È terminato il restauro dei due leggendari condottieri affrescati da Paolo Uccello e Andrea del Castagno nel Duomo di Firenze.
Chi entrerà in Cattedrale da sabato 17 dicembre 2022 potrà di ammirarli nel nuovo ritrovato splendore, liberati dai ponteggi del cantiere di restauro che li hanno coperti in questi mesi, o prendere parte alle visite guidate organizzate appositamente (https://duomo.firenze.it/it/home): si tratta di due magnifici affreschi di Paolo Uccello e Andrea del Castagno, che rappresentano i leggendari condottieri Giovanni Acuto e Niccolò da Tolentino.
Il restauro, iniziato a fine maggio 2022, è stato commissionato e diretto dall’Opera di Santa Maria del Fiore – sotto la tutela della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato – e reso possibile grazie ad American Express. L’intervento è stato affidato alla restauratrice Daniela Dini, che già nel 2000 si era occupata delle due opere.
I due capolavori hanno subito nel corso dei secoli numerosi restauri che li hanno segnati in maniera indelebile. Si è deciso di intervenire di nuovo perché, pur essendo lo stato di conservazione abbastanza buono, erano trascorsi più di venti anni dal precedente restauro e la superficie pittorica appariva offuscata da una patina scura uniforme, causata dell’accumulo di particolato prodotto dall’inquinamento e da polvere inerte depositatosi nel corso del tempo.
Di dimensioni quasi uguali – il monumento a Giovanni Acuto misura cm 855×527 e quello a Niccolò da Tolentino 833×512 – dei due cenotafi solo quello di Paolo Uccello è firmato, ed è la prima volta che l’artista firma una sua opera: “in un gesto di orgogliosa rivendicazione”.
Con il suo esercito, chiamato “Compagnia bianca”, composto da duemila arcieri gallesi dotati di enormi archi, alti quasi due metri, l’inglese John Hawkwood, soprannominato a Firenze Giovanni Acuto (1323 – 1394), è stato un leggendario condottiero e capitano di ventura a servizio di vari Stati e infine della Repubblica fiorentina. Niccolò Da Tolentino (1350 c. – 1435), dopo aver combattuto per i Malatesta e passato al servizio dei fiorentini, per le sue gesta fu nominato capitano generale di Firenze. Fu lui a guidare, riportando la vittoria, la terribile Battaglia di San Romano (1432), resa immortale da Paolo Uccello nel celebre trittico conservato agli Uffizi, al Museo del Louvre e alla National Gallery a Londra.
«I condottieri di Paolo Uccello e Andrea del Castagno, spiega Sergio Givone, Vice presidente dell’Opera di Santa Maria del Fiore, hanno per Firenze un particolare valore simbolico. Questo conferisce al restauro un alto valore non solo artistico, ma anche civile e culturale».
APPROFONDIMENTI:
LA STORIA DEI RESTAURI
L’intervento di restauro odierno ha avuto un carattere preventivo e conservativo. Per eliminare la polvere più superficiale si è intervenuti con una spolveratura con pennelli morbidi su tutta pittura, mentre quella più profonda è stata rimossa con una leggera pulitura a tampone con ovatta di cotone idrofilo e acqua deionizzata e carta giapponese interposta, cercando al tempo stesso di mantenere il più possibile il ritocco pittorico precedente di grande entità. Infine, è stato effettuato un puntuale ritocco pittorico, a velature tonali, nelle lacune tramite l’impiego di pigmenti naturali (vegetali e/o minerali).
Al 1524, risale il primo restauro dei due affreschi, ad opera del pittore Lorenzo di Credi che realizzò al contempo anche la cornice “a candelabre” sull’affresco di Paolo Uccello. Nel 1688 le due opere furono “rinvigorite” in occasione delle nozze del Principe Ferdinando, figlio di Cosimo III dei Medici, con Violante di Baviera.
Visto il cattivo stato di conservazione, nel 1842 il restauratore Giovanni Rizzoli, con un’operazione molto ardita, li distaccò dalla parete e li pose su una tela di canapa intelaiata solo ai lati.
Mentre il pittore Antonio Marini intervenne con un consistente restauro pittorico. Invece di rimetterli al suo posto, i due affreschi furono collocati nella controfacciata dove rimasero fino al 1946. Di nuovo in cattive condizioni, nel 1953, sarà la volta dell’importante intervento condotto da Dino Dini che, oltre a rimuovere i rifacimenti dei precedenti restauri e a fare un ritocco pittorico sulle lacune, toglierà i due affreschi dalla tela, ponendoli su un supporto rigido costituito da masonite temperata e un telaio in alluminio. Nel restauro del 2000, eseguito da Daniela Dini, le due opere sono state sottoposte a completa pulitura e a un vasto ritocco pittorico a velatura tonale nelle lacune.
