Mancano pochi giorni alla prima al Teatro alla Scala, che inaugura la Stagione con il titolo di Musorgskij, nella prima versione che scrisse il compositore. Qui le foto delle prove.
La Stagione d’Opera 2022/2023 del Teatro alla Scala si inaugura il 7 dicembre 2022 alle ore 18 con Boris Godunov di Modest Musorgskij, diretto dal Maestro Riccardo Chailly con la regia di Kasper Holten. Le scenografie sono state disegnate da Es Devlin, Ida Marie Ellekilde firma i costumi e Luke Halls i video, mentre le luci sono di Jonas Bǿgh.
Interpreti delle parti principali sono Ildar Abdrazakov nelle vesti del protagonista, Ain Anger come Pimen, Stanislav Trofimov come Varlaam, Dmitry Golovnin come Grigorij e Norbert Ernst come Šujskij, mentre Lilly Jørstad è Fëdor. Il Coro del Teatro alla Scala è diretto dal Maestro Alberto Malazzi.
La Prima, come ogni anno anticipata dall’Anteprima Under30 il 4 dicembre, è trasmessa in diretta in esclusiva da Rai Cultura su Rai1. È possibile seguire la serata anche su Radio3 e Raiplay; sono numerosi gli accordi con le televisioni internazionali, cui si aggiungono oltre 60 cinema in tre continenti (dettaglio sulle dirette RAI e sulla diffusione, vedi notizia DeArtes qui).
La settimana dall’1 al 7 dicembre è animata dalle iniziative e dalle oltre 40 proiezioni di Prima Diffusa (notizia dettagliata DeArtes vedi qui) cui si aggiungono i tradizionali appuntamenti di preparazione in Teatro.
Titolo ricorrente delle stagioni scaligere fin dalla prima italiana del 1909 voluta da Toscanini (ma diretta da Edoardo Vitale), diretto tra gli altri dallo stesso Toscanini ma anche da Guarnieri, Votto, Gavazzeni e Gergiev, Boris Godunov apre la Stagione scaligera per la seconda volta dopo la memorabile edizione diretta da Claudio Abbado nel 1979 con la regia di Jurij Ljubimov.
La versione scelta è quella primigenia del 1869, che sgomentò i contemporanei per i tratti innovativi e realistici tanto dal punto di vista drammaturgico quanto da quello musicale, e si concentra sul tema della colpa individuale e sulle sue inevitabili conseguenze. Una vicenda cupa e attuale che riecheggia l’argomento del Macbeth verdiano con cui il Teatro alla Scala ha inaugurato la Stagione 2021/2022.
LA TRAMA
Siamo nel 1598: morto lo zar Fëdor, guardie e sacerdoti esortano il popolo a pregare perché il boiaro Boris Godunov accetti di ascendere al trono. Infine l’incoronazione ha luogo nella piazza delle cattedrali del Cremlino con un’imponente cerimonia turbata però da alcuni disordini. In una cella del monastero di Čudov l’anziano monaco Pimen sta per terminare la sua cronaca delle vicende della Russia. La cronaca riporterà la verità sull’assassinio dello zarevič Dimitri, legittimo erede al trono, perpetrato su ordine di Boris. Pimen narra il delitto al novizio Grigorij, che avendo la stessa età dello zarevič risolve di farsi passare per lui e guidare una rivolta contro Boris per impossessarsi del trono. Grigorij ripara in Polonia evitando l’arresto attraversando la frontiera con la Lituania. Le ultime scene narrano fatti accaduti nel 1604: i figli di Boris, Xenia e Fëdor sono cresciuti; lo zar governa un paese ormai stremato dalla carestia in cui il malcontento serpeggia tra il popolo e si moltiplicano le voci sul regicidio commesso, mentre alle frontiere premono le forze ribelli guidate da Grigorij. Perseguitato dal fantasma dello zarevič, Boris Godunov perde il senno e muore dopo un’ultima esortazione al figlio Fëdor.
RICCARDO CHAILLY E BORIS GODUNOV
Tra gli ormai numerosi percorsi di cui si compone la più che quarantennale esperienza scaligera di Riccardo Chailly, quello che attraversa il repertorio russo ha un rilievo particolare. Dopo il precoce debutto sul podio dei Masnadieri nel 1978, chiamato da Abbado a sostituire Gavazzeni, nel 1979 Chailly ottiene un caldo successo personale dirigendo The Rake’s Progress di Stravinskij al Lirico, cui segue nel 1981 il rompicapo critico e interpretativo rappresentato da La fiera di Soročincy di Musorgskij, risolto brillantemente. Nel 1994 è la volta dell’Angelo di fuoco di Prokof’ev, un successo che sono in molti a ricordare ancora.
