Al Teatro Regio di Parma, nuovo successo per l’allestimento; alto il livello qualitativo dell’intero cast; garbo e sensibilità mozartiana nella direzione.

Il palcoscenico era occupato per la quasi totalità da una grande tribuna. L’azione infatti si è svolta, oltre che sulla linea di proscenio, su due bracci che si protendevano davanti al golfo mistico (rimosse le prime due file di poltrone) e soprattutto mediante un turbinio incessante di incursioni nella platea, seguendo una pratica molto in voga anni or sono. Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart ha inaugurato la Stagione lirica 2023 al Teatro Regio di Parma, nell’allestimento rodato (datato 2002, se non erriamo) ma ancora fresco, scorrevole ed efficace, proveniente dal San Carlo di Napoli (coproduzione con As.Li.Co. e I Teatri di Reggio Emilia).

[Fassi, Remigio]

Grazie ai due spazi narrativi, la platea e il palcoscenico, la regia di Mario Martone, ripresa da Raffele Di Florio, ha posto in risalto le due facce di Don Giovanni: l’esteriore e quella, pur solo suggerita tuttavia onnipresente, della coscienza, quasi si sia voluto fornirne una tangibile al libertino che ne è privo. In Mozart buffo e tragico convivono in uno splendido gioco di contrasti o assonanze, e per Martone la coabitazione si è fatta pastosamente spigolosa (ci sia consentito l’ossimoro), trovando il pieno compimento nel lato giocoso trascolorato nel tragico. Le luci di Pasquale Mari hanno prediletto i toni seppiati, e i costumi di Sergio Tramonti erano di foggia antica ma snelliti e privi di fronzoli. Esternazione di una chiara simbologia la coreografia di Anna Redi, che ha interessato un campionario del “catalogo” delle migliaia di donne, giovani e vecchie, belle e brutte, tutte senza volto, collezionate da don Giovanni.

Da un lato, quindi, la “passerella”, movimentata, frenetica, irrequieta di personaggi che hanno preso contatto diretto col pubblico e hanno invaso gli accessi alla sala così come i palchi di proscenio, scavalcati con ginnica agilità. Dall’altro, la tribuna collocata in scena, dove gli assisi erano ora distratti e semiaddormentati spettatori, ora implacabili e temibili giudici, infine terrificanti presenze cadaveriche in decomposizione: una testa è caduta al passaggio del protagonista.

[Priante, Fassi]

Ben assortita, tanto disinvolta scenicamente quanto egregia dal punto di vista della qualità musicale, la compagnia di canto, con una menzione extra alla parte femminile.
Vito Priante, baritono dalla voce leggermente e gradevolmente brunita nonché ottimamente proiettata, ha ben tarato ogni zona della tessitura in special modo quella alta, e ha presentato un Don Giovanni infatuato di sé prima ancora che dell’amore stesso, un personaggio la cui anima nera è stata posta in secondo piano dall’indole scaltra, dalla sbruffonaggine portata avanti fino all’ultimo, quando affronterà l’incontro con la statua funeraria del Commendatore, da lui ucciso, senza paura, con baldanza. Ha vestito i panni del suo servitore e complice Leporello, fisicamente e mentalmente allenato a seguire gli eccessi del padrone, il basso Riccardo Fassi spigliato e dinamico, dalla voce corposa e ben timbrata, ottimamente proiettata.

[Ciaponi, Sicilia]

Mariangela Sicilia era Donna Anna, affamata di vendetta per l’uccisione del padre ma al contempo capace di moti di estrema dolcezza, caratteristiche vocalmente espresse passando da accenti smaglianti alla morbidezza dei pianissimo, e avendo risolto brillantemente le agilità scritte per questo ruolo. Carmela Remigio ha dimostrato, come Donna Elvira, amore vero, tenace, cocciuto tuttavia lucido e disincantato verso il rubacuori; la sua linea di canto ha colpito per la cura nel fraseggio e soprattutto per lo stile, i colori, le brillantezze mozartiane doc. Un piccolo capolavoro di eleganza il Don Ottavio di Marco Ciaponi, la cui gestione dei mezzi vocali è stata eccellente, sempre dispiegati con finezza, classe e buon gusto nell’esternare sentimenti verso l’amata Anna che, nella sua interpretazione, sono parsi più del solito veritieri e sinceri.

[Previati, Kamani]

Poi, la coppia che incarna la spontaneità del sentimento d’amore: Fabio Previati era lo scaltro Masetto, Enkeleda Kamani l’adorabilmente maliziosa Zerlina; entrambi, hanno sfoderato voci pienamente all’altezza della situazione. Infine Giacomo Prestia, il quale nelle pur esigue battute ha fatto del Commendatore una presenza costante, autorevole, terrificante grazie alla voce che, sapientemente, pareva uscita dall’oltretomba.

[Prestia, Priante, Fassi]

Corrado Rovaris è salito sul podio dell’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini e del Coro del Teatro Regio di Parma, quest’ultimo preparato nel suo breve intervento da Martino Faggiani. Doverosa la menzione a Gianluca Ascheri, Maestro al fortepiano che ha accompagnato i recitativi. Rovaris non era alla ricerca dell’effetto eclatante, e questo in Mozart è un enorme pregio. Il direttore ha esaltato con grazia – parola che compendia al meglio la sua cifra stilistica – e con tempi spediti e compatti, la lezione del salisburghese che miscela caratteri situazioni e atmosfere, ed è passato fluidamente dall’amore vero alle effimere conquiste di una notte, ha accostato coraggio e pavidità, ha fuso toni drammatici e giocosi. Soprattutto, Rovaris ci ha splendidamente ricordato quanto sia sottile la linea tracciata da Mozart tra la vita e la morte, tra il terreno e il trascendente, tra la salvezza e la perdizione dell’anima.  

Teatro quasi esaurito e soddisfatto, compreso il temibile loggione, della qualità artistica del titolo, tra i più popolari e rappresentati al mondo, che tuttavia era assente da questa “roccaforte verdiana” da ben 29 anni.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Regio di Parma il 21 gennaio 2023
Contributi fotografici: Roberto Ricci