Un filo lega la modernità all’antichità ed è stato teso da Fátima Fernandes. La quale ha presentato le sue “Memorie di un’architetta. L’eredità del moderno” a una vasta platea riunita nella Sala dei Trionfi di Palazzo San Sebastiano, museo della città di Mantova. Con i preziosi reperti, si è confrontata la linearità delle opere create dalla portoghese che, come ha sottolineato l’architetto Federico Fedel, hanno aperto finestre in luoghi belli, come se questi già contenessero al loro interno il progetto.
Fátima Fernandes è nata a Trás-os-Montes in Portogallo e ha conseguito la laurea in Architettura e il dottoramento in Teoria e Pratica di Progetto a Madrid con la tesi “L’architettura nella costruzione del paesaggio”. Scelse allora l’Italia per trascorrevi gli ultimi dodici mesi di studi e invece vi rimase otto anni e si è dichiarata impressionata dalla quantità e qualità dei richiami alla storia incontrati a Mantova. Per gli architetti, ha spiegato, la memoria è uno degli elementi più importanti, che nelle nuove progettazioni viene trasferito all’interno delle case abitabili. Il concetto è traghettare la cultura del vivere, e del vivere bene, condizione indispensabile per gli spazi chiusi, mentre quelli pubblici aperti debbono connettersi alla collettività, creando occasioni di aggregazione.
I meccanismi che l’architettura produce, come i muri che indirizzano lo sguardo, i pavimenti, le coperture, sono disegnati per rispondere alle esigenze fisiche dell’uomo e anche per riuscire a dargli una “costruzione di sensi, di immaginazione, di spiritualità” che vada oltre i suoi bisogni concreti. L’architettura, più che di elementi fisici, è fatta di rifrazione della luce, di curve che creano una complessità spaziale, di materiali che riflettono i colori della luminosità. Le tecniche architettoniche devono basarsi sulla capacità di “mescolare elementi sensoriali”, e il locale all’universale. Questa, ha affermato Fátima Fernandes, è la vera scuola di architettura, dove scuola è da intendersi come forma del fare. La produzione non è mimesi, ma qualcosa che si trasforma in relazione al luogo.
Mentre le immagini sullo schermo mostravano vecchie fabbriche fatiscenti successivamente ripristinate, l’architetta ha spiegato che le tracce del passato, nel loro attuale degrado, non hanno valore finché non sono inserite in un contesto che avrà un futuro e acquisirà un nuovo significato. Le rovine di ieri costruiscono le case di domani. Il senso della decadenza dei luoghi non indica la visionarietà degli architetti, ma la loro capacità di vedere il futuro dell’uomo.
L’appuntamento è stato organizzato dall’associazione culturale Lac, Laboratorio di Architettura Contemporanea di Mantova, in collaborazione con la Fondazione “Leon Battista Alberti”, nell’ambito di un ricco calendario di eventi che spaziano dalle conferenze, alle mostre, alle iniziative di vario genere che invitano a riflettere sulla città e sul paesaggio urbano.

Maria Fleurent

Visto a Mantova il 18 ottobre 2018