«Nel corso delle prime stagioni della mia Direzione musicale – spiega il Maestro – ho ritenuto necessario un impegno esclusivo sul repertorio italiano, con i percorsi dedicati a Giacomo Puccini, alla “Trilogia giovanile” di Giuseppe Verdi e alle opere che hanno avuto alla Scala la loro prima assoluta. Oggi è venuto il momento di dare spazio anche ad altre voci che fanno parte a pieno titolo della storia della Scala. Il Boris Godunov di Modest Musorgskij ebbe nel nostro Teatro la sua prima rappresentazione italiana nel 1909 con la direzione di Edoardo Vitale e Fëdor Šaljapin come protagonista, e rimase nelle stagioni successive come presenza costante, in particolare grazie ad Arturo Toscanini che lo diresse per quattro Stagioni tra il 1922 e il 1927, ad Antonio Guarnieri che lo ripropose nel 1935, 1941 e 1946, e quindi, tra gli altri, ad Antonino Votto e Gianandrea Gavazzeni.
Nel 1979 Boris Godunov fu la seconda opera non italiana a inaugurare la Stagione il 7 dicembre dopo il Fidelio diretto dal Karl Böhm nel 1974: una scelta di apertura voluta da Claudio Abbado che ne diede un’interpretazione memorabile insieme al regista Yurij Ljubimov. Ero allora assistente di Abbado e ricordo i mesi di prove per realizzare uno spettacolo molto innovativo che fu anche oggetto di critiche ma che è poi rimasto nella storia interpretativa dell’opera oltre che in quella della Scala.
Tullio Serafin scriveva che la grandezza del Boris è forse debitrice del cupo realismo con cui Verdi dipinge la vertigine del potere in Macbeth. Presentare le due opere in due inaugurazioni consecutive assume anche questo significato. Questo Boris Godunov, che come ogni 7 dicembre sarà ripreso dalle telecamere di Rai Cultura, è per me l’imprescindibile punto di arrivo di un percorso nella musica di Musorgskij che ho iniziato da molto giovane dirigendo a Firenze e a Bologna la scena della morte del protagonista con un interprete storico come Boris Christoff insieme ai Canti e danze della morte, e che ha avuto un’importante tappa scaligera durante il Festival Musorgskij del 1981 con La fiera di Soročincy con la regia di Sylvano Bussotti».
LO SPETTACOLO
Lo spettacolo firmato da Kasper Holten e dal suo team creativo propone una lettura dell’opera incentrata sui temi della coscienza opposta al potere e della verità opposta alla censura. Alla radice della riflessione registica c’è l’origine del libretto, il dramma di Puškin, composto nel 1825 e pubblicato nel 1831. Affrontando l’epopea del “periodo dei torbidi” Puškin si ispirava apertamente ai grandi drammi storici shakespeariani, non solo nella grandiosità dell’affresco ma anche nella profondità dei personaggi. È interessante d’altra parrte osservare come Shakespeare sia vissuto al tempo del Godunov storico. Proprio al teatro di Shakespeare si rifanno alcune soluzioni adottate nello spettacolo, come la rappresentazione del senso di colpa attraverso la materializzazione di fantasmi, reali o immaginati, sulla scena. Lo spettro dello Zarevič trucidato da Boris per conquistare il potere sarà un elemento ricorrente, segno visibile della colpa e infine della follia del suo assassino.
Un altro elemento che verrà posto in primo piano è la figura di Pimen, che vedremo in scena fin dall’inizio intento a scrivere la sua cronaca, testimonianza veritiera e quindi politicamente pericolosa dei fatti che Boris e i suoi scribi tentano di occultare. Al centro dell’allestimento sarà esattamente questo richiamo alla verità e alla necessità di testimoniarla. Lo spettatore sarà trasportato all’interno della cronaca di Pimen e quindi della Storia, in cui passato presente e futuro si intersecano e si influenzano. Una Storia circolare in cui la violenza torna come una costante.
