Al Teatro Filarmonico di Verona, in occasione del centenario di Zeffirelli, è andato in scena il mitico allestimento creato ad hoc per Busseto.  

L’allestimento era nato per celebrare i cento anni dalla morte di Verdi ed è stato ora riproposto per omaggiare i cento anni dalla nascita di Zeffirelli. Una messa in scena che ha fatto storia e che è stata molte volte esportata dalla natia Busseto, sempre rinnovando lo stupore nel constatare quanto questa ‘macchina’ teatrale corra veloce su qualsiasi terreno. Stiamo parlando di Aida nella versione che nel 2001 Franco Zeffirelli, precorrendo i tempi, ideò come site-specific per il gioiellino architettonico incastonato nella pianura parmense: un teatro molto più piccolo di quelli che vengono definiti bomboniere. Nel doppio ruolo di regista e scenografo, Zeffirelli riuscì in una impresa ritenuta impossibile, per non dire folle: portare l’opera faraonica per eccellenza in un palcoscenico il cui boccascena misura sette metri. Cinque passi di numero, per intenderci. Only the braves. Only the geniuses.

In questa “Aidina”, come egli stesso la chiamava, non manca nulla. Si ritrovano (nella ricostruzione scenografica di Carlo Centolavigna) lo sfarzo e lo splendore di un Egitto descrittivo, tra fregi e geroglifici, colonne e sfingi, e due grandi statue di divinità in proscenio. E poi le atmosfere lunari delle rive del Nilo (luci Fiammetta Baldiserri), la vezzosa stanza di Abigaille, la cupa tomba dove viene rinchiuso a morire Radames, seguito da Aida. Ancora, i guerrieri dalla pelle blu (costumi di Anna Anni ripresi da Lorena Marin) e il ballo delle sacerdotesse nelle peculiari coreografie di Luc Bouy, qui curate da Gaetano Petrosino.

Rimandando a una recensione stilata a Busseto nel 2019 (vedi qui), dove l’allestimento fu ripreso da Stefano Trespidi (come nel presente caso, è lecito supporre), resta poco da aggiungere per descrivere una regia dove l’ottica si stringe mirabilmente sul personale, sul privato, sui sentimenti, riconducendo l’opera al fremito interiore, come Verdi aveva inteso e suggerito nel preludio. Compresa la celeberrima scena del trionfo, da Zeffirelli trasformata in un primo piano cinematografico di Aida la quale assiste alla sfilata dei vincitori in mezzo alla gente che fa ala, si ammassa, saluta, spinge e si sporge per cercare di vedere ciò che avviene a distanza, come accade a ciascuno di noi quando ci troviamo immersi in un bagno di folla. Un equilibrio tra dramma intimo e spettacolarità, tra interiorità ed esteriorità in cui Zeffirelli eccelleva e ha fatto scuola. Vecchia scuola? Certo, con orgoglio! E con il merito di saper travalicare i tempi e le mode del momento.

La prima recita ha avuto luogo il 12 febbraio, nel giorno esatto del compleanno del Maestro. Si è sommata un’altra felice coincidenza. Chi scrive ha assistito alla terza replica, data coincisa con la sfilata dei carri di carnevale per il centro città. Le vie adiacenti al teatro erano letteralmente ricoperte da uno spesso strato di coriandoli e da matasse di stelle filanti gettati da gruppi di maschere allegre e festanti. La mente è corsa all’ultimo atto di Traviata, quando Violetta morente ode gli echi del carnevale provenire da fuori le finestre della sua stanza. Siamo certi che Zeffirelli avrebbe apprezzato la concomitanza.

Sul podio dell’Orchestra di Fondazione Arena è salito Massimiliano Stefanelli, che fu il primo direttore di questa produzione a Busseto nel 2001. Il quale, anche in questa circostanza, ha tenuto saldamente in pugno la situazione dando il dovuto risalto al lirismo, alle pagine vibranti di sentimento e a quella stessa propensione all’introspezione che ha motivato il disegno registico.

Il cast ha brillato soprattutto nella componente femminile. Aida era il soprano cubano-americano Monica Conesa, voce di enorme potenza e lunga tenuta di fiato, capace altresì di ridimensionarsi in “pianissimi” riflessivi. Forse, resta da limare qualche nota graffiante, ma il temperamento grintoso sommato al fisico scattante è stato appropriatamente controbilanciato dalle pulsioni d’amore. Palpitante, travolta dall’infatuazione amorosa, si è rivelata l’Amneris del mezzosoprano georgiano Ketevan Kemoklidze, anche lei voce di grande potenza in grado di addolcirsi nei giusti momenti. Per entrambe, da curare qualche dettaglio, aggiungendo ulteriori accenti e colori.

Ha preso all’ultimo momento il posto di un collega indisposto Sergio Escobar come Radamès. Il tenore possiede bella voce tuttavia discontinua: ha avuto un cedimento proprio nella romanza d’esordio, accolta dal pubblico con glaciale silenzio. Sul finale è stato colto da una piccola amnesia, giustificata dalla mancanza di prove, che ha cagionato un momento di pausa orchestrale, poi risolto dal direttore.  

Ben si è destreggiato il baritono coreano Youngjun Park, dal notevole spessore vocale caratterizzato da morbidezza; scenicamente il suo Amonasro meriterebbe una maggiore incisività. Degni di lode i personaggi di contorno: il gran sacerdote Ramfis Antonio Di Matteo; il Re egizio Romano Dal Zovo; il Messaggero Riccardo Rados; la Sacerdotessa Francesca Maionchi. Da plaudire la fedeltà interpretativa ai dettami originali dell’intervento danzato dalla sacerdotessa Eleana Andreoudi, prima ballerina dell’Opera Nazionale Greca, già applaudita in Arena. Il Coro,sotto la guida di Ulisse Trabacchin, ha sostenuto impegnative parti attoriali oltre che aver dato conferma di padronanza canora, forse in questo contesto un poco sovradosata.

Un’altra buona notizia ha coronato questo spettacolo: il ricavato dell’anteprima, andata sold-out, è stato devoluto al progetto varato dal Ministero per salvare Villa Verdi a Sant’Agata (vedi notizia DeArtes qui e qui).

L’appuntamento con il Maestro Zeffirelli è al Festival numero 100 dell’Arena di Verona, (vedi notizia DeArtes qui e qui), dove il suo nome continua aimpreziosire il cartellone ed entusiasmare il pubblico.

Recensione Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Filarmonico di Verona il 17 febbraio 2023
Contributi fotografici: foto Ennevi