A Palazzo San Sebastiano riallestimento del patrimonio di collezioni antiche della città: dei Gonzaga, egizia Acerbi, mesopotamica Sissa.
L’Amministrazione Comunale di Mantova è impegnata dal 2019 nel progetto di riordino museologico e museografico delle proprie collezioni nelle sedi di Palazzo Te, Palazzo San Sebastiano e Tempio di Leon Battista Alberti. Dopo la presentazione del nuovo allestimento del Tempio avvenuta lo scorso giugno (vedi notizia DeArtes qui) è ora il momento di scoprire le novità che accompagnano la riapertura di Palazzo San Sebastiano con nuovi allestimenti.
Il nuovo Museo Maca ospitato nel Palazzo di San Sebastiano, in Largo XXIV Maggio, dopo alcuni interventi di restauro presenta infatti un nuovo ordinamento museale: Francesco II e Vespasiano Gonzaga, Giuseppe Acerbi e Ugo Sissa sono i quattro protagonisti del Maca che hanno contribuito attraverso i secoli a formare ilpatrimonio culturale della città. I trionfi di Francesco II Gonzaga, VespasianoGonzaga e la sua raffinata raccolta di antichità, Giuseppe Acerbi e Ugo Sissa con leloro collezioni egiziana e mesopotamica compongono i quattro itinerari del museo.
Le vicende collezionistiche hanno seguito percorsi diversi ma le opere, per vicende storiche o per donazione volontaria, sono tutte confluite al patrimonio cittadino. Per questa ragione è stata scelta come nuova denominazione del museo civico Maca – Mantova Collezioni Antiche.
IL NUOVO ASSETTO DEL MUSEO
Il piano terra del museo è dedicato a Francesco II Gonzaga, il committente di Palazzo San Sebastiano, mentre la Sala dei Trionfi ospita la statuaria greco-romana di Vespasiano Gonzaga e le nuove sezioni Egiziana, Araba e Mesopotamica, con approfondimenti dedicati ai relativi collezionisti.
Il progetto è stato reso possibile grazie a due importanti accordi. Il primo consiste nella convenzione con Bologna Musei (Museo Archeologico di Bologna) per la costituzione del progetto scientifico delle sezioni Acerbi e Sissa, successivamente estesa alla condivisione di opere di restauro dei reperti in deposito concessi in prestito a lungo termine.
Il secondo accordo, più recente, è quello pluriennale stretto con Palazzo Ducale di Mantova per definire una strategia comune per disciplinare la gestione e la collocazione delle collezioni del Comune di Mantova e delle collezioni di Palazzo Ducale in modo armonico e condiviso. Questa fase è stata dirimente per l’arricchimento e l’integrazione del materiale esposto al Maca.
L’inaugurazione del Museo con un complessivo riallestimento, nuove opere e riorganizzazione degli spazi, si è tenuta venerdì 17 febbraio 2023 alla presenza del Sindaco di Mantova Mattia Palazzi, della direttrice dei Musei Civici Veronica Ghizzi, dei curatori e dei partner.
I COSTI
Nel complesso (dal 2019 al 2022) i lavori sono consistiti in un investimento di 1milione e 200mila euro. Il progetto espositivo dell’allestimento, oltre la fornitura degli apparati allestitivi eilluminotecnici, è stato coperto grazie ad un generoso contributo della FondazioneBam di 400.000 euro.
I lavori di restauro e manutenzione conservativa del Palazzo per un totale di 450.000 euro sono stati parzialmente coperti dai fondi di Regione Lombardia e del Ministero dell’Interno con 300.000 euro. Inoltre, si è potuto attingere ad un fondo di finanziamento del MiC per il ristoro dei Musei civici chiusi durante la pandemia di 229.653 euro. Le restanti risorse sono state coperte e distribuite sul bilancio pluriennale dell’amministrazione.
APPROFONDIMENTO. IL NUOVO MUSEO E LA STORIA A ESSO LEGATA
SEZIONE FRANCESCO II GONZAGA
Francesco II Gonzaga (1466-1519) nacque da Federico e da Margherita di Wittelsbach e a 18 anni divenne marchese di Mantova. Fu principe di statura dinastica europea, capitano di ventura, nonché marito, dal 1490, di Isabella d’Este. Al mestiere delle armi si dedicò con grande energia e spregiudicatezza politica, sostenuto anche dall’ambizione e dall’abilità diplomatica della moglie. Ora al servizio di Venezia, ora al soldo di Milano, ora schierato col Papato, ora con la Francia, il marchese seppe rinsaldare le sorti dello stato mantovano, realtà territoriale limitata, ma geograficamente strategica nell’equilibrio geo-politico del tempo. Egli iniziò la propria carriera di soldato-principe come capitano sforzesco.