La vicenda, articolata in sette scene, è divisa in due parti ben distinte che saranno sottolineate dall’inserimento di un intervallo: nelle prime quattro scene assistiamo alla cerimonia pubblica dell’incoronazione come mezzo propagandistico per trascinare il popolo, alla sovversiva testimonianza di verità di Pimen e alla decisione di Grigorij di stravolgere questa verità per usurpare il potere: in breve assistiamo a ciò che accade a Boris guardandolo dall’esterno.
Nelle restanti tre scene – che si svolgono quasi sette anni dopo – siamo insieme a Boris, vediamo come questi cerca di convivere con la sua colpa, sentiamo la sua paura e il suo percorso verso la follia entrando nella sua mente. Anche qui i piani temporali si intersecano: i figli di Boris, Fëdor e Ksenija, avranno lo stesso destino dello Zarevič ma anche di tante vittime della violenza cieca del potere assoluto. Con la morte di Boris si chiude un circolo fatto di inchiostro e di sangue, in cui vediamo rappresentate insieme la Storia e la sua narrazione.
L’allestimento si avvale delle scenografie di Es Devlin. L’artista britannica ha ampliato il campo della sua attività dalla scenografia operistica ai grandi eventi, dalle cerimonie per le olimpiadi di Londra e Rio de Janeiro ai tour di Adele e Beyoncé fino alle grandi sculture in Trafalgar Square, per il Victoria and Albert Museum e Art Basel, fino all’originale collaborazione con il fisico italiano Carlo Rovelli.
I costumi della danese Ida Marie Ellekilde attraversano la storia spaziando con spirito creativo e non filologico dai tempi di Boris Godunov a quelli di Puškin, di Musorgskij fino ad alludere al presente.
LE VERSIONI DI BORIS GODUNOV
Per la sua nona inaugurazione di stagione il Maestro Riccardo Chailly ha scelto di dirigere Boris Godunov nella prima versione in sette scene presentata da Musorgskij ai Teatri imperiali di San Pietroburgo nel 1869. L’opera, tra i massimi capolavori del teatro musicale, ha gestazione e storia complesse. Il compositore, nato in una famiglia di proprietari terrieri e voltosi alla musica abbandonando la carriera militare, aveva subìto le conseguenze economiche dell’abolizione della servitù della gleba, riducendosi a una vita incerta e precaria, minata dall’alcol e dall’epilessia. Boris Godunov è la sua prima opera, e irrompe sulle convenzioni del teatro musicale del tempo con effetti dirompenti.
Il libretto, di pugno del compositore, attinge alla tragedia di Puškin e alla Storia dello Stato russo di Alexander Karamzin per disegnare uno shakespeariano dramma della colpa sullo sfondo del cosiddetto “periodo dei torbidi” (1598-1614), gli anni di anarchia compresi tra la morte di Ivan il Terribile e l’avvento dei Romanov. Per farlo Musorgskij immagina un linguaggio musicale visionario e anticipatore che spezza le forme chiuse dell’opera tradizionale a favore di un’adesione assoluta alla morfologia della lingua russa.
Dopo poco più di un anno di lavoro, dall’ottobre 1868 al dicembre 1869, Musorgskij presenta alla commissione dei Teatri imperiali di San Pietroburgo un’opera radicalmente innovativa: divisa in 7 scene, non presenta numeri chiusi, non contiene un intreccio sentimentale, non ha nessuna parte femminile di rilievo ma non prevede neppure un tenore eroico o amoroso. È il cosiddetto Ur-Boris o Boris originario: denso, cupo, profondo.
Oggi la Scala lo presenta come titolo inaugurale; allora era decisamente troppo inconsueto per la commissione, che lo respinse con sei voti contro uno. Il compositore procede quindi tra il 1871 e il 1872, in un periodo in cui divide la stanza con Rimskij-Korsakov, a una radicale revisione (la cosiddetta “versione originale”) che prevede l’aggiunta di tre nuove scene. Due costituiscono lo spettacolare “atto polacco” in cui non solo una serie di canzoni popolaresche interviene a smorzare la cupezza generale, ma la voce tenorile di Grigorij (il “falso Dimitri”) trova spazio ed espansione eroica accanto a Marina, il personaggio femminile che mancava alla prima versione. La terza, che rielabora temi della “scena dell’innocente”, sposta il finale dai toni dimessi della morte di Boris alla grandiosa rivolta nella foresta di Kromy. Non solo la continuità è spezzata a favore di una “drammaturgia a quadri” che si sposta tra luoghi e tempi diversi, ma tutta la musica è riscritta attenuando il realismo a favore di un più accentuato slancio lirico.