LA STORIA DEI DUE MONUMENTI
IL MONUMENTO A GIOVANNI ACUTO
Nell’agosto del 1393, quando Giovanni Acuto era in procinto di lasciare Firenze, la Repubblica fiorentina ordinò l’esecuzione di un cenotafio scultoreo in suo onore in Duomo, cosa assolutamente eccezionale per una personalità ancora in vita. Al tempo però l’Opera di Santa Maria del Fiore non riuscì a dare corso all’esecuzione del monumento. Un anno dopo, nel marzo del 1394, Giovanni Acuto morì e fu sepolto con grandi onori nella Cattedrale di Firenze e in seguito le sue spoglie traslate nella città natale per volere del re d’Inghilterra Enrico II.
Trascorso un anno dalla morte dell’Acuto, il progetto di realizzare una tomba in marmo in Duomo fu ripreso ma abbandonato a favore di un affresco dipinto da Agnolo Gaddi e da Giuliano d’Arrigo detto Pesello. Una commissione che si inseriva in un contesto di opere celebrative destinate a fare di Santa Maria del Fiore un pantheon di personalità eminenti della storia fiorentina del Tre e Quattrocento.
Quasi mezzo secolo dopo, il 26 maggio del 1436, l’Opera di Santa Maria del Fiore deliberò di realizzare un cenotafio a Giovanni Acuto e appena quattro giorni dopo, il 30 maggio, il nome di Paolo Uccello comparve per la prima volta in un vero e proprio contratto, dove si richiedeva espressamente che il monumento fosse realizzato in “terra verde”. La commissione implicava il rifacimento del precedente affresco del Gaddi e del Pesello, che doveva essersi nel frattempo deteriorato.
Dopo un mese l’affresco del condottiero era terminato, ma ecco il colpo di scena: non venne ritenuto idoneo dai committenti e se ne ordinò il rifacimento. A Paolo Uccello venne imposto di replicare il dipinto che fu completato entro l’agosto del 1436, giusto in tempo per la solenne inaugurazione della Cupola del Brunelleschi il 30 agosto. A Paolo sarà data in aggiunta la cifra di 64 lire: “per sua faticha e prezzo di dipigniere due volte la persona e chavallo di messer Giovanni Aghuto”.
Dopo la seconda e definitiva versione dell’affresco, il 17 dicembre 1436, l’Opera chiese a Paolo Uccello di cambiare anche l’iscrizione posta sul sarcofago che riproduce le ultime le ultime righe di un panegirico a Fabio Massimo: DUX AETATIS SUAE CAUTISSIMUS ET REI MILITARIS PERITISSIMUS HBITUS EST.
La commissione a Paolo Uccello del cenotafio a Giovanni Acuto non è l’unica per il Duomo di Firenze e dimostrano come l’artista fosse considerato una figura di primo piano. Nel febbraio 1443 gli venne commissionata la dipintura del quadrante dell’orologio in controfacciata e due mesi più tardi la doratura della stella delle lancette e la stesura dell’azzurro sulla superficie sottostante. Nello stesso anno venne incaricato di disegnare due vetrate degli occhi della Cupola: la Resurrezione, la Natività e l’Annunciazione, quest’ultima andata perduta nel 1828.
IL MONUMENTO A NICCOLÒ DA TOLENTINO
Il monumento al condottiero Niccolò da Tolentino (1350 circa – 1435) ha una storia più breve e lineare. Morto nel 1435, si ha testimonianza di una grande folla alle sue esequie a cui partecipò anche Papa Eugenio IV. Venti anni dopo, nell’ottobre del 1455, la Signoria di Firenze deliberò di onorare la memoria del condottiero con un monumento in Duomo conferme “in modo e forma” a quello dell’Acuto, che fu terminato l’anno successivo, come da pagamento conclusivo registrato dall’Opera di Santa Maria del Fiore, per una cifra di 24 fiorini.
Tempi così stretti tra la progettazione del monumento dipinto e la sua esecuzione fanno pensare a una particolare attenzione della Signoria, forse motivata dai rapporti di amicizia in vita tra Niccolò da Tolentino e Cosimo il Vecchio. Andrea del Castagno aveva già lavorato per l’Opera di Santa Maria del Fiore nel 1444, come fornitore di cartoni per le vetrate, e poi nel 1446 per aver dipinto un giglio e due spiritelli sull’organo del Duomo, un Agnus Dei e per la doratura dello stesso strumento.
C.S.A.N.
5 dicembre 2022
Immagini courtesy: Opera di Santa Maria del Fiore