Un concerto veramente magnifico. Il direttore Daniele Giorgi, in evidente stato di grazia, ha dimostrato una sensibilità e una cifra interpretativa davvero notevoli. I colori e le dinamiche non sono mai stati spinti alla ricerca dell’effetto fine a se stesso, ma alla comunicatività del flusso sonoro che, utilizzando l’Orchestra Leonore come generoso vettore, ha portato fino agli spettatori cuore anima e pathos.

Ludwig Van Beethoven ha aperto e chiuso il programma. Esordio con la gemma malinconica della Cavatina (il quinto di sei movimenti) dal Quartetto per archi n.13 op. 130, nella versione per orchestra d’archi. Conclusione, sempre nel nome del genio di Bonn, con la Sinfonia n.7 op. 92 che Wagner definì “apoteosi della danza” per la sua ricchezza e varietà di ritmi. In questo caso “danza” è da intendersi come floridezza del movimento, come vortice di sentimenti, come turbinio di passioni, ora liete ora venate di mestizia, ora serene ora dolorose, sempre sprizzanti vitalità. Ed esternate attraverso una gamma di sfumature che Daniele Giorgi è riuscito nell’intento di rendere evidente ma non sfacciata, dai contorni nitidi e dal dipanarsi morbido. Nella Sinfonia beethoveniana, Giorgi, seguito dall’eccellente compagine orchestrale, con apparente facilità – che è stata la caratteristica di maggior pregio di tutto il concerto – ha condotto gli ascoltatori all’interno di una costruzione sonora estremamente curata nella forma, votata alla cantabilità, foriera d’una dimensione arcadica portatrice di serenità.

Il centro del programma era riservato al compositore novecentesco statunitense Samuel Barber. Le note commoventi dell’Adagio per archi, collegabili allo stralcio beethoveniano udito poco prima, sono state precedute dal Concerto per violino e orchestra op.14, che ha visto acclamato protagonista Valeriy Sokolov, uno dei più talentuosi violinisti del panorama attuale (per rispondere alla domanda che ogni volta serpeggia tra il pubblico: no! Valeriy, nato in Ucraina nel 1986 non è parente del pianista russo Grigorij che porta lo stesso cognome).

Anche per lui la “parola d’ordine” è stata cantabilità. Il flusso sonoro è risultato fluido così come il fraseggio, che ha goduto di ampi respiri; l’intonazione è stata perfetta. Agevolmente superato, lo scoglio del cambio di registro tra i primi movimenti, che richiedono slanci lirici, e il terzo, che necessita di maggiori doti virtuosistiche. Punto di forza di Sokolov è possedere una tecnica solida che sembra dono naturale. E certamente in parte lo è. La vitalità ritmica, la meticolosa ricerca stilistica, l’attenzione a un discorso d’assieme sia personale sia in dialogo con l’orchestra, sono tutti elementi che hanno condotto a una espressività tanto curata nello studio quanto è parsa spontanea nell’esito. E soprattutto che ha avuto il pregio, la dote, il merito di arrivare con facilità, e nella sua interezza, al pubblico.

Recensione Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Sociale di Mantova per Tempo d’Orchestra il 12 novembre 2022
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