Fu lui a commissionare il palazzo di San Sebastiano che è la sola residenza stabile del principe costruita fuori dal vasto complesso della reggia di Palazzo Ducale. Francesco II Gonzaga lo fece edificare tra il 1506 e il 1512 a ridosso delle mura di cinta meridionali di Mantova, accanto a porta Pusterla. La prima serie di ambienti al pianterreno viene ultimata entro il 1506, sotto l’incalzare dell’impaziente marchese, sotto la direzione di Girolamo Arcari e sottoposto al controllo di Bernardino Ghisolfo, prefetto alle fabbriche tra il 1490 e il 1517 e probabile progettista del palazzo. Nel primo periodo vengono realizzate e affrescate, a piano terra, la camera del Porcospino (detta anche del re di Francia), del Crogiolo, dell’Acciarino (alias dell’Imperatore), del Sole di sotto e la stupenda loggia affrescata.
Il progetto di arricchire la dimora di ulteriori ambienti si realizza tra il 1511 e il 1512 quando vengono commissionate due camere a sbalzo (denominate Frecce e Brevi) sul lato meridionale, sorrette da una volta posata direttamente sulle antiche mura. Il 2 settembre 1512 il pittore Lorenzo Leonbruno riceve, anche per conto dei collaboratori, un cospicuo pagamento per diversi lavori: dorature, fregi, affreschi, figure, che realizza con la supervisione di Lorenzo Costa. Tutti gli spazi vengono decorati ad affresco con imprese e motivi floreali e geometrici che ancora oggi possiamo ammirare, nonostante le numerose trasformazioni d’uso che il palazzo subì nei secoli.
I trionfi di Cesare. I nove affreschi furono realizzati a fine Cinquecento per decorare un salone del palazzo della nobile famiglia mantovana Petrozzani. Essi furono strappati, montati su pannelli nel 1938-39 e acquistati da Prassitele Piccinini che li donò allo Stato. L’intera serie è attribuita al pittore Ludovico Dondi (ante 1585 – 1623), soprintendente alle collezioni ducali di Vincenzo I Gonzaga e riproduce con molta fedeltà le straordinarie grandi tele a tempera, realizzate tra il 1486 e il 1506, da Andrea Mantegna per i Gonzaga, note come I trionfi di Cesare.
Per esporle, Francesco II Gonzaga fece appositamente realizzare, in questo palazzo, un magnifico salone al primo piano: «Nell’ultima parte della Città, presso la Chiesa di San Sebastiano, [Francesco II] edificò un palagio superbissimo, e bello, per collocare sicuramente in una sala, a questo sol effetto fabricata, il trionfo di C. Giulio Cesare, fatica di molti anni d’Andrea Mantegna».
Nel 1626-27 le preziose tele furono vendute dai Gonzaga al re di Inghilterra, Carlo I Stuart e oggi sono esposte ad Hampton Court (Londra).
Gian Cristoforo Ganti, detto Romano: Francesco II Gonzaga, 1498 ca. terracotta.
Il busto ritrae il marchese di Mantova Francesco II Gonzaga (1484-1519) esaltato nel suo ruolo di principe-guerriero. Il ritratto fu commissionato – con tutta probabilità – poco dopo l’importante vittoria del 6 luglio 1495, ottenuta dal Gonzaga, al comando dell’esercito della Lega Italica, nella battaglia di Fornovo contro Carlo VIII di Francia. Il marchese indossa un’elegante corazza da parata ornata da motivi delicatamente aggettanti o incisi secondo un raffinatissimo programma iconografico. Sul pettorale spicca l’impresa del crogiolo adottata dal Gonzaga proprio in seguito al celebre fatto d’arme: un fascio di verghe d’oro è messo a fondere in un crogiolo perché ne sia saggiata la purezza, simbolo della fedeltà del Gonzaga agli impegni militari. Le sottostanti teste equine rimandano alla notissima passione del principe per i cavalli. L’aquila ad ali spiegate che campeggia su un importante bottino di guerra reggendo nel becco una corona regale, rievoca la vittoria del Taro sull’esercito francese. Sullo spallaccio di destra è raffigurato il caduceo, simbolo di concordia, mentre su quello di sinistra si scorge un guerriero armato che solleva su una mano il tempio di Giano dalle porte spalancate. Completava la decorazione sul guardagoletta sinistro la raffigurazione a rilievo di una testa di Medusa di cui rimane solo una parte dei capelli (D'Arco 1857).
