Al Museo Guggenheim, la mostra ripercorre 25 anni di carriera del pittore, caratterizzati da nuove idee: dal realismo magico al linguaggio dei segni costellati.
Il Museo Guggenheim Bilbao presenta “Joan Miró. La realtà assoluta. Parigi, 1920-1945”, una mostra che, dal 10 febbraio al 28 maggio 2023, esplora il percorso di uno degli artisti più rilevanti del XX secolo tra il 1920 e il 1945. L’inizio di questo periodo fondamentale nell’opera di Miró è segnato dalla data del suo primo viaggio a Parigi, una città cruciale per il suo lavoro e la sua biografia, e si conclude l’anno in cui, dopo avere realizzato le Costellazioni (1940-1941) e dopo un lungo periodo in cui dipinge pochissimo, Miró crea una grande serie di opere su sfondo bianco che consolidano il suo linguaggio dei segni che fluttuano su sfondi ambigui.
Nei 25 anni di carriera analizzati in questa mostra si registra un fermento costante di nuove idee, che vanno dal realismo magico degli esordi al linguaggio dei segni costellati. In questa trasformazione è evidente l’interesse di Miró per l’arte preistorica, comprese le pitture rupestri, i petroglifi e le statuine: lui stesso conferma questa passione nei suoi quaderni di note, in cui dichiara la volontà di tornare agli albori dell’arte e di recuperarne il senso spirituale originario.
L’opera di Joan Miró (Barcellona 1893 – Palma 1983) è ammirata per le sue innovazioni formali, sviluppate nel contesto delle prime avanguardie, soprattutto il dada e il surrealismo, ed è considerato pure un precursore dell’espressionismo astratto. Tuttavia, Miró è anche un artista interessato alle questioni spirituali e affascinato dalle visioni e dai sogni. Più recentemente sono stati anche sottolineati gli aspetti politici del suo lavoro. Alcune delle sue idee, come i riferimenti all’«assassinio della pittura», proclamate alla fine degli anni Venti in un momento in cui Miró dipinge senza sosta, continuano ad incuriosire per l’atteggiamento che anticipa l’arte concettuale.
A quarant’anni dalla morte la sua opera continua a interessare e affascinare e non ha perso nulla della propria enigmaticità. L’opera di Miró rappresenta un progetto mito-poetico esemplare, una costante trasformazione dell’esperienza vissuta nell’arte. Così come ignora il realismo tradizionale, Miró respinge altrettanto categoricamente l’idea dell’astrazione pura, affermando che tutti i segni che dipinge nelle sue opere corrispondono a qualcosa di concreto, essendo ancorati in una realtà profonda che fa parte della realtà stessa. In alcune dichiarazioni rilasciate alla rivista Cahiers d´Art nel 1939, Miró afferma: «Se non cerchiamo di scoprire l’essenza religiosa, o il senso magico delle cose, non faremo altro che aggiungere nuove cause di degrado a quelle che già ora circondano la gente».
APPROFONDIMENTO:
Il PERCORSO ESPOSITIVO
Miró si forma a Barcellona in un momento di gran fermento di sentimenti nazionalistici. All’epoca il capoluogo della Catalogna è una città conservatrice, ma alla fine degli anni Venti spiccano personalità di rilievo attratte dalle nuove idee artistiche che arrivano da Parigi, come il compositore Frederic Mompou, il poeta J. V. Foix, o lo stesso Miró. Barcellona accoglie vari artisti significativi delle prime avanguardie che vi si rifugiano durante la prima guerra mondiale, tra i quali Francis Picabia, Robert e Sonia Delaunay e Marcel Duchamp, e Miró li conosce. Il pittore catalano già allora ha voglia di viaggiare alla volta della capitale francese e commenta con i suoi amici le notizie che arrivano da lì. Immagina di trovare a Parigi una grande libertà artistica e di frequentare gli artisti, i poeti e i mercanti d’arte più innovativi del suo tempo, il che effettivamente poi gli succede.
