Al Teatro Regio di Parma un allestimento colorato e deliziosamente ‘profumato’. Prova superata a pieni voti dal cast giovane, diretto da un giovane Maestro.

Il cinema negli ultimi anni ha intrapreso esperimenti olfattivi e analoga piacevole impressione abbiamo ricevuto dall’allestimento de Il matrimonio segreto al Teatro Regio di Parma. La deliziosa regia di Roberto Catalano è parsa sprigionare profumo di fragola e vaniglia, di cose buone e di cieli azzurri solcati da nuvole bianche pronte a odorare come rosei confetti, al tramonto. Un’oasi di serenità donata agli spettatori da questa messa in scena dell’opera di Domenico Cimarosa su libretto di Giovanni Bertati (revisione secondo i testi originali di F. Donatoni): un “dramma giocoso” che si dipana nel vivace intreccio di spassosi equivoci e nello stile musicale leggero e brioso, oltre che geniale. Tanto godibile che le cronache dell’epoca riportano, assieme al subitaneo trionfo del titolo al debutto, avvenuto il 7 febbraio 1792 al Burgtheater, l’entusiasmo del committente, l’Imperatore Leopoldo II, che si narra abbia richiesto una seconda recita immediata al termine della prima.

Levità dello spirito fatta propria dal regista, che ha ricollocato la vicenda oltreoceano, presso la pasticceria di Geronimo & Co, italiano emigrato negli States dove ha aperto una lussuosa “gioielleria” del dolce, a giudicare dalle pareti del negozio trapuntate di azzurro Tiffany e da una insegna raffigurante un cupcake sormontato da un diamante. Sullo sfondo, lo skyline in miniatura della New York anni ‘50 i cui grattacieli assomigliavano a bastoncini di zucchero colorato (scene Emanuele Sinisi, luci Fiammetta Baldiserri). Il negozio di prelibatezze ha visto infaticabili pasticceri e pasticcere, dai grandi cappelli a sbuffo rosa (costumi Ilaria Ariemme), intenti a farcire babà impugnando le sac a poche, e ad arricciare nastrini sulle confezioni. Lavoro svolto danzando (movimenti coreografici Sandhya Nagaraja): infatti la vetrina affacciava su Broadway street, con i suoi idoli e i suoi miti, con il sogno di un successo che pare essere a portata di mano.

Punto di forza della regia di Roberto Catalano sono state le continue, vivaci controscene affidate a mimi, per i quali sono stati ritagliati ruoli protagonistici, rivelatisi motori dello spumeggiante ritmo narrativo, oltre che utili a colmare scenicamente l’assenza del coro. Basti pensare all’affaccendato wedding planner (l’attore Filippo Lanzi) e alla irresistibile vecchietta (il bravissimo Samuel Moretti) con cagnolino di peluche al guinzaglio, alla quale è spettato l’onore del colpo di scena finale, quando, dismesso il goffo cappottone, ha rivelato essere l’idolatrato Gene Kelly.

Protagonista è quindi stato il contesto, l’ambientazione sostanziale nel generare esiti di ironia garbata. L’aggettivo non va inteso come equivalente di un che di accennato, perché le scene divertenti sono risultate efficaci e incisive. Garbata perché priva di eccessi, e soprattutto, grande pregio, lontana da quella tradizione di accentuazioni comiche che, nel recente passato, ha raggiunto vertici artistici assoluti e ineguagliati, che personalmente rimpiangiamo ma che oggigiorno, in assenza dei Maestri di un tempo, difficilmente funzionerebbe. Una regia dalla vis comica elegante, con le necessarie accentuazioni senza esagerazioni, perfetto esempio di quella misura che, in ogni ambito, è elemento vincente. Così come, nella vita, vincono coloro che, al pari di Carolina e Paolino convolati a matrimonio segreto, seguono la sincerità del proprio cuore e dei sentimenti, trovando così la vera felicità.