I tratti del marchese risultano assai vicini a quelli immortalati nel 1496 da Andrea Mantegna nella Pala di Santa Maria della Vittoria ora al Louvre.
SEZIONE VESPASIANO GONZAGA
Vespasiano I Gonzaga. Nato a Fondi (Latina) nel 1531, era figlio di Isabella Colonna e Luigi Rodomonte Gonzaga, rimase orfano di padre all’età di un anno e affidato alle cure della zia paterna Giulia Gonzaga Colonna, con la quale trascorse l’infanzia tra Napoli e Roma. Vespasiano sin dall’età di 10 anni poteva godere di diritti sul feudo di Sabbioneta, Marchesato di Ostiano, Contea di Rodigo, Signorie di Bozzolo, Commessaggio e Rivarolo Mantovano, oltre che a governare su diversi possedimenti nel sud d’Italia. A lui si deve il progetto di rendere Sabbioneta la “città ideale”. Ebbe doti di condottiero, fu abile diplomatico e letterato, ma il suo interesse per l’arte lo rese tra i mecenati e collezionisti più in vista del territorio.
Cupido dormiente con due serpenti. XVI secolo. Marmo di Carrara
La presenza della corona di rose tra i capelli ricciuti, attributo di Venere, delle piccole ali e soprattutto la presenza dell’arco e delle frecce custodite entro il turcasso dichiarano in modo incontrovertibile la sua identificazione con Eros fanciullo. Riverso sulla schiena, il braccio destro adagiato lungo il corpo, il sinistro piegato a proteggere in un gesto di possesso le armi, il piccolo Eros è colto e raffigurato con una dolcezza disarmante rafforzata dalla tenerezza delle guance paffute e dalla resa setosa e morbida degli incarnati, lavorati nel marmo con notevole sapienza ed esaltati nella morbidezza grazie anche al contrasto con la lavorazione irregolare e scabrosa del ruvido giaciglio. Contrasta con l’innocenza del fanciullo la presenza delle due serpi che si fronteggiano sul suo ventre, una avvolta le spire attorno all’avambraccio destro, l’altra sgusciata sotto la mano sinistra del dio addormentato. Il loro significato non è stato ancora decodificato correttamente ma la loro presenza può essere riferibile tanto ad una dimensione neoplatonica tipica di molte corti italiane a partire dalla fine del Quattrocento, quanto alla cultura emblematica di metà Cinquecento.
L’opera apparteneva alle collezioni di Vespasiano Gonzaga. Dal 1584 è infatti registrata come presente nel Palazzo Ducale di Sabbioneta, nella stanza dei Miti, entro una specchiatura ovale sopra la finestra. Passato alla fine del Settecento (1774) nel Museo Statuario istituito a Mantova da Maria Teresa D’Asburgo, l’opera, di proprietà civica, è passata in Palazzo Ducale dove è rimasta dal 1917 al 2005 quando è stato istituito il Museo della Città di Palazzo San Sebastiano.
Diana, Inizio II secolo d.C. Marmo pario
Frammento di statua in marmo pario raffigurante Diana. La dea reca sul capo il caratteristico crescente lunare e dietro le spalle il turcasso, retto dal nastro passante anteriormente attraverso il petto. La scultura è copia del tipo dell’Artemide di Versailles. Testa di dubbia pertinenza, forse moderna e pesantemente restaurata. Probabilmente posta a decorazione dell’esterno del Teatro all’Antica di Sabbioneta.
