Avrebbe dovuto essere un’intervista ma subito si è tramutata in una gradevole chiacchierata tra amici, come è nello stile affabile di Francesco Lodola. Classe 1996, ha iniziato ancora bambino lo studio del pianoforte; dopo aver frequentato il liceo musicale, si è laureato alla facoltà di Scienza della Comunicazione a Verona e in Editoria e Giornalismo nello stesso Ateneo. Specialista dei media, ha fondato la piattaforma web “Ieri, Oggi, Domani, Opera!” e sta muovendo larghi passi come P.R Manager.
Il suo esordio letterario è dedicato a “Casa Ricordi. Una storia italiana” (Albatros 2022). Una pubblicazione snella, dal linguaggio scorrevole e di subitaneo approccio, che riporta episodi storici, curiosità, aneddoti divertenti, mettendo in luce soprattutto le innovazioni epocali introdotte dalla celebre famiglia non solo in campo editoriale: i Ricordi dettarono nuovi canoni nel mondo del teatro di allora come di oggi.
Va sottolineato che parte del ricavato della vendita del libro sarà destinata al sostegno dei laboratori solidali di scrittura LetterariaMente.
Perché un libro su Casa Ricordi? Un argomento sterminato e già affrontato da molti altri autori: cosa rende speciale questa pubblicazione? Quale impostazione hai prescelto?
Approcciarsi a Casa Ricordi è complicato perché le visioni su questa famiglia sono tantissime. Dalla letteratura, alla saggistica, alla cinematografia, agli articoli: c’è tutto un modo legato a Casa Ricordi. Io volevo raccontare il mio punto di vista sia come specialista dei media sia come esperto di comunicazione, perché quello che faccio tutti i giorni è occuparmi del legame tra opera e social. Volevo capire come fosse nata l’esigenza di dover costruire, attraverso i media, la carriera di un compositore o di un cantante, e vedere come i Ricordi abbiano influenzato l’evoluzione dei media stessi. Non dimentichiamo che i Ricordi erano anche proprietari di giornali, quindi hanno fatto la storia di un certo giornalismo non solo musicale, e anche della pubblicità. Loro furono tra i primi a portare in Italia un tipo di stampa con l’illustrazione, alla Toulouse-Lautrec, alla francese. Realizzavano non solo i manifesti delle opere, ed era la prima volta che si faceva.
I manifesti venivano oltretutto commissionati a illustratori famosi. Un passo importante.
L’importanza di vendere attraverso l’immagine. E quindi di utilizzare l’arte, come fecero Metlicovitz e Hohenstein, e di farne veicolo, farne merce. Loro iniziarono a realizzare anche i cartelloni per i magazzini Mele di Napoli o per varie esposizioni di elettronica, sconfinando completamente.
I Ricordi introdussero anche un nuovo sistema per stampare gli spartiti dell’orchestra, che prima venivano ancora trascritti a mano. Un nuovo sistema che abbatteva i tempi e i costi, con ciò favorendo enormemente la diffusione della musica.
Giovanni fu ritenuto un folle quando gli venne l’idea di recarsi in Germania per studiare le macchine da stampa. Allora in Italia la tradizione era ancora prevalentemente manoscritta. Dobbiamo aggiungere che la problematica dell’Italia era nella scarsa diffusione della musica strumentale. La cultura italiana era prevalentemente operistica, legata anche a quel concetto dell’incrostazione del cantante che ci metteva del suo. Quindi una certa oralità oltre alla tradizione manoscritta. Quando Ricordi portò in Italia le macchine da stampa rivoluzionò il mondo: l’opera iniziò a essere stampata e a essere codificata.
E poi a essere distribuita. Oggi, sia che andiamo a teatro a Milano o a Napoli, le partiture e gli spartiti utilizzati sono identici. Una volta non era così.
Adesso vengono forniti spartiti che, anche se possono contenere dei refusi, sono omologati. Nel mio libro si parla proprio del fatto, ad esempio, che Bellini poco prima di mettere in scena Sonnambula a Napoli si accorse che la partitura che il teatro utilizzava era apocrifa, perché era la trascrizione di un manoscritto tratta da qualche altro manoscritto, infarcita di errori nella strumentazione. L’autore volle che Ricordi facesse un avviso per dire che quella non era la sua Sonnambula. Altro fatto divertente: si provava Tancredi a Firenze e il tenore e l’orchestra attaccarono due arie completamente diverse, e nessuna delle due era quella giusta. La corretta era una terza che il malcapitato cantante si dovette studiare, e l’errore fu recuperato. Ma queste situazioni una volta succedevano normalmente.
