Anche quest’anno Verona ha ricordato il soggiorno di Wolfgang Amadeus Mozart in città con un cartellone di iniziative, nel quale ha rivestito un ruolo importante Fondazione Arena che, al Teatro Filarmonico, ha proposto Le nozze di Figaro, seconda tappa della trilogia mozartiana iniziata con Il barbiere di Siviglia. L’enfant prodige di Salisburgo compose l’opera quando aveva ventidue anni, nel 1875, e fu rappresentata l’anno seguente a Vienna, non senza destare scalpore per la contrapposizione tra le classi sociali.
La trama – per la quale Da Ponte si ispirò alla commedia illuminista di Beaumarchais – è fitta di spassosi equivoci e di inganni, di intrichi e svelamenti, di ricercata libertà nel volersi sganciare da certe consuetudini e d’amore, non tanto inteso come sentimento ma piuttosto come pulsione adrenalinica. Mozart mette in scena una vivace carrellata di caratteri, un meraviglioso spaccato di umanità, condensato nella incredibile e folle giornata in cui si svolge l’intera vicenda.
L’allestimento proveniva dal Teatro Nuovo Giovanni da Udine ed era a firma di Ivan Stefanutti, coadiuvato per regia e scene da Filippo Tadolini. L’aspetto attoriale avrebbe meritato maggiore cura, essendo sì basato sul ritmo, ma con gli interpreti troppo spesso rivolti alla platea (o al direttore che dir si voglia) con il conseguente vacillare dell’interazione. Una regia dove la tradizione, rappresentata dai costumi settecenteschi (di Stefano Nicolao), è stata declinata in modo ricercatamente semplice, con il pregio di aver rifuggito appesantimenti concettuali in favore della linearità e della snellezza, tuttavia senza particolari guizzi e di conseguenza a tratti insipida. La scena fissa presentava grandi porte senza pareti, che si sono rivestite di elementi caratterizzanti i vari atti: da una stanza guardaroba percorsa da un filo per stendere i panni, a un’alcova velata da romantici drappi rosa; da un salone sovrastato da uno sfarzoso lampadario, a un giardino rigoglioso d’edera rischiarato dalla luna (luci Claudio Schmid).
Mozart si è ispirato alla tradizione buffa riscrivendola con garbo e innestandovi la propria tavolozza espressiva, capace di rendere veri e autentici i personaggi. Su questa leggiadra convivenza tra elementi spassosi e altri profondamente umani si è concentrato Francesco Ommassini nel dirigere l’Orchestra di Fondazione Arena, risultata particolarmente brillante. Ommassini si è prodigato alla ricerca della finezza, della grazia, della spensieratezza nella tessitura mozartiana, instaurando un proficuo rapporto dinamico tra buca e palco.
Il cast ha affiancato artisti affermati a giovani in ascesa. Figaro era interpretato, con la spigliata consapevolezza di indossare gli abiti del mattatore, da Giulio Mastrototaro, dai mezzi corposi e dal bel timbro baritonale. La sua promessa Susanna aveva il volto di Sara Blanch, la quale ha saputo curare al meglio l’intero complesso dei fattori interpretativi, forte della voce luminosa e ben proiettata.
Il Conte e la Contessa erano Alessandro Luongo e Gilda Fiume: il primo, con estrema attenzione e voce ben timbrata ha delineato una figura signorile, intraprendente nelle avance amorose ma mai volgare; la seconda, dall’emissione pastosa, ha conferito nobiltà al canto e, in più di un’occasione, ha toccato vertici di pregevole soavità. Chiara Tirotta ha vestito i panni en travesti di Cherubino centrando appieno il ruolo e facendone un gioiellino di freschezza giovanile e di amabilità.
Bene il Don Bartolo di Salvatore Salvaggio e notevole Rosa Bove come Marcellina, mentre il maestro Basilio e il giudice Curzio erano i nulla meno che ottimi Didier Pieri e Matteo Macchioni. Corretti la Barbarina di Elisabetta Zizzo e il giardiniere Antonio di Nicolò Ceriani, con le areniane Emanuela Schenale e Tiziana Realdini. Il Coro era preparato da Ulisse Trabacchin.
Anche nella replica infrasettimanale alla quale ha assistito chi scrive, il teatro era gremito, segno di un interesse di pubblico in significativo crescendo.
Recensione Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Filarmonico di Verona il 25 gennaio 2023
Contributi fotografici: Foto Ennevi