È in corso il Festival Verdi del Teatro Regio di Parma, che tra le tappe nel territorio è sbarcato al Teatro Magnani di Fidenza, dove ha portato un allestimento de Il trovatore debuttato nel 2016. La regista Elisabetta Courir ha privilegiato le tinte scure, non tetre ma quelle tenebrose di una notte perenne. Il color piombo totalizzante, con le luci (di Gianni Pollini) a scolpirne i contorni, era interrotto dal candore dei gigli le cui corolle erano sparse sul pavimento o che hanno formato un drappo sceso dal cielo. Emblemi per eccellenza di purezza, nella regia che ha privilegiato un linguaggio tra il simbolico e il minimale, di una pulizia formale assoluta, perseguita anche dalle scene (di Marco Rossi) costituite da due blocchi semoventi di scalini, e dai costumi atemporali e ricercatamente anonimi (di Marta Del Fabbro).
Altro elemento che ha interrotto il grigiore è stata la sciarpa rossa passata dal collo di Manrico a quello di Leonora. O meglio, delle due Leonore. Infatti la regista ha fatto ampio uso dei “doppi” e, in particolare, ha posto accanto alla Leonora cantante, una Leonora figurante ancora adolescente (coreografie di Michele Merola). Ciò ha permesso di correlare il presente e il passato: l’oggi preda di ossessioni e sofferenze, in contrasto con le giovanili aspirazioni di ieri. I due elementi, assieme, hanno suggerito un futuro cupo. Un libro già scritto dal destino che la Leonora/cantante ha osservato posta in disparte. Sotto i riflettori a livello attoriale era infatti la Leonora/mima, portatrice di un messaggio universale di speranze destinate a infrangersi di un’esistenza segnata dal dolore, della vita che scorre in parallelo con la morte.
Tale regia, impostata demandando la gestualità non all’interprete canora ma alla sua alter ego, si è rivelata inaspettatamente ideale nella situazione venutasi a creare. Infatti, una indisposizione ha colpito l’annunciata Silvia Dalla Benetta e ha comportato, all’ultimo momento, una sostituzione, di extralusso, con Anna Pirozzi. Una voce immensa, parsa ancor più sconfinata nella sala del Teatro Magnani, una bomboniera preziosa ma assai piccola di dimensioni. Nell’ascolto a distanza ravvicinata, i mezzi superlativi di Anna Pirozzi sono svettati con limpida impetuosità, trovando poco dopo l’optimum dei volumi tarati ad hoc. Un meraviglioso flusso drammatico presentante quell’energia indispensabile a dare linfa al personaggio di Leonora e ai suoi tormenti, che il soprano ha voluto mai scevri dalla determinatezza e dalla forza interiore. Assieme al fraseggio levigato, alla ben nota ricchezza della tavolozza coloristica, agli acuti corposi, hanno coronato il tutto i ‘pianissimo’ di eccelsa soavità in cui Pirozzi è regina. Una presenza troneggiante che ha prodotto un certo disequilibrio nel pur notevole cast.
Acuti schietti e ben sostenuti uniti alla naturale musicalità per Angelo Villari, spavaldo Manrico che il tenore ha saputo cingere di eroismo. Il baritono Simon Mechlinski ha vestito i panni del Conte di Luna, figura che meriterebbe un maggiore affinamento ma ben risolta attingendo all’eleganza della voce importante. Enkelejda Shkoza, anch’ella giunta in sostituzione dell’indisposta Rossana Rinaldi, ha mostrato qualche opacità nella sua Azucena, arricchita d’una carica di pathos che ha visto la zingara impietrita dal terrore generato dalle sue stesse parole. A Ferrando spettava inquadrare, in apertura, l’antefatto; compito che il basso Alessandro Della Morte ha svolto con intensità espressiva. Hanno completato il cast i bravi Davide Tuscano, Ruiz e messo; Ilaria Alida Quilico, Ines; Chuanqi Xu, Vecchio zingaro.
Capace di per sé d’esplicitare sentimenti e delineare atmosfere il Coro del Teatro Regio di Parma, preparato al meglio da Martino Faggiani.
Proponendo all’ascolto l’edizione critica della partitura a cura di David Lawton, Sebastiano Rolli è salito sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini dall’organico molto ridotto e indiscutibilmente sacrificato nell’angusto golfo mistico. Un fattore tecnico che ha portato ad apprezzare meno del dovuto la consueta ricercatezza che Rolli ripone nello studio della partitura, sfociata in una drammaticità che, in questo difficile spazio, ha assunto accenti fin troppo equilibrati. Esito comunque sofisticato, per palati fini.
Repliche fino al 13 ottobre 2022
Recensione di Maria Luisa Abate
Contributi fotografici Roberto Ricci
Visto al Teatro “Magnani” di Fidenza, Festival Verdi, il 24 settembre 2022