1918-1920
In questo periodo Miró dipinge le opere denominate minuziose, caratterizzate dalla grande delicatezza e dalla concentrazione evidenti nell’esecuzione. In esse, le foglie degli alberi e delle piante sembrano calligrafie precise e minute che richiamano prassi artistiche orientali. Il mondo rurale, in queste prime opere, si trasforma in un mondo arcadico. Più che rappresentare la realtà con precisione, Miró dipinge le emozioni suscitate in lui dai paesaggi. La volontà di obiettività si trasforma in uno sguardo visionario. Di questa prima epoca è anche Autoritratto (1919), che risponde ancora a una volontà di oggettivazione legata alla realtà visibile. Quest’opera è lontana dai due lavori successivi, Autoritratto I (1937-1938) e Autoritratto II (1938). Nel primo, Miró si trasforma in una figura trasparente e gli occhi e le asole della camicia acquistano forme astrali o cosmiche, mentre il viso è l’emblema del suo mondo interiore. Nel secondo autoritratto del 1938, Miró si trasforma, letteralmente, nella notte: è la pura visione di sé stesso in un momento travolgente. In quest’opera, due cerchi rossi circondati da alte fiamme gialle fluttuano in uno spazio nero, senza limiti né orizzonte, circondati da stelle, pesci, uccelli, farfalle e forme astratte biomorfiche. Tutto suggerisce un’estasi.
PRIMI ANNI ’20
Nel 1923 Miró scrive al suo amico J. F. Ràfols e parla dei nuovi paesaggi che sta dipingendo: «Sono riuscito a rompere e a liberarmi definitivamente dalla natura e i paesaggi ormai non hanno nulla a che vedere con la realtà esterna», tutto alla ricerca di un «maggiore potere emotivo». La tela Interno (La moglie del fattore) (1922-1923), un’altra opera sul mondo rurale, segna una transizione. Per dipingere la moglie del fattore Miró usa una bambola, il che sottolinea una sensazione di estraneità. In questo dipinto si identificano ancora con chiarezza tutti gli elementi visibili, compreso un gatto o il camino. Tuttavia, gli enormi piedi nudi confermano che qui l’obiettivo del pittore non è la pura e semplice rappresentazione e che l’energia che trasfigura la realtà proviene dalla terra.
Nel suo primo studio a Parigi, al 45 di Rue Blomet, dove si insedia nel 1921, Miró dipinge paesaggi che non fanno riferimento alla realtà esterna. André Masson è suo vicino e dallo studio di Miró passano artisti e poeti di spicco, come Antonin Artaud, Raymond Roussell, Robert Desnos, Paul Eluard, Michel Leiris, Benjamin Péret o René Char. È interessato alle innovazioni formali di tutti loro, che respingono la logica, i luoghi comuni e la tradizione, ed è attratto da questioni quali l’automatismo, l’estetica della frammentazione, l’unione arbitraria di immagini inattese e incongruenti o l’uso visivo e tipografico dei testi poetici nei calligrammi.
I quadri di Miró della metà degli anni Venti, noti come dipinti onirici, distruggono qualsiasi struttura narrativa logica e i pochi elementi che appaiono sparsi sulla superficie sembrano rispondere all’improvvisazione, anche se i suoi schizzi dimostrano il contrario.
RUE TOURLAQUE
Nel 1926-1927, Miró cambia studio e stile e si stabilisce in Rue Tourlaque, dove lavora fino al 1929 (tranne l’estate che trascorre in Catalogna) e frequenta artisti come Jean Arp, René Magritte e Max Ernest, i suoi nuovi vicini. Tra le opere di quest’epoca spicca una serie di paesaggi orizzontali di grande formato, come Paesaggio (Paesaggio con gallo) e Paesaggio (La lepre), entrambi del 1927. Miró vi dipinge alcuni elementi riconoscibili, anche se stilizzati. Gli sfondi di questi quadri presentano colori intensi e suggeriscono spazi ampi, ma sono ormai scomparse le tecniche tradizionali della pittura, come l’ombreggiatura, la costruzione del volume o la prospettiva.
Sempre nel 1927 Miró crea una serie di tele su sfondo bianco di piccole dimensioni, come Dipinto (Il sole) o Dipinto (La stella). In esse lo sfondo è uno spazio pittorico puro, in cui fluttuano forme riconoscibili e stilizzate di astri e di animali come icone di questa nuova realtà.
