei e da lei di avere cercato di apprendere soprattutto alcuni aspetti, come la profondità e la comprensione del significato della parola nella musica. «Maria Callas ci ha detto che il teatro d’opera è un teatro totale». Tutto il resto viene dopo.


di Maria Luisa Abate
Verona, Hotel Due Torri, 2 agosto 2022
Contributi fotografici: MiLùMediA for DeArtes