Questo libro presenta quindi l’opera lirica attraverso fatti rigorosamente storici ma che risultano anche spiritosi. Perché l’opera lirica non è noiosa.
Non lo deve essere: è divertente. Io racconto questi personaggi con le loro eccentricità, con i loro tic, con le loro manie; gli episodi di vite trascorse tra la polvere del palcoscenico e le luci dei riflettori, ma anche negli angoli dei camerini dove succedeva di tutto, sono divertenti. Ho cercato di puntare sull’aneddotica e sugli aspetti ironici; sul sapersi prendere in giro di questi personaggi. Perché se leggiamo i libri scritti da Philip Gossett o da Stefano Baia Curioni, solo per nominarne due, sono delle “bibbie” sia su Casa Ricordi sia sul mondo dell’opera dell’Ottocento. Io volevo fare qualcosa di diverso, raccontando delle storie con un linguaggio che potesse essere capito anche da un non tecnico.
Nel libro c’è sostanza accattivante per coloro che di opera sono appassionati e per semplici curiosi.
Un esperto tante cose già le sa, ma altre potrebbero costituire delle scoperte, perché ho scartabellato documenti che forse tanti studiosi hanno difficilmente toccato. Nel senso che forse non erano episodi interessanti per i loro libri, in quanto legati a fatti che potremmo definire folkloristici. Forse certi particolari non sono mai stati raccontati e tanti altri che mi sarebbe piaciuto raccontare sono rimasti nel mio archivietto.
Attendiamo quindi un nuovo volume?
Non credo ne seguirà un altro mio su Casa Ricordi, ma magari legato all’opera dell’Ottocento, sì. Mi interessa raccontare di uomini e donne che hanno partecipato alla creazione del teatro musicale ottocentesco e anche di un certo modo di essere società. I Ricordi hanno occupato un secolo di storia, ed è stato un secolo pienissimo di cambiamenti.
Tre generazioni di Ricordi, quasi quattro…
Quattro, con Tito II che era il figlio di Giulio, il quale però a un certo punto cedette molte quote della ditta ai suoi sottoposti. Iniziò così una fase di decadimento. Il mondo si era molto trasformato e forse lui non riuscì a stare al passo con i tempi. Diciamo che ci provò. Ebbe degli scontri con il padre Giulio che arrivò quasi a diseredarlo, perché lui andava troppo avanti. Ma forse a un certo punto invece rimase indietro. Quindi, sì, mi interessava raccontare un mondo dove si sentisse la polvere del palcoscenico: un mondo popolato di tanti personaggi, di tante vite, di “amorazzi” e di fatti curiosi. In mezzo agli episodi seri c’è anche del divertimento, c’è sorriso, tenerezza. Molte cose mi inteneriscono.
Così è la vita. Anzi, così sono tutte le vite.
Delle vite che formano una storia italiana, perché tanti fatti non solo attestano l‘aver contribuito ai processi della storia, ma rivelano le manie che noi come popolo abbiamo, il modo di vivere all’italiana. Qualcuno diceva che Verdi quando metteva in scena gli ebrei o gli egiziani, in fondo rappresentava in scena gli italiani. Un poco è così, nel senso che raccontava delle storie. E anch’io racconto delle storie. Per questo, tanto materiale è rimasto nel mio archivio.
Un archivio, il tuo, estratto da altri archivi.
Ad esempio, quella giornata che ho passato all’archivio storico del Regio di Parma mi sono immerso nella storia di un capo-comparsa, una figura interessantissima. Un grande rammarico è aver scritto il libro in piena pandemia e quindi non ho potuto consultare tanti archivi fisicamente, ma solo in digitale: l’archivio storico Ricordi, oppure l’archivio della Fondazione Cini di Venezia, dove sono conservate tutte le edizioni del Teatro illustrato. Di questo, ho spulciato tutti i numeri, come anche del periodico di casa Sonzogno e tutti i periodici di casa Ricordi.
