Mantova: Festivaletteratura. ‘Scrivere è la memoria della parola’. L’intellettuale, affiancata dall’attrice Lella Costa, parla del golpe di Pinochet e del recente referendum in CiIe.
Una donna della cui esistenza dobbiamo essere grati. Diamela è un enorme privilegio per tutto il Festivaletteratura e per il Paese. Con queste parole Lella Costa introduce Diamela Eltit, una delle voci più significative della letteratura cilena contemporanea. Una intellettuale da sempre impegnata politicamente a denunciare, anche attraverso le pagine dei suoi libri, ogni forma di oppressione. Anche Lella Costa è da sempre una attrice impegnata. A lei, un applauso speciale per aver partecipato all’incontro anche se visibilmente indisposta: un segno di rispetto verso il pubblico, che non è da tutti.
La conversazione inizia da una data che fa da spartiacque, l’11 settembre 1973 (n.d.r. quando un golpe rovesciò il governo presieduto da Salvador Allende e mise al governo una giunta militare guidata dal generale Augusto Pinochet). La settimana prima della conferenza mantovana, domenica 4 settembre 2022, in Cile si è tenuto il referendum sulla Costituzione che intendeva sostituire il testo entrato in vigore sotto Pinochet con un nuovo testo che dava spazio alla tutela dell’ambiente, all’uguaglianza di genere e all’autonomia delle popolazioni indigene. Ma la nuova Costituzione non è stata approvata. Chiede Lella Costa: la riforma della Costituzione veniva definita la più femminista del mondo. Cosa è successo?
Diamela Eltit parla, in cileno con traduzione, di un risultato disastroso. Ci stiamo ancora chiedendo come sia successo: ci siamo sbagliati tutti, è mancato uno sguardo su quello che accadeva. Forse il tema identitario era troppo intenso. Era la prima volta che si scriveva una Costituzione paritaria, cui partecipavano in egual misura uomini e donne. Forse ha sollevato il fenomeno del machismo. Ed era la prima volta che si interveniva sui popoli indigeni sempre maltrattati, che sarebbero diventati una popolazione di serie A. Si aggiungono le fake news che hanno accompagnato il clima elettorale.
La conversazione si sposta sul libro della Eltit “Errante, erratica”, una raccolta di saggi alcuni inediti e altri pubblicati su riviste, di cui l’attrice legge alcuni stralci. Riemergono gli avvenimenti di quell’11 settembre, i soldati in divisa, i proclami da rispettare, la voce di Salvador Allende che si sentiva alla radio in quello che sarebbe stato il suo ultimo discorso. È ciò che ogni libro dovrebbe essere: ogni riga ti colpisce con una potenza e lucidità che sorprende.
L’autrice aggiunge che ancora oggi, e per tutta la vita, nel ripensare a quel tempo provo una forte angoscia. Ho cercato di non provarla, ma non mi riesce. Ancora oggi è difficile guardare i volti delle persone imprigionate e che sono desaparecidos. I loro parenti, ormai anziani, chiedono tuttora che fine abbiano fatto. E pensare che quelle persone sono ancora comprese nelle liste elettorali. È una cosa che non si è mai conclusa perché non c’è stato un processo di elaborazione.
Poi c’è la storia di coloro che sono stati fucilati ma sono sopravvissuti. Citando Primo Levi, sono coloro che sono tornati dalla morte, ma anche se sono in vita, hanno cessato di vivere. Diamela Eltit spiega che i primi tempi della dittatura i militari spingevano gli oppositori ai bordi di laghi o fiumi e li fucilavano in modo che finissero in acqua. Alcuni sopravvissero. La cosa sorprendente è che loro stessi si definiscono morti. Dicono: “io sono stato fucilato”, e quindi sono testimoni della propria morte.
Chiede Lella Costa: Si può, è lecito, trovare una misura tra il dovere della memoria, invitare a ricordare fatti dolorosi e lontani, e il sollievo di potersi occupare anche di altro? È possibile che la memoria non diventi un peso, un vincolo? È possibile trovare questa misura?
Sì, risponde la scrittrice cilena. È difficile perché la vita ci assale. Io ho avuto il privilegio di scrivere, che è la memoria della parola. Attraverso i testi deambula la vita. In gioventù ho avuto il dramma di vivere la dittatura ed è una cosa che non auguro a nessuno. Giovani che hanno vissuto il coprifuoco, abituati a non parlare, a non dire parole che avrebbero potuto denunciare quello che eravamo e che pensavamo. Abbiamo visto bambini fucilati o a cui venivano tagliati i capelli con il machete. La memoria non ti lascia tranquillo. Per diciassette anni sono rimasta in Cile, ho dovuto adottare nuovi codici perché i militari erano presenti ovunque. Non voglio confrontare il mio dramma con altri: questo è il dramma cileno.
E dal punto di vista della scrittrice? Chiede Lella Costa. Nasciamo uomo o donna, nasciamo appartenenti a un genere. A me interessa come decostruire questo genere imposto, che è una questione culturale. Ma perché si riesca a raggiungere la parità mancano ancora 200 anni. Non esiste una guerra tra uomini e donne, è una questione concettuale. Fra 200 anni saremo “ugualini” e potremo finalmente amarci.
Fare la scrittrice è un lavoro, un modo di pensare e uno spazio di libertà. Nella fiction letteraria è un continuo incontro con l’altro e con gli altri. Il mio principale obiettivo è lasciare il testo vivere liberamente, lasciare i personaggi vivere la loro vita. Per me la scrittura non è solo un atto di libertà per i contenuti, ma lasciare anche liberi i personaggi. Spesso mi chiedo: perché mi permetto di far parlare male i miei personaggi? Ma se loro parlano così, cosa devo farci? E se non me lo pubblicano? E che ci posso fare?
Maria Luisa Abate
Mantova, Festivaletteratura, Basilica di Santa Barbara 9 settembre 2022
Contributi fotografici: MiLùMediA for DeArtes