«La musica è volersi bene: è un aspetto fondamentale della civiltà». Intervista / lectio sul barocco del soprano, atteso a Brescia per un concerto più masterclass. Da quando cantò accompagnata al pianoforte dall’Imperatrice del Giappone, ai seminari primaverili a Venezia.
Come molte cose belle, la chiacchierata con il celebre soprano è nata da una felice casualità di circostanze. L’intervista ha presto assunto i contorni di una gradevole e discorsiva lectio sulla musica barocca e sulla sua valenza nel mondo contemporaneo. Gemma Bertagnolli è considerata un punto di riferimento mondiale per il repertorio antico e barocco, sia come interprete, acclamata sui più prestigiosi palcoscenici internazionali, sia come docente. Oltre a tenere corsi e masterclasses, insegna al Conservatorio di Milano, svolge seminari all’Istituto Vivaldi della Fondazione Cini a Venezia, dove è stata tra i fondatori dell’Accademia Vivaldi. Ultimamente dedica la maggior parte del suo tempo proprio all’attività didattica, portata avanti con ferma convinzione e animo radioso.
Tra gli impegni artistici del futuro più ravvicinato, il concerto nell’ambito delle Settimane Barocche di Brescia, nella chiesa di San Giorgio l’11 dicembre 2022. Il programma spazia tra Monteverdi, Frescobaldi,Händel e altri compositori vissuti a cavallo del Cinque-Sei-Settecento. Il concerto viene preceduto, il 10 dicembre, da una masterclass pensata per gli studenti ma aperta a tutti gli interessati. La masterclass si svolge nella Sala Marcello del Conservatorio “Luca Marenzio” di Brescia.
Signora Gemma Bertagnolli, in questa settimana si ha l’opportunità di trovare accostate due diverse declinazioni del suo lavoro.
Sì, due degli aspetti fondamentali dell’attività che sto facendo e in cui credo profondamente: una masterclass e un concerto. Le date inizialmente previste sono state rinviate perché ho avuto il covid, in forma molto leggera rispetto alla prima fase della pandemia. Io abito nella zona che inizialmente è stata maggiormente colpita dal virus e mi fa molto piacere dare il mio piccolo contributo perché il pubblico si riabitui a frequentarle. I giovani sono quelli che più hanno risentito delle limitazioni e in loro il disagio fisico e psichico è ancora presente. Parallelamente alla mia attività artistica, ho molto piacere nel promuovere e seguire i miei ragazzi nelle loro produzioni e nelle loro ricerche. E sono molto contenta di essere proprio a Brescia che il prossimo anno 2023 sarà, assieme a Bergamo, Capitale Italiana della Cultura.
La sua missione di diffusione della conoscenza della musica barocca si estende quindi dal canto all’insegnamento?
Mi piace che la mia esperienza si traduca in applicazione per i prossimi che verranno e credo fermamente nel mio ruolo di docente. Come credo profondamente nel ruolo dell’arte nella nostra società e nella nostra civiltà, ancor più in una fase così tragica di guerra e di disagio. La funzione dell’arte è proprio di riportare l’attenzione sul nostro essere umani, con una pulsione all’evoluzione e alla bellezza. Io sono docente al conservatorio di Milano e a Brescia non avevo finora mai insegnato, ma mi piace “promuovere” il repertorio barocco.
Secondo lei, quale “anima” presenta il barocco musicale?
È un repertorio meraviglioso che parla della nostra sapienza antica e che ha bisogno di conoscere i codici di accesso, in maniera contemporanea, perché la distanza tra lo spartito scritto e la musica va colmato con la conoscenza delle convenzioni. Non parlo di tradizione esecutiva, parlo proprio di convenzioni.
Ci spieghi meglio, per favore: quali importanza rivestono le convenzioni nella musica antica?
Le note raccolgono una certa quantità di informazioni, ma non tutte le informazioni necessarie per l’esecuzione musicale. Ed è proprio su questo che si basa la funzione di docente. Io posso fornire gli strumenti per rendere attuale e viva una musica che ci appartiene e della quale non abbiamo un documento registrato, per cui a volte si fa fatica a comprenderla, a partire solo dalle note scritte in partitura.
Quindi in ambito barocco il compito del docente è prima di tutto forgiare la giusta sensibilità dell’interprete?