Le note di direzione di Davide Levi pubblicate nel libretto di sala si aprono con una citazione a Stendhal: “Queste melodie sono le più belle che sia dato di concepire all’animo umano”. Levi è effettivamente andato in tale direzione, da un lato conducendo l’orchestra Cupiditas e il palco in uno svolgimento bilanciato nelle dinamiche e nei tempi, dall’altra, adoperandosi per rendere giustizia alla straordinaria inventiva degli intrecci melodici cimarosiani, e anche alla loro vivacità, sia pure indulgendo ad anse di tranquillità. Levi ha ben inteso, come punto focale, la necessità dell’insieme di emanare un’atmosfera leggera e gioiosa, avente la forza impareggiabile della semplicità: una enorme dote, quest’ultima, tutt’altro che semplice!

Tale impianto registico e musicale sarebbe crollato se gli interpreti non avessero maturato capacità di interazione, accantonando i singoli protagonismi (come solo i giovani sanno fare) e intavolando un gioco di squadra.Di tutti indistintamente, poi, va lodata la chiarezza di dizione, non solo nei recitativi accompagnati da Hana Lee al fortepiano.Il cast, formato da cantanti giovani ma che già hanno avuto modo di farsi apprezzare in più di una occasione, si è dimostrato all’altezza dell’impegnativo compito sia sotto il profilo attoriale, assai curato e convincente, sia dal punto di vista musicale, altrettanto complesso. Quasi tutti gli artisti dei due cast che si stanno alternando a Parma fino al 19 febbraio, (ad eccezione delle due interpreti nel ruolo di Fidalma), provengono dalla fucina di Opera (e)Studio –  Ópera de Tenerife, coproduttore assieme al Teatro Massimo di Palermo di questo fortunato allestimento debuttato nel 2021.

Giulia Mazzola Carolina dolce ma non ingenua, sa perfettamente cosa vuole dalla vita e insegue il suo sogno di calcare i palcoscenici di Broadway; il soprano presenta una voce incisiva e al contempo morbida, disinvolta nel padroneggiare, soprattutto, gli acuti limpidi e le note centrali di soave rotondità. Lei, figlia minore di Geronimo, è la sposa segreta di Paolino, Antonio Mandrillo, dal gradevole timbro chiaro e l’emissione propria dei tenori di grazia; ha centrato il personaggio dandogli, in dotazione ad hoc, l’impacciato timore che assale il garzone innamorato della figlia del titolare, e anche un ingenuo candore, un genuino stupore, fino agli spiritosi mancamenti nel vedere la sua sposa segreta oggetto delle avance del pretendente Conte Robinson. Ruolo, questo, affidato al fascino del baritono Jan Antem, promesso alla figlia maggiore tuttavia infatuato della minore; una voce fresca posta intelligentemente al servizio dell’espressività.  

Il soprano Marilena Ruta era Elisetta, dalla spiccata personalità vocale gestita in sicurezza, mettendo sempre bene a fuoco il canto; petulante e stizzita al punto giusto in qualità di promessa sposa rifiutata sdegnosamente; un personaggio che è parso strizzare l’occhio, con stile, ai cartoons: esilarante la sua furia quando, in abito nuziale, ha usato il bouquet di fiori a mo’ di innocua clava per colpire quanti le giungessero a tiro. Il basso Francesco Leone oltre a una linea di canto puntuale e corretta, ha fatto leva su alcune caratteristiche come il sillabato spigliato per dare briosità a Geronimo facendone un personaggio non caricaturale, un padre sì ossessionato dall’accrescere il patrimonio di famiglia con matrimoni combinati per le figlie, ma anche motivato dalle buone intenzioni di procurare loro una vita agiata.

Veta Pilipenko ha vestito i panni di Fidalma, la ricca vedova sorella di Geronimo, infatuata di Paolino. Al mezzosoprano va innanzitutto riconosciuto il merito di aver delineato una figura non patetica nei suoi sogni amorosi bensì una donna dal pensiero libero, capace di sganciarsi dalle convenzioni sociali legate all’età o al ceto; temperamento ben espresso anche nella gestione omogenea dei registri vocali, dagli importanti volumi appropriatamente dosati.   

La recita inaugurale a Parma è stata ripresa dalle telecamere per essere trasmessa su www.operavision.eu il 10 marzo 2023, alle ore 20.00. Resterà disponibile fino al 10 settembre 2023 sulla piattaforma streaming gratuita, supportata dal programma dell’Unione Europea Creative Europe. Una occasione impedibile per quanti non abbiano potuto applaudire di persona.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Regio di Parma il 10 febbraio 2023
Contributi fotografici: Roberto Ricci