Un lavoro certosino.
Si, ma è stato divertente vedere come anche attraverso i mezzi di stampa si scagliassero delle frecciatine acidissime. Ad esempio Sonzogno diceva che fosse abitudine della casa Ricordi di fare pubblicità e lanciare gli autori in modo superficiale. Dall’altra parte arrivavano delle stangate attraverso le recensioni. Un po’ quello che avviene anche adesso, però loro in qualche modo lo hanno inventato. Da editori di musica si erano trasformati in giornalisti: una situazione che prima non esisteva, poiché l’editore di musica era o un amanuense che ricopiava a mano, nel caso italiano, o comunque uno stampatore, che non andava a influire su quella che era la vita vera teatrale. I Ricordi hanno inventato questo.
Hanno inventato anche il modo di fare agenzia, come viene svolto ancora oggi. Molti compositori, se non fossero stati stipendiati da Ricordi, non avrebbero potuto svolgere questo lavoro.
Certo: Verdi, Puccini, Bellini, Rossini, Donizetti… Mi fa tenerezza Giulio Ricordi che scoprì Puccini. Avvenne alla presentazione de Le Villi: dopo quest’opera Puccini non riuscì a entrare subito nel mercato. Non era ancora il Puccini che noi amiamo. Fu merito di Ricordi che lo trattò come un figlio e gli diede uno stipendio mensile per poter continuare a studiare. Tra i due nacque un rapporto che mi suscita tenerezza: Puccini chiamò sempre “papà Giulio” colui che ebbe l’intuito d’averne scorto il talento e lo aiutò a coltivato.
In una maniera moderna, che ha precorso i tempi. Mecenati c’erano anche nell’antichità, ma pagavano l’artista per fare un determinato lavoro. Invece Ricordi creava gli artisti.
Esatto, creava anche l’immagine. Una gestione manageriale e anche da press, da P.R. public relations, e da social media manager. Si trattava d’introdurre il compositore all’interno di un certo tipo di società, che poi portava a delle scritture. Ricordiamo che Verdi veniva dalla terra. Arrivato a Milano non era automatico il suo ingresso nei circoli di Clara Maffei e di queste figure. Puccini veniva invece da una famiglia borghese di musicisti, però anche lui non era un aristocratico e non era inserito nell’alta società del tempo.
Senza i contatti giusti i compositori non sarebbero arrivati ai grandi teatri e quindi a diventare quei geni che oggi conosciamo.
Non solo. I Ricordi ebbero anche la capacità di fare in modo che il compositore scegliesse dei soggetti che potessero rendere. Verdi patriota ci può anche stare. Ma Verdi scriveva quello che in quel momento voleva il pubblico. Quindi, se il pubblico voleva degli afflati risorgimentali e patriottici, lui dava quelli. Così per Puccini e il teatro naturalistico e sentimentale. C’era anche sicuramente una loro sensibilità su quegli argomenti, non sto dicendo che abbiano fatto finta di essere ciò che non erano, c’era anche una componente musicale. Loro erano i Måneskin dell’epoca! Giulio Ricordi in particolare fu molto coinvolto nella scrittura, ad esempio nei libretti di Puccini. Il libretto di Manon Lescaut fu scritto a più mani, molti furono gli interventi, anche di Giulio.
I titoli dunque venivano decisi assieme anche in base alla vendibilità, alle leggi di mercato.
Un’opera che rimaneva nel cassetto e non veniva portata in giro non interessava né ai compositori né all’editore. Uno degli episodi più divertenti riguarda il panettone di Giulio Ricordi a Verdi.
I nostri lettori hanno già l’acquolina in bocca…
Verdi stava faticosamente scrivendo Otello però a un certo punto si bloccò. La Strepponi non sapeva come fare per incitarlo ad andare avanti. Giulio Ricordi iniziò a mandargli un panettone al mese, su cui era raffigurato un deserto con dell’acqua, poi dal deserto emergeva una testa, poi apparve il corpo …. alla fine, dopo molti panettoni, Verdi ricominciò a scrivere, divertito dalla trovata. Pure la Strepponi era stupita dal fatto che Ricordi avesse tale capacità diplomatica. Verdi era ormai anziano e Giulio era un giovane appena subentrato al padre. Verdi era un monumento, che andava assecondato anche nei suoi tratti caratteriali. Spesso veniva definito pedante, rompiscatole, brontolone, burbero ma in realtà era anche un uomo divertente. Aveva questo tratto di ironia e del saper ridere, sul quale fece leva Ricordi.