Esattamente. E pure la fiducia che anche musiche che inizialmente ci sembrano lontane si traducano sempre e comunque in emozioni contemporanee, perché in ogni epoca l’uomo parla delle sue passioni, dei suoi dolori, dell’amore, della fiducia, della disperazione… La conoscenza della prassi esecutiva deve proprio aiutarci a tradurre musiche lontane in emozioni contemporanee.
In altre parole, lei traghetta l’antico nel contemporaneo?
Il pensiero di Monteverdi o di Vivaldi deve muovere e commuovere gli esecutori e gli ascoltatori di oggi, con il massimo dell’intensità possibile. Attraverso la creatività, l’improvvisazione, l’ornamentazione, il fraseggio, l’accento drammatico.
Tutte caratteristiche che troviamo nell’opera lirica in generale. Nel repertorio barocco hanno declinazioni diverse?
Esattamente: più si va avanti nel tempo, più vengono scritte. Gli spartiti di Puccini sono pieni di indicazioni; gli spartiti di Vivaldi spesso non recano neanche “forte” e “piano”. Sono sfumature che non troviamo nello spartito ma che un esecutore deve conoscere e usare, necessariamente.
Non essendo indicazioni codificate, devono essere ricreate dagli insegnanti prima e dagli studenti poi, attraverso lo studio, l’esperienza, la sensibilità?
Diciamo che c’è una grande letteratura di trattati e un insegnante deve conoscerla. Ma non è detto che chiunque abbia uno spartito l’abbia già letta. Quindi il mio è un lavoro di divulgazione di un repertorio meraviglioso che frequento da tanti anni. C’è un grandissimo pubblico che ama questo repertorio, ma se guardiamo le percentuali, anche nei conservatori, è ancora una parte minoritaria lo studio della musica antica, benché in grande crescita.
Lei vanta una carriera sfolgorante con interprete, dal Teatro La Scala di Milano a La Fenice di Venezia, dal Théâtre des Champs-Élysées di Parigi, al Teatro dell’Opera di Roma, dal Maggio Musicale Fiorentino all’Accademia di Santa Cecilia a Roma. E poi Zurigo, Amsterdam, Potsdam, La Coruña, Pesaro, Salisburgo, Wexford e tanti altri teatri e festival di prima grandezza. È stata diretta, solo per fare pochi nomi, da Muti, Gatti, Oren, Metha, Sawallisch e molti altri. Scorrendo il suo curriculum spicca però una occasione diversa dalle consuete. Ce ne vuole parlare?
Insegnavo in Giappone e nell’agosto 2015 ho eseguito un concerto alla presenza degli Imperatori (che adesso sono gli Imperatori emeriti). Il giorno seguente Sua Altezza l’Imperatrice Michiko mi ha chiesto se volevo incontrarla. L’Imperatrice è pianista, abbiamo lavorato qualche ora, dopo di che mi ha accompagnato in un piccolo concerto; l’anno dopo ancora e l’anno dopo ancora, per tre anni. Conservo come ricordo delle fotografie molto belle. I concerti erano riservati alla liederistica. L’Imperatrice ha una curiosità e un rispetto inimmaginabile per la musica e per i musicisti. E anche tutta la Famiglia Imperiale: oltre all’Imperatrice emerita Michiko pianista, l’Imperatore emerito Akihito è violoncellista, il figlio, l’Imperatore attuale Naruhito è violista. Lo studio della musica fa parte dell’educazione fondamentale della Famiglia Imperiale giapponese. E non importa se sia concertisti o appassionati. Per loro lo studio della musica è una funzione necessaria nella cultura generale di una persona. La cosa sconvolgente è stata la curiosità, le domande, l’interesse ma soprattutto – è una cifra fondamentale dei giapponesi – il rispetto. È commovente.
Anche per lei è stata una tradizione famigliare?
Nella mia famiglia si suonava e si cantava, non perché fossimo dei geni musicali ma perché era normale cantare tutti assieme. Mio papà suonava l’organo, mia mamma cantava nei cori, mio nonno pure, i suoi fratelli cantavano, sua sorella anche. Era una tradizione avere la musica nel nostro lessico. È un linguaggio iper-verbale ma anche iper-emotivo, per cui raggiunge dei livelli di comunicazione molto più profondi. Io ho una figlia non musicista, è storica dell’arte, ma cantiamo assieme a due voci a squarciagola quando prepariamo l’albero di Natale. È un modo di volersi bene, il fare musica insieme, soprattutto a livello amatoriale. La musica è volersi bene: questo è un aspetto fondamentale della civiltà.
Lei è stata tra i fondatori dell’Accademia Vivaldi di Venezia, dove periodicamente tiene dei seminari.