La revisione fu sufficiente a far rappresentare l’opera, che andò in scena al Mariinskij l’8 febbraio 1874, ma non a decretarne il successo. La critica e i colleghi accusarono l’autore di cattivo gusto e ignoranza musicale: di fatto un autentico linciaggio. La sopravvivenza del titolo sulle scene si deve in buona parte alla revisione completata da Nikolaj Rimskij-Korsakov nel 1896, che reinventa l’opera ricoprendola di un’orchestrazione lussureggiante di immensa seduzione ma in netto contrasto con le tinte scabre e severe volute da Musorgskij. Intanto nel 1928 il musicologo russo Pavel Lamm pubblica una revisione critica comprendente le due versioni originali in partitura, rispettose della volontà dell’autore e dei suoi accuratissimi manoscritti.
La prima esecuzione assoluta dell’Ur-Boris ha luogo il 16 febbraio 1928 a Leningrado. Una nuova versione è poi approntata da Šostakovič tra il 1939 e il 1940 e va in scena a Mosca nel 1959. La definitiva riscossa esecutiva dell’Ur-Boris dovrà attendere la versione del Kirov diretta da Valery Gergiev nel 1992.
Le diverse versioni del Boris – osserva Franco Pulcini – rispecchiano diversi momenti del sentimento nazionale in Russia: l’Ur-Boris riecheggia la tradizione religiosa e spirituale russa concentrandosi sul tema della colpa individuale con accenti per certi versi analoghi a Delitto e castigo di Dostoevskij. Questo dramma della coscienza assumerà tratti più marcatamente storico-politici nella versione originale del 1874, con l’aggiunta dell’atto polacco. Il rifiuto di entrambe le versioni volute da Musorgskij riflette il senso di inferiorità dei russi ottocenteschi verso la cultura europea e il loro timore di apparire primitivi, brutali, selvaggi.
Un sentimento cui offre rifugio il magistero strumentale di Rimskij-Korsakov con la sua tinta fiabesca che attenua la violenza del realismo d’autore. L’epoca sovietica influenza invece la versione di Šostakovič in cui l’atto polacco diviene metafora del timore dell’aggressione esterna provato dai russi negli anni della Guerra fredda. L’Ur-Boris, con i suoi accenti shakespeariani e la sua riflessione quasi religiosa sui temi dostoevskiani del delitto, della colpa, del castigo inevitabile e della compresenza del bene e del male, presenta più di altre versioni un carattere di universalità.
BORIS GODUNOV, UN’OPERA SCALIGERA
Boris Godunov è uno dei titoli del grande repertorio internazionale più legati alla storia della Scala. Basti pensare che quella che andrà in scena il prossimo 7 dicembre sarà la 26a occorrenza del titolo nelle stagioni del Teatro: un’opera universalmente celebre ed eseguita come Carmen si ferma a 24. Al Piermarini ha luogo il 14 gennaio 1909 la prima italiana del Boris, che si colloca in un più ampio progetto di rinnovamento e internazionalizzazione del repertorio voluto da Toscanini tra le perplessità e spesso l’aperta opposizione del pubblico e della stampa. Se la definitiva apertura al repertorio wagneriano, culminata nel Tristano del 1923 in cui il grande direttore aveva avuto al suo fianco Adolphe Appia, resta al centro di questa rivoluzione, non minore rilievo hanno le prime di Salome di Richard Strauss nel 1906 e Pelléas et Mélisande di Debussy nel 1907.
Per il 1909 Toscanini disegna un cartellone che include oltre all’inaugurazione di carnevale e quaresima con La Valchiria, le prime di Elektra di Richard Strauss e di Boris Godunov con Fëdor Šaljapin che aveva trionfato nel Me!stofele di Boito. Nel 1908 tuttavia Toscanini lascia la Scala per il Metropolitan di Giulio Gatti Casazza: le tre opere straniere vengono affidate alla bacchetta di Edoardo Vitale e Boris ottiene un successo trasformato in trionfo soprattutto dall’interpretazione maiuscola di Šaljapin, ormai idolo dei milanesi che sono soliti incontrarlo al Bar Sì in Galleria per una bottiglia prima dello spettacolo.
