Mantova, Festivaletteratura: Fois, Dedola e Piano omaggiano la scrittrice vincitrice del Premio Nobel. Il suo soggiorno in terra mantovana.

Lo scorso anno cadeva il 150° anniversario della nascita di Grazia Deledda e per l’occasione il Presidente del comitato delle celebrazioni, Marcello Fois, ha scritto il romanzo teatrale “Quasi Grazia”. A Mantova, Fois si è spiritosamente messo a scattare foto al pubblico da mandare a un suo amico, scettico circa l’interesse che avrebbe suscitato l’argomento.

La conversazione si è svolta a più voci. Purtroppo Bianca Pitzorno non ha potuto essere presente all’incontro; la parola è quindi passata da Fois alla psicoanalista Rossana Dedola, che opera in una clinica junghiana in Svizzera, e alla filosofa del pensiero femminile Maria Giovanna Piano, sollecitati da Annarosa Buttarelli.

Grazia Deledda è l’unica donna del nostro Paese ad aver vinto il Nobel per la narrativa. Ossia, ha rimarcato Fois, nel ’27 era la scrittrice più importante al mondo, per l’Accademia di Svezia. Come scrittrice ha una portata enorme. Tutte le scrittrici coeve erano inferiori a lei. Ma non gode oggi della meritata considerazione, come non ne godeva al tempo. Fois racconta di essere nato a venti metri da casa sua, a Nuoro, e sua nonna diceva: “per carità, la Deledda!”. Il problema, spiega, è che lei era una autrice straniera, un’aliena, e il suo ecosistema non poteva funzionare. La accusavano di usare un italiano poco forbito: ed è il motivo per cui ancor oggi è leggibile!  

Nel corso della conversazione emerge il rapporto che Grazia Deledda ebbe con la terra mantovana, grazie anche al contributo di uno spettatore presente in sala, discendente dell’autrice. Deledda aveva sposato, a Nuoro, Palmiro Madesani, originario di Cicognara vicino a Viadana. Qui, Deledda venne per conoscere i parenti acquisiti e trascorse lunghi periodi dei quali ancora si conserva memoria. Dalla stazione di Casalmaggiore, spiega Rossana Dedola, raggiungeva Cicognara in carrozza, per scrivere del paesaggio padano e del Po prima di quanto fecero Guareschi o Ermanno Olmi. Prima di Bossi ha visto il Po come una divinità che riflette il cielo. Un territorio che si ritrova nelle sue lettere, oltre che nei romanzi, e in taluni termini attinti al dialetto locale, come ad esempio i “putini”, i bambini.

Madesani era un funzionario del Ministero delle finanze, era un bell’uomo, suonava il pianoforte, scriveva canzoni. Il Nobel fu anche merito suo perché lasciò l’impiego per diventare l’agente letterario della moglie, un lavoro molto moderno. Allora Deledda era la scrittrice che vendeva di più, e vendeva anche all’estero, percependo i diritti d’autore. “L’edera” uscì prima in tedesco, su una rivista.

Rossana Dedola svela di aver trovato lettere inedite nell’archivio Goethe-Schiller, che attestano i dialoghi intessuti da Deledda anche con autori europei: ecco da dove nasceva il Nobel. Fu lei a chiedere agli amici di candidarla, proposta avanzata fin dal 1912 mentre vinse il Premio solo nel ‘27. Fu detto che le venne dato per omaggiare Mussolini, ma invece no. Anche perché, motiva Dedola, Mussolini le chiese cosa desiderasse in dono e lei rispose che avrebbe voluto la liberazione dal confino politico del proprietario della casa di Nuoro. Questo fa capire che era una donna fuori del comune.

Maria Giovanna Piano si sofferma sul rapporto molto drammatico con la scrittura. È un dramma del desiderio che si ritrova in gran parte della sua produzione, trovando diverse espressioni. Come la tradizione sarda, che Deledda mise per iscritto. In lei l’impulso a scrivere era irresistibile, una forza sotterranea che veniva dalle tradizioni antiche, dal folklore. Deledda ha messo in salvo un patrimonio che si andava perdendo.

Nel corso della serata emerge un’altra scoperta clamorosa fatta da Rossana Dedola, la quale, alla Biblioteca nazionale di Roma ha scovato un numero enorme di volumi nascosti dietro ad altri. Pare infatti che gli eredi di Grazia Deledda regalassero materiale a chiunque, così molti documenti vennero nascosti.

Però all’inizio della carriera era una scrittrice mediocre, è il giudizio di Marcello Fois. Dedola spiega che Deledda leggeva molto, che la sua lingua migliorava perché si formava sulle traduzioni italiane degli autori classici europei. Quando arrivò a Roma non si chiuse in casa ma iniziò a frequentare gli ambienti artistici, entrando in contatto con pittori e scultori delle avanguardie, con Balla e Boccioni ad esempio. Lei veniva giudicata una scrittrice ottocentesca ma invece va ricollocata nel Novecento, dove è sempre stata. La tradizione sarda la filtrava attraverso l’esperienza moderna. Ha permesso di conservare un patrimonio di usanze e ci ha restituito quel mondo con i suoi sapori e odori.

Maria Luisa Abate
Mantova, Festivaletteratura, Auditorium del Conservatorio 7 settembre 2022
Contributi fotografici: MiLùMediA for DeArtes