Il diritto allo studio della musica dovrebbe essere un diritto di tutti. A Venezia, nell’Isola di San Giorgio Maggiore, ha sede la Fondazione Cini. È un centro di cultura che raccoglie diversi istituti, tra cui l’Accademia Vivaldi che da qualche anno, grazie alla motivazione del direttore Francesco Fanna, offre a studenti meritevoli la possibilità di frequentare corsi sulla prassi del repertorio vocale vivaldiano. E, questa è la parte fondamentale, senza costi di iscrizione e senza presentare alcuna dichiarazione dei redditi. Chi viene selezionato diventa borsista e accede gratuitamente, quindi può studiare senza pagare le lezioni. È un caso virtuoso e mi piacerebbe che altre istituzioni seguissero questo esempio, perché sarebbe importante offrire l’opportunità di approfondimento ai massimi livelli anche a chi non ha possibilità economiche. Ragazzi che arrivano da tutto il mondo e lavorano in spazi meravigliosi! Questo luogo è un mondo parallelo e offre una esperienza emozionante. Di questa competenza i ragazzi fanno tesoro, sono conoscenze che cambiano la vita, è come se fossero dei codici segreti. Lei dovrebbe vedere le facce dei ragazzi quando finiamo le lezioni. Insegnare in un luogo come questo è un privilegio e bisogna farlo con lo spirito giusto: non è uno spirito commerciale, è uno spirito civile e ai giorni nostri non è semplice ottenere queste condizioni.
Prossimi appuntamenti?
In gennaio sarò a Malta, al Festival Barocco, per un concerto con musiche di Scarlatti. Il prossimo anno sarò occupata in vari contesti; fra questi tornerò agli Amici della Musica di Firenze con un recital rossiniano. Ma mi interessa maggiormente l’attività didattica. Non faccio più opere da molti anni proprio perché sono inconciliabili con la didattica. Sì, continuo a studiare e cantare, ma sono molto selettiva, faccio pochi concerti al mese, uno o due al massimo, perché tengo tantissimo all’insegnamento e ai miei ragazzi.
E tra gli impegni futuri, come accennavamo prima, c’è un concerto a Brescia, al quale diamo appuntamento ai nostri lettori. Ce lo vuole descrivere?
Alle Settimane Barocche di Brescia ho cantato molti anni fa, ma da molto tempo non avevo più avuto questa occasione e mi fa molto piacere tornare. Dapprima è fissata la masterclass, pensata per gli studenti ma aperta a chiunque sia interessato ad approfondire la conoscenza della prassi esecutiva del barocco musicale, che si svolge nella Sala Marcello del Conservatorio “Luca Marenzio” di Brescia sabato 10 dicembre 2022. Il giorno successivo, l’11 dicembre, si tiene il concerto dal titolo “Il piccolo teatro delle passioni”, nella chiesa di San Giorgio a Brescia. Sono accompagnata al cembalo da Luca Oberti.
Potremmo raccontare il programma come un viaggio che va da Mantova e Venezia a Roma, dalle origini del melodramma al teatro da camera delle cantate haendeliane. Ma sarà piuttosto un viaggio tra le passioni dell’anima, narrate dalla voce femminile sostenuta dalle trasparenze intense del cembalo solo: dall’inizio della storia del melodramma, annunciato da Musica nel prologo de L’Orfeo, attraverseremo gli affetti più diversi ed estremi, la delusione per il tradimento nella scena della Strozzi, la rabbia di Ottavia, attivista ante litteram che denuncia la dolorosa condizione della donna, l’amore leggero di Silandra, che passa con disinvoltura da un’amante all’altro, l’amore sorprendente di Calisto, innamorata di Diana, per approdare ai racconti amorosi delle cantate di Händel, vero teatro d’opera pur nelle minime dimensioni dello spazio della camera, a cui sono destinate.
Il cembalo introdurrà, sosterrà e commenterà in un continuo dialogo con la voce anche nelle pagine solistiche che legheranno i capitoli del nostro racconto: emozioni contemporanee nell’estemporaneità dell’attimo presente della declamazione, in un percorso che attraverso la verità dei recitativi e la profondità d’affetti delle arie rivela pulsioni antiche come l’animo umano, e contemporanee come le emozioni che attraversano ancora e sempre il viaggio della vita di ciascuno di noi.
Intervista di Maria Luisa Abate per DeArtes
3 dicembre 2022
Immagine di copertina: foto di Gian Paolo Allegri