Al suo ritorno alla guida del Teatro milanese Toscanini ribadisce nel modo più fermo la sua assoluta fede nell’opera, che viene rappresentata sotto la sua direzione nel 1922 (con Pertile come Grigorij) per 14 rappresentazioni e nel 1923 per 10, cui ne seguono ulteriori 8 nel 1924 e 2 nel 1927. Nel 1927 i bozzetti sono di Nicola Benois che firmerà le scene di tutti i Boris scaligeri fino al 1973.
Ormai Boris Godunov è parte del repertorio del nostro Teatro e resta una costante nella programmazione: nel 1929 sul podio sale Ettore Panizza, nel 1930 e 1931 torna protagonista Šaljapin con la direzione di Giuseppe del Campo, nel 1935 dirige Antonio Guarnieri che tornerà, con Tancredi Pasero protagonista, nel 1941 (Fëdor è Giulietta Simionato, la regia di Mario Frigerio) e a guerra finita nel 1946. Pasero canta anche nella ripresa del 1944 con Del Campo sul podio, e in quella del 1947 per l’inaugurazione della Stagione d’autunno diretta da Jonel Perlea.
Le edizioni del 1944 e 1946 si tengono al Teatro Lirico a causa del bombardamento del Piermarini. Dopo il ritorno nella sala storica ripristinata del 1947, nel 1949 direzione e regia vengono affidate a Issay Dobrowen con un nuovo protagonista: Boris Christoff, che era già stato Pimen due anni prima. Per una nuova produzione occorre attendere solo due anni: nel 1953 Antonino Votto dirige Nicola Rossi Lemeni nello spettacolo di Tatiana Pavlova che sarà ripreso nel 1956 ancora con Rossi Lemeni – ma per la prima volta nella seconda versione originale di Musorgskij (1872) – e nel 1960 con Boris Christoff nuovamente nella versione Rimskij-Korsakov, che sarà poi utilizzata in tutte le edizioni fino al ripristino dell’originale operato da Claudio Abbado nel 1979.
Nel 1964 la Scala ospita i complessi del Teatro Bol’šoj diretti da Evgenij Svetlanov con la regia di Leonid Baratov, ma già nel 1967 va in scena un nuovo allestimento diretto da Jerzy Semkov con la regia di Peter Shtarbanov, che segna il debutto scaligero nel ruolo del titolo di Nicolai Ghiaurov. Ghiaurov torna nel 1973 nello spettacolo di Josif Tumanov diretto da Gianandrea Gavazzeni che è anche il primo Boris scaligero con Romano Gandolfi Maestro del coro.
Claudio Abbado sceglie Boris Godunov per inaugurare la Stagione 1979/1980. Una decisione che sancisce il ruolo di quest’opera nella storia scaligera ma resta un gesto audace: l’unico titolo internazionale accolto nella serata di Sant’Ambrogio era stato Fidelio di Beethoven diretto da Karl Böhm. Abbado d’altra parte aveva già osato nel 1973 proponendo per il 7 dicembre un’opera buffa, L’italiana in Algeri con la regia di Ponnelle. Per l’evento si sceglie l’edizione originale nella versione di Pavel Lamm rivista da David Lloyd-Jones, il cast è imponente: Nicolai Ghiaurov è Boris, Nicola Ghiuselev Pimen, Marina Lucia Valentini Terrani, Varlaam Ruggero Raimondi, Rangoni John Shirley-Quirk e nella parte dell’ostessa torna Fedora Barbieri, che era stata Marina nel 1949. Colpisce tutti lo spettacolo ieratico di Jurij Ljubimov con la grande iconostasi disegnata da David Borovskij. In sala, grandi festeggiamenti per il primo 7 dicembre di Sandro Pertini che rifiuta il palco centrale e sceglie di sedersi in platea.
Lo spettacolo viene ripreso nel 1981 nell’ambito del Festival Musorgskij voluto da Abbado, che tornerà a dirigere l’opera nel 1983 al Covent Garden in un altro allestimento storico, quello di Andrej Tarkovskij. Nel 1989 è di nuovo il Bol’šoj a portare Boris Godunov alla Scala con la direzione di Andrei Chistyakov, la regia di Leonid Baratov e Evgenij Nesterenko protagonista. Negli anni seguenti la programmazione si sposta piuttosto su altri titoli del repertorio russo, ma nel 2002 Valery Gergiev insieme al regista Viktor Kramer presenta per la prima volta in una stagione scaligera (ma al Teatro degli Arcimboldi) l’Ur-Boris, ovvero la versione originaria presentata da Musorgskij ai teatri di San Pietroburgo nel 1969 e proposta oggi da Riccardo Chailly per il 7 dicembre 2022.
