Mantova: Festivaletteratura. ‘Joyce ci fa stare bene come davanti al mare deserto’. L’accademico Enrico Terrinoni affronta il romanzo tacciato di essere ostico.

Il titolo dell’incontro era indicativo: “L’Ulisse di James Joyce, un libro per tutti”. Tuttavia l’esposizione ha assunto un livello quasi universitario, confermato dagli interventi del pubblico qualificato. Al tempo della sua prima pubblicazione, l’opera fu erroneamente giudicata come destinata a lettori esperti. Enrico Terrinoni sfata questa convinzione adducendo motivazioni che sviscera in profondità, affascinanti per le numerose citazioni/digressioni, dal gruppo musicale Iron Maiden al comico Bergonzoni, fino alle leggi della termodinamica.   

Enrico Terrinoni, capelli ribelli e braccialettini ai polsi, filologo, docente universitario, saggista, collaboratore delle maggiori testate giornalistiche italiane, traduttore (la sua traduzione dell’Ulysses ha vinto nel 2012 il Premio Napoli per la lingua e la cultura italiana. Sempre dell’Ulysses ha pubblicato la prima edizione bilingue annotata al mondo) affronta con mente aperta questo libro più comprato che letto. Si domanda innanzitutto cosa abbia ancora da dirci oggi il romanzo dell’autore irlandese.

Joyce ci fa stare bene come davanti al mare deserto. Joyce accarezza il linguaggio come una bambina accarezza l’erba. Joyce ha scritto l’Ulisse per consentirci di essere più a nostro agio nel mondo. Per molti è ostico, difficile, elitario, non si fa capire; alcuni invece lo reputano una guida per la nostra vita. Joyce voleva elevare il suo pubblico e farlo arrivare a uno stadio superiore, voleva rivoluzionare il linguaggio e la lingua stessa.

Joyce ebbe una vita costellata da difficoltà. Visse per molto tempo in Italia, a Trieste. Quando uscì l’Ulisse la sua notorietà arrivò fino a Parigi, eppure non volle partecipare a eventi pubblici, non volle far parte del jet set. Regalò l’edizione al cameriere del ristorante dove andava a mangiare, perché sperava che il suo lavoro fosse letto da persone normali. Terrinoni racconta di aver scoperto, durante i suoi studi alla Biblioteca di Manchester, che Joyce prima di morire voleva scrivere The people Ulysses, l’Ulisse del popolo. Joyce quindi ha un afflato popolare, ma scrive libri non per tutti.

Giorgio Manganelli definisce Joyce uno scrittore oscuro. Ma, replica Terrinoni, oscuri sono anche Dante e William Blake. Oscuro, come nella scienza, non vuol dire che è nero, ma che non lo conosciamo, non lo possiamo misurare. Joyce è oscuro come una canzone degli Airon Maiden. È uno scrittore di cui dobbiamo diventare contemporanei. Io credo che le grandi opere si fondino sul passato a guardino al futuro.

Joyce voleva scardinare il determinismo, un set di condizioni che possono portare a tante conseguenze. Punta tutto sull’idea che la letteratura e la lingua si basino su ambiguità che non possiamo comprendere in maniera definitiva. La relazione tra il testo che io leggo e quello che c’è scritto: questo è Joyce. Insegna che quello che noi leggiamo, la nostra lettura, non è universale ma è soggetta a cambiamenti.

Joyce dice che la prima azione che fa un uomo al mattino è portare la colazione alla moglie. Le critiche lo accusano di essere un bolscevico, di essere contro la religione cattolica, perché mette al centro la donna. Perché scelse di scrivere di questo eroe? Perché era un pacifista assoluto, stava arando il campo quando gli chiesero di andare in guerra. Durante il primo conflitto mondiale era a Zurigo, per proteggere la sua famiglia e perché era contrario all’ideologia bellica.

Ulisse è scritto in irish english, ossia nell’inglese che parlavano gli irlandesi. Ma nel libro troviamo un caleidoscopio di lingue che colonizzano la lingua inglese. Joyce fa dire la parola “pace” in 29 lingue diverse, come farebbe Bergonzoni. Joyce era un rivoluzionario, era convinto che la parola chiave della nostra vita non fosse “identità” ma “emancipazione”, un termine che noi riduciamo a una sfera molto ristretta. Invece emancipazione è un modo di vivere. La prima emancipazione è quella linguistica.

Di Ulisse bisognerebbe leggere tre righe al giorno e impiegare diciassette anni.

Maria Luisa Abate
Mantova, Festivaletteratura, Basilica Santa Barbara 11 settembre 2022
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