Il mitico pianista milanese dalle ottanta primavere affronta nuovamente le sonate per pianoforte op. 101 e op. 106 “hammerklavier” del genio di Bonn.
«La sua perfezione tecnica è forse ineguagliabile. E nonostante il suo apparente riserbo, questo è un artista rivoluzionario che sostiene compositori rivoluzionari». BR Klassik
Le Sonate Opp. 101 e 106 segnano il completamento della ricerca di Maurizio Pollini sulle cinque ultime Sonate per pianoforte di Ludwig Van Beethoven. Le sue storiche registrazioni degli anni Settanta di queste opere furono premiate all’epoca con un Gramophone Award. Qualche anno fa il pianista ha deciso di rivisitare le cinque Sonate. Nel 2019 ha effettuato, presso la Herkulessaal di Monaco, una strepitosa registrazione delle ultime tre (Opp. 109, 110 e 111) entrata nella Top 100 della classifica pop (GfK). Ora è tornato nella stessa sala per registrare le Opp. 101 e 106 considerate fra le composizioni tecnicamente più impegnative e musicalmente più audaci del repertorio concertistico. Deutsche Grammophon ha pubblicato il nuovo album il 2 dicembre 2022.
La natura donchisciottesca della Sonata in la maggiore op. 101 di Beethoven e la complessità della Sonata “Hammerklavier” op. 106 offrono infinite possibilità di interpretazione. «Ogni sonata per pianoforte di Beethoven è un mondo diverso», osserva Maurizio Pollini. «Trova un carattere particolare in ognuna di esse, dalla prima all’ultima. Ognuna è unica». La Sonata in la maggiore, aggiunge, «è molto libera». Composti nell’estate del 1815 e completati l’anno successivo, i suoi quattro movimenti sono nettamente diversi per stile e sostanza da quelli delle precedenti sonate per pianoforte del compositore. «È una grande sfida capirla e suonarla», dice Pollini.
La dimensione della sfida, tuttavia, impallidisce di fronte a quella posta da Beethoven nella Sonata “Hammerklavier”. L’opera era così difficile che, dopo la sua pubblicazione nel 1819, rimase ineseguita in pubblico fino a quando, diciassette anni dopo, il giovane Franz Liszt ne iniziò il percorso interpretativo nella Salle Érard di Parigi. Pollini la descrive come la «più grande sonata di Beethoven». Il suo movimento lento da solo è lungo quasi quanto tutti e quattro i movimenti che compongono l’altra sonata dell’album. «Si può pensare anche alla marcia funebre della Sinfonia ‘Eroica’: questi sono forse i due più grandi movimenti che Beethoven abbia mai composto», suggerisce il pianista.
La transizione verso la fuga del quarto e ultimo movimento, un sublime Largo, dissolve le percezioni ordinarie del tempo e dello spazio, come se si aprisse la porta di una dimensione spirituale altrimenti inaccessibile. Il brano prepara la strada a una fuga a tre voci sostenuta e sviluppata in una sequenza di episodi contrastanti che si combinano per sollevare la musica dal suo contesto storico e lasciarla rinnovata per ogni epoca a venire.
«A volte si ritiene che Beethoven sia tornato allo spirito della musica antica nelle sue ultime opere, ma questo è completamente sbagliato», conclude Pollini. «Egli utilizza tecniche antiche per rinnovare la sua musica».