IL PROTAGONISTA
Ildar Abdrazakov giunge con Boris Godunov al suo sesto 7 dicembre. Dal debutto ne La sonnambula nel 2001 Abdrazakov ha cantato alla Scala ne La forza del destino, Macbeth, Samson et Dalila, Iphigénie en Aulide (con Riccardo Muti, 7 dicembre 2002), Fidelio, Moïse et Pharaon (con Riccardo Muti, 7 dicembre 2003), Carmen, Lucia di Lammermoor, Les contes d’Hoffmann, Le nozze di Figaro, Don Carlo, Ernani e le ultime tre inaugurazioni di stagione con Riccardo Chailly: Attila il 7 dicembre 2019, la serata “A riveder le stelle” il 7 dicembre 2020 e Macbeth il 7 dicembre 2021, oltre che in numerosi concerti.
Dotato di una tecnica vocale e di qualità sceniche che gli permettono di affrontare un vastissimo repertorio, Abdrazakov anche nei suoi impegni di queste stagioni spazia dall’Italiana in Algeri (Salisburgo 2022 e 2023 con Cecilia Bartoli, San Pietroburgo 2022) e da Il turco in Italia (Vienna, 2022) a Attila (Londra 2022), Don Carlo (Monaco di Baviera, 2022 e 2023), La damnation de Faust (Napoli 2023) fino appunto a Boris Godunov (Valdivostok e Milano 2022, Monaco di Baviera 2023). Alla Scala tornerà nel marzo 2023 per interpretare i quattro personaggi diabolici nei Contes d’Hoffmann diretti da Frédéric Chaslin. Intensa anche l’attività concertistica che dopo i gala all’Arena di Verona e a San Pietroburgo lo riporterà negli Stati Uniti nel 2023 con la Boston Symphony Orchestra diretta da Andris Nelsons.
C.S.
Ufficio Stampa Teatro alla Scala, 22 novembre 2022
Foto delle prove: credit Brescia/Amisano – Teatro alla Scala
Modest Petrovič Musorgskij
BORIS GODUNOV
Dramma musicale popolare in quattro parti (sette quadri)
Libretto di Modest Petrovič Musorgskij dalla tragedia omonima di Aleksandr Puškin e dalla Storia dello Stato russo di Nikolaj Karamzin
Edizione Schott Music
Edizione critica a cura di Evgenij Levašev (prima versione 1869) rappresentante per l’italia Edizioni Sugarmusic
Nuova produzione Teatro alla Scala
Produzione ideata da Kasper Holten ed Es Devlin
Direttore Riccardo Chailly
Regia Kasper Holten
Scene Es Devlin
Costumi Ida Marie Ellekilde
Luci Jonas Bøgh
Video Luke Halls
Personaggi e interpreti:
Boris Godunov Ildar Abdrazakov
Fëdor Lilly Jørstad
Kšenija Anna Denisova
La nutrice di Kšenija Agnieszka Rehlis
Principe Vasilij I. Šujskij Norbert Ernst
Andrej Ščelkalov Alexey Markov
Pimen Ain Anger
Grigorij Otrep’ev Dmitry Golovnin
Varlaam Stanislav Trofimov
Misail Alexander Kravets
L’ostessa Maria Barakova
L’innocente Yaroslav Abaimov
Guardia Oleg Budaratskiy
Mitjucha, uomo del popolo Roman Astakhov
Boiardo di corte Vassily Solodkyy
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
maestro del coro Alberto Malazzi
Con la partecipazione del Coro di Voci bianche dell’Accademia Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni.
DATE
Domenica 4 dicembre 2022, h 18:00 – Anteprima Under30
Mercoledì 7 dicembre 2022, h 18:00 – Serata inaugurale
Sabato 10 dicembre 2022, h 20:00 – Turno Prime
Martedì 13 dicembre 2022, h 20:00 – Turno A
Venerdì 16 dicembre 2022, h 20:00 – Turno B
Martedì 20 dicembre 2022, h 20:00 – Turno C
Venerdì 23 dicembre 2022, h 20:00 – Turno D
Giovedì 29 dicembre 2022, h 20:00 – Fuori abbonamento
PREZZI
Prima da 2.500 a 100 euro più prevendita
Repliche da 250 a 30 euro più prevendita
Infotel 02 72 00 37 44
www.teatroallascala.org