SEZIONE ACERBI
Giuseppe Acerbi, Console Generale d’Austria in Egitto, nasce il 3 maggio 1773 a Castel Goffredo, una località non distante da Mantova, che abbandona in età giovanile per dedicarsi allo studio della giurisprudenza, senza per questo trascurare le scienze naturali e la geografia. È la carriera diplomatica a condurlo in Egitto nel 1826, un anno dopo la nomina a console generale d’Austria. Durante il soggiorno nel paese, Acerbi ottiene la stima e la considerazione degli apparati governativi e dei colleghi europei, che oramai da anni univano all’attività consolare quella della raccolta di antichità egizie da vendere sul mercato antiquario al miglior offerente. Anche Acerbi acquista e raccoglie testimonianze dell’Egitto faraonico, ma non a scopo di lucro. Prevale in lui lo studioso che intende verificare le conoscenze acquisite sulla civiltà egizia e pubblicare le più recenti scoperte sul periodico letterario milanese La Biblioteca italiana, da lui diretto dal 1816.
In seguito all’arrivo ad Alessandria nel settembre del 1828 di Jean-François Champollion e di Ippolito Rosellini, a capo della missione franco-toscana in Egitto, con i quali Acerbi stringe da subito amicizia, il console intraprende alcuni viaggi nel paese. I taccuini e il diario di viaggio, che Acerbi aggiorna quotidianamente, restituiscono una dettagliata visione d’insieme dell’Egitto, antico e moderno, la stessa che trapela anche dagli oggetti della sua collezione, costituita da antichità e materiali etnografici, da piante e animali, da minerali e fossili, ed altro ancora.
Libro dei Morti di Aset-uret. Fine Epoca Tarda (664-332 a.C.) – inizi Epoca Tolemaica (332-30 a.C.). Egitto, Tebe Ovest. Papiro con policromia
Il papiro, ancora in rotolo, fu acquistato da Acerbi in occasione del viaggio del 1828-29 in Alto Egitto. Il rotolo fu aperto solo nel 1880 da Ernesto Schiaparelli, appena nominato direttore del Museo Egizio di Firenze, rivelando al suo interno alcuni capitoli con vignette di un Libro dei Morti in ieratico a nome della defunta Aset-uret.
Il Libro dei Morti, o meglio le Formule per uscire alla luce del giorno, è una raccolta di testi di varia origine e struttura, che comparve nelle tombe egizie a partire dal Nuovo Regno e rimase in uso sino all’Epoca Romana (30 a.C. – 395 d.C.). Secondo gli Egizi sarebbe stato Thoth in persona, dio della scienza e della scrittura, a creare questa raccolta di formule magiche, che doveva fornire al defunto le istruzioni e gli strumenti necessarie ad affrontare il difficile viaggio nell’oltretomba. Le versioni note del Libro dei Morti, iscritte alle pareti delle tombe, sui sarcofagi, sui papiri e sulle bende di mummia, su stele e amuleti, così come su vari altri oggetti del corredo funerario, non forniscono
mai l’insieme complessivo delle formule –quasi duecento–ma una loro selezione più o meno ricca, se non un solo capitolo.
Gatto. Epoca Tarda (664-332 a.C.). bronzo.
Il gatto era l’animale sacro a Bastet, molto cara agli Egizi in quanto dea del focolare e della famiglia, oltre che della bellezza e dell’indulgenza verso sé stessi. Questa statua in bronzo mostra il felino seduto sulle zampe posteriori con la coda sul lato destro del corpo, elegantemente sinuoso e cavo all’interno per contenere una mummia di gatto. Un possibile modo per manifestare la propria devozione a Bastet e ottenerne la benevolenza, infatti, era quello di recarsi in pellegrinaggio presso un suo luogo di culto e pagare i sacerdoti del tempio perché sacrificassero e imbalsamassero un gatto, da offrire alla dea quale ex-voto. Il sarcofago in bronzo ne rendeva ancora più preziosa l’offerta, rivelando inoltre il livello sociale elevato dell’offerente. Tale forma di devozione popolare crebbe a dismisura nel primo millennio a.C., in particolare dalla XXVI dinastia (664-525 a.C.) sino all’Epoca Romana (30 a.C. – 395 d.C.).
Mummia di uomo adulto. Terzo Periodo Intermedio, XXIII-XXV dinastia (756-655 a.C.). Resti umani, tessuti di lino.
La pratica dell’imbalsamazione è attestata dalle origini della civiltà egizia fino all’Epoca Romana (30 a.C. – 395 d.C.). Per gli Egizi ciò che dell’individuo esisteva in vita doveva conservarsi dopo la morte, pur subendo una inevitabile trasfigurazione. Questo era vero soprattutto per il corpo (khet) che la mummificazione rendeva immagine eterna dell’individuo (sah). L’indiscussa abilità tecnica degli Egizi nel trattamento dei corpi era comunque favorita dal clima caldo e asciutto del paese, in alcuni casi determinante per un buon risultato.