Aggiungiamo che se noi usiamo i social è grazie ai Ricordi che hanno gettato le basi della comunicazione moderna.
Assolutamente. Le brevi della Gazzetta Musicale di Milano edita da Ricordi sono i nostri post sui social di oggi. Con richiami a quell’artista o quell’altro che bisogna spingere, sponsorizzare perché canterà la tale opera in quel determinato teatro. I Ricordi, l’hanno inventato. Prima, era tutto legato a un modo di fare teatro in cui non c’era bisogno di pubblicità. Ma anche il modo di comporre degli autori era diverso.
Forse è questo, che i non esperti non sanno e possono trovare nel libro. Chiunque ha sentito il nome Ricordi, ma che loro abbiano inventato un modo nuovo di fare gli editori, o di fare i giornalisti, o di fare i promotori è poco conosciuto ai più.
È un aspetto poco conosciuto che dalla saggistica più scientifica non viene fuori, perché non è ovviamente nell’interesse dello studioso. Sono tratti più leggeri, legati al mestiere di giornalista.
Infatti questo libro è rivolto a tutti, con fini narrativi e divulgativi: è un concetto molto … “ricordiano”.
Un po’ anche “lodoliano” perché ho seguito la mia inclinazione. Spesso mi è capitato, in diversi contesti, di parlare dei social nell’opera lirica e ho una piattaforma web.
Sono molto giovane ma ho sulle spalle già qualche anno di esperienza, non cattedratica ma sul campo, legata al mondo del web e dei social. Un mondo che ha dei meccanismi da comprendere, capendo anche da dove sono nati. Io mi sono trovato a collaborare con artisti per promuovere determinati eventi e mi sono chiesto il perché dovessimo farlo e come farlo: cosa veicolare. Perché quando ci si pone a costruire una carriera dal punto di vista mediatico, ci si deve chiedere su quali aspetti dell’artista si possa puntare per attirare il pubblico. Si punterà su un hobby, o su un tratto caratteriale che susciti simpatia o che lo contraddistingua, sulla caratteristica che ne fa un unicum. Creare il personaggio attorno all’artista: questo hanno inventato i Ricordi.
Per concludere tornando alle prime pagine del libro, spicca la presentazione illustre del direttore d’orchestra Francesco Ivan Ciampa.
C’è dapprima una prefazione di Barbara Alberti, curatrice della collana Nuove Voci di Albatros, e poi c’è la prefazione ad hoc, cui io tengo tantissimo, del Maestro Francesco Ivan Ciampa, che è un grande amico. Una persona della quale sento di condividere una certa visione della musica: il concetto di fare teatro e della vita teatrale e di tutto quello che concerne l’estetica musicale. Sento un’affinità elettiva e sono contento che abbia deciso di donarmi questa prefazione.
Gli hai mandato dei panettoni?
(Ride) No, mi è costato meno fatica e meno pasticceria!! Sono contento perché credo che lui, non voglio esagerare, rappresenti un anello di congiunzione nel suo campo. Ciampa è un artista moderno, con una sensibilità moderna verso il mondo del teatro però senza dimenticare la tradizione. Sono assolutamente felice di quello che lui mi ha regalato: mi ha scritto parole bellissime. Mi piacerebbe realizzare in futuro con lui un progetto letterario. Al momento sono contento di averlo fatto entrare in questo mondo Ricordi. Tutti gli spartiti che noi musicisti acquistiamo dall’infanzia, dal primo all’ultimo, hanno il famoso marchio iconico. Ma spesso non ci chiediamo chi ci sia dietro questo marchio. Ci sono uomini e donne che hanno contribuito in maniera determinante allo sviluppo anche della didattica musicale. Se studiamo musica in un certo modo, se oggi facciamo musica e viviamo il teatro in un certo modo, è grazie a Casa Ricordi.
Intervista di Maria Luisa Abate
Verona, giugno-agosto 2022
Foto ©Alessandro Lodola