Il tocco sul pianoforte riesce nuovamente nell’impresa straordinaria di riscrivere la parola “freschezza” dandole un significato alternativo rispetto a quello lessicale consueto. Le spalle sono poco incurvate, la conoscenza dei compositori è profonda, lo studio e l’esercizio sono assidui. L’approccio è quasi ascetico, denota una intimità con lo strumento totale e totalizzante, visto che travolge gli spettatori con quella calma piatta e assoluta tipica dell’occhio di un ciclone, che però non si scatena mai. La nuova definizione di “freschezza” intesa come gemma pronta a germogliare, viene codificata nel ripetersi di un rito grazie al quale Grigory Sokolov riesce a presentare i compositori cingendoli di un’aura speciale a ogni concerto. Del resto, in lui il dialogo personale con la Musica è persistente, non conosce interruzioni; affonda le radici nella sua lunga storia artistica ed è un perenne rinverdirsi cinto entro confini omogenei, attentamente calibrati. Una comunione di elementi dicotomici che, come innesti di ramo in ramo, fanno sbocciare la grandezza del pianista russo.
Le dita corrono sui tasti con una agilità che ogni volta strabilia per la sua naturalezza, per l’apparente spontaneità che viceversa nasce dalla tecnica padroneggiata alla perfezione, dallo studio assiduo e da una meticolosa presa di contatto con i diversi Gran Coda ai quali si siede nelle varie sale da concerto, tra cui quella del Teatro Regio di Parma, dove si è esibito nell’ambito della stagione concertistica.
Grigory Sokolov (il nome di battesimo va ripetuto a beneficio dei lettori più distratti, da quando è entrato a far parte della scena musicale un violinista che porta lo stesso cognome e che pure ha tenuto un concerto a Parma) è uno dei più stimati, quotati, apprezzati pianisti al mondo. Di più: l’artista nato a Leningrado da una famiglia di origine ebraica, che da tempo risiede in totale anonimato vicino Verona e che pare, da fonti non confermate, abbia recentemente acquisito cittadinanza spagnola, è considerato una leggenda vivente. La sua fama deriva dalla visione cristallina del pentagramma nonché dal suono altrettanto limpido e dalla già menzionata naturalezza strabiliante. Non ultimo, il tocco di squisita eleganza, improntato alla delicatezza che è stata la cifra distintiva della sua esecuzione a Parma.
Il Regio era predisposto per accogliere nei dovuti modi il pianista notoriamente schivo e “allergico” a ogni fronzolo, esteriore o non esteriore. La sala era mantenuta a luci basse, lo strumento era posto davanti al bel sipario storico, quasi come se la vastità del palcoscenico fosse di disturbo, due grandi lampade pendevano sopra l’avorio e l’ebano. Le lunghe code del frac e il gilè bianco immacolato, Grigory Sokolov è entrato già concentrato e dopo aver “sbrigato la faccenda di rito” dell’inchino di cortesia si è immerso nel suo universo quasi mistico, di devoto fedele alla Musica.
Il programma era incentrato su Henry Purcell e si è infine chiuso con Mozart, compositori che sovente gli studiosi associano per le molte analogie. Del primo, Sokolov ha presentato una carrellata di brani di breve durata eseguiti, come di consueto, senza intervalli, con pause ridotte al minimo, regalando al pubblico l’esperienza di un flusso sonoro ipnotico. Per l’appunto un calmo e pacato vortice. Dapprima Ground in Gamut, poi Irish Tune, Scotch Tune, Trumpet Tune, Round O, inframezzati dalle Suite n. 2, 4, 7 e culminati in una Chacone. Purcell richiede, e Sokolov ha dato, non solo eleganza di suono e dita leggere come piume, ma anche esternazione di quel preromanticismo che vive di una malinconia serena, che non rattrista anzi porta seco carezzevoli reminiscenze. Anche le dinamiche del pianista sono state tenere e delicate nel Seicento di Purcell che, come ricordato nelle note di sala di Giuseppe Martini, “maneggiava clavicembali e virginali”. Analogia d’approccio, in pastosa omogeneità d’assieme, l’abbiamo ritrovata nel Settecento di Mozart, lui già avvezzo al pianoforte, nella Sonata n.13 KV 333 e nell’Adagio KV 540. Qui le dinamiche, sempre accuratamente dosate, sempre dolci e mai mielose, hanno assunto colori tenui eppure ben distinguibili, sfumature soffuse e amalgamate, ancora una volta andando a compiere il prodigio di unire apparenti diversità in un tranquillo e rassicurante equilibrio.
Un pianismo generoso anche nell’offrirsi al pubblico. Altra sua caratteristica distintiva, Grigory Sokolov ha aggiunto al programma, per la gioia di platea e loggione entusiasti, una serie interminabile di brevi bis dei quali è stato facile perdere il conto e nei quali gli autori prescelti sono passati in subordine rispetto al perdurare del turbinio magnetico, capace di irretire. Un concerto nel concerto quasi dispiacesse, all’esecutore oltre che agli ascoltatori, che la serata stesse per concludersi.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Regio di Parma il 27 marzo 2023
Contributi fotografici: Roberto Ricci
Grigory Sokolov tiene una settantina di concerti ad ogni stagione. Tra le prossime date, figura anche l’Accademia di Santa Cecilia a Roma: il pianista è all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, Sala Santa Cecilia, lunedì 3 aprile ore 20.30. Qui si esibisce per la 24a volta dalla sua prima apparizione del 1969, presentando lo stesso programma sentito a Parma.