Uno sbendaggio virtuale tramite TAC ha permesso di indagare le tecniche di imbalsamazione utilizzate per creare questa mummia e di scoprire che appartiene ad un uomo, alto circa 162 centimetri e di età compresa tra i 50 e i 55 anni al momento della morte. Il corpo è in posizione supina, con le braccia stese e le mani sul pube. Residui di cervello sono ancora visibili all’interno della scatola cranica, mentre gli organi interni risultano estratti attraverso un’incisione sul lato sinistro dell’addome, poi imbottito parzialmente con bende. Le tecniche di imbalsamazione e di bendaggio confermano lo stato sociale elevato del defunto, vissuto nell’VIII sec. a.C., come risulta dalla datazione al radiocarbonio dei raffinati tessuti di lino che lo avvolgono.
SEZIONE SISSA
Ugo Sissa nacque a Mantova il 3 maggio 1913. Dal 1953 al 1958 lavorò a Baghdad, prima come capo Architetto del Governo, poi dell’Ufficio di Sviluppo e del Dipartimento per le Stazioni Estive e per il Turismo: il contatto con le civiltà del Vicino Oriente Antico scatenò in lui una travolgente passione per l’archeologia che sperimentò direttamente interessandosi alle campagne di scavo e non mancò di acquistare oggetti sul mercato antiquario.
Ebbe la possibilità di visitare tutti i principali siti archeologici dove un tempo sorgevano le città e le aree ricche di monumenti su roccia, tra le terre che avevano accolto popoli diversi come i Sumeri, i Semiti, gli Accadi, i Cassiti, i Babilonesi, gli Assiri, i Seleucidi, i Parti e i Sassanidi. La visione diretta di ciò che rimaneva di quell’antica civiltà non fu per Sissa mera contemplazione, ma venne accompagnata da un intenso lavoro di approfondimento scientifico e di affinamento della sensibilità per le forme artistiche, tanto da ispirarlo nella creazione di opere pittoriche in cui si ritrovano chiaramente quelle antiche suggestioni.
Ugo Sissa morì in un incidente stradale, nel 1980; la moglie, Teodora Olga Sammartini, a seguito di una Mostra dedicata al marito nel 1984 a Palazzo Te, decise di lasciare la raccolta archeologica al Comune di Mantova, perché ben si legava alla Collezione Egizia di Giuseppe Acerbi, aperta al pubblico nel 1983.
Parte superiore di una figurina maschile. Fine III-inizio II millennio a.C. periodo Ur III-Isin/Larsa. Terracotta color crema.
L’oggetto rientra nel gruppo delle statuette, vario per soggetti, materiali e tecniche di esecuzione, funzioni, cronologia: si tratta della parte superiore di una figura maschile. Il retro è piatto e leggermente concavo. La testa è cinta da un turbante decorato con quattro sferette (una mancante). Il volto è caratterizzato da occhi resi con sferette ai lati di un lungo naso, scheggiato, e da una folta barba che scende lungo il petto, decorata con segni a forma di crescente. Si tratta forse di un re che indossa gli abiti da cerimonia, secondo una tipologia nota.
Tavoletta cuneiforme. 1822-1763 a.C.. Argilla bruciata marrone
L’oggetto rientra tra i reperti caratterizzati da iscrizioni cuneiformi (tavolette e mattoni). Si tratta di una delle sette tavolette in argilla raccolte da Sissa, un corpus di reperti che conferisce particolare completezza alla collezione in virtù del suo valore documentario: il testo inciso riguarda lo scambio delle rispettive case tra due sacerdotesse di Ninurta a Nippur. Una parte del rovescio è illeggibile a causa di un frammento in argilla della custodia che ricopre il testo. La tavoletta è datata al venticinquesimo anno del regno di Rim-Sin.
Comunicato Stampa
Comune di Mantova 17 febbraio 2023
Immagini messe a disposizione da Ufficio Stampa Comune Mantova
Museo Maca – Mantova Collezioni Antiche
Palazzo di San Sebastiano
Largo XXIV Maggio 10 — 46100 Mantova
Biglietteria e Informazioni
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