ANNI ’30
Negli anni ’30, l’espressionismo diventa una caratteristica dominante dell’opera di Miró, come in Gruppo di personaggi nel bosco (1931); i cosiddetti Dipinti selvaggi (1934-1938); una serie di dipinti su carta smerigliata; vari collage; piccoli dipinti su rame, come Uomo e donna davanti a un mucchio di escrementi (1935); una vasta serie di dipinti su masonite dell’estate del 1936; una serie realizzata su Celotex del 1937. In genere, sono tutti caratterizzati da figure mostruose plasmate in spazi ambigui e inquietanti, che probabilmente rispecchiano l’ansia e l’interesse dell’autore per la situazione politica che sfocia nella guerra civile spagnola e nella seconda guerra mondiale. Miró realizza i 27 dipinti su pannelli di masonite delle stesse dimensioni proprio durante l’estate in cui scoppia la guerra civile e queste opere anticipano l’action painting della Scuola di New York, in cui il gesto del dipingere diventa il soggetto del dipinto.
Le immagini illustrano il processo da cui hanno tratto origine. Miró dipinge su un materiale dalla texture consistente e dal colore intenso e terroso, a cui sovrappone velocemente tratti neri e campiture di colore, con materiali altrettanto ricchi di texture come il catrame, la ghiaia o la sabbia. A volte graffia o addirittura buca la superficie. Nonostante la spontaneità, è possibile scorgere in essi alcune forme riconoscibili o suggestive di cose concrete, quali occhi, teste e falli.
VARENGEVILLE-SUR-MER
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Miró, in esilio a Parigi, si trasferisce in una casetta a Varengeville-sur-Mer, in Normandia, dove gli viene commissionato un murale. In questa località dipinge cinque piccoli paesaggi intitolati Il volo dell’uccello sulla prateria, che richiamano le distese di prati della zona sorvolate dai corvi: un paesaggio molto diverso da quello del Mediterraneo.
Da Varengeville Miró scrive al suo amico Roland Penrose come sono nate le Costellazioni: «Dopo aver dipinto, immergevo i pennelli nell’acquaragia e li asciugavo su fogli di carta bianca, senza seguire idee preconcette. La superficie macchiata mi stimolava e così nascevano forme, figure umane, animali, stelle, il cielo, il sole e la luna. Disegnavo tutte queste cose, vigorosamente al carboncino. Una volta raggiunto l’equilibrio nella composizione e ordinati tutti questi elementi, cominciavo a dipingere a guazzo, con la pignoleria di un artigiano o di un uomo primitivo; mi ci voleva molto tempo».
Le 23 Costellazioni sono state realizzate tra gennaio del 1940 e settembre del 1941 e ultimate a Maiorca, dove Miró e la sua famiglia si insediano fuggendo dalla guerra in Francia. Nel 1945 sono esposte negli Stati Uniti, presso la galleria di Pierre Matisse a New York, e suscitano un grande scalpore in quanto per la prima volta sono in mostra opere eseguite durante la guerra. Queste tele sono il culmine del potenziale del linguaggio dei segni creato da Miró, enfatizzando l’immaginazione, l’intuizione e la volontà di trovare una forma di espressione primordiale e universale.
Dopo le Costellazioni, per un po’ Miró smette di dipingere, rinchiuso a Maiorca con la sua famiglia. La svolta si verifica nel 1945, quando esegue una serie di dipinti di grande formato, ancora una volta su sfondo bianco, in cui sviluppa ulteriormente il proprio linguaggio dei segni. Donna e uccello nella notte, Personaggio e uccelli nella notte, Donna nella notte sono i titoli di questa serie, alcuni dei quali si ripetono. Quasi tutte le opere contengono la parola notte nel titolo, anche se gli sfondi sono bianchi e luminosi. Dal 1944 Miró si interessa anche alla ceramica e lavora in collaborazione con Llorens i Artigas.
Comunicato Stampa / MF
Ufficio Stampa, 13 gennaio 2023
Immagine di copertina: Joan Miró Painting (The Sun) [Peinture (Le Soleil)], 1927
Courtesy The David & Ezra Nahmad Collection © Successió Miró, 2022
JOAN MIRÓ
LA REALTÀ ASSOLUTA PARIGI. 1920-1945
10 febbraio – 28 maggio 2023
Museo Guggenheim Bilbao
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