Al MUDEC la mostra che presenta oltre 60 scatti di denuncia sociale dell’artista attivista.
Muholi esplora e dà voce all’Africa nera e ai drammi degli ultimi, degli emarginati, e attraverso la sua arte porta il suo messaggio all’attenzione di un Occidente spesso poco consapevole della violenza di genere, ancora attuale. Muholi racconta tradizioni africane ancestrali che ritornano nei suoi scatti, un’identità culturale che attraverso il suo obiettivo diventa arma potente contro l’odio razziale e di genere, messaggio di speranza e di inclusione da dare all’umanità.
Da dieci anni Zanele Muholi (Umlazi, Sud Africa 1972), una delle voci più interessanti del Visual Activism, è nell’Olimpo dei più celebrati artisti contemporanei, ma il suo lavoro coincide in toto con il suo credo, al punto che Muholi ama definirsi attivista, ancora prima di sentirsi – ed essere – artista.
La sua arte indaga instancabilmente temi come razzismo, eurocentrismo, femminismo e politiche sessuali, è in continua trasformazione e i suoi mezzi espressivi sono la scultura, la pittura, l’immagine in movimento. Ma è con la fotografia, e in particolare con la serie di autoritratti – iniziata nel 2012 e ancora in corso – “Somnyama Ngonyama” (Ave, Leonessa Nera) che Muholi riceve il plauso planetario, in un crescendo di mostre nei più prestigiosi musei del mondo: dalla Tate Modern di Londra a mostre personali al Goethe-Institut Johannesburg (2012), al Brooklyn Museum, New York (2015) allo Stedelijk Museum, Amsterdam (2017), al Museo de Arte Moderno in Buenos Aires (2018), solo per citarne alcuni. Tutti celebrano la bellezza struggente e magnetica delle sue opere, con movimenti d’opinione che seguono la sua voce e la nascita della sua fondazione “Muholi Art Foundation” per la promozione dei giovani artisti neri.
È di questi ultimi mesi la decisione dell’artista di perdere il nome (Zanele) mantenendo solo il cognome, e di proseguire nel suo percorso personale di autodefinizione che passa dalla rinuncia prima del genere e poi del nome che avrebbe continuato a identificare una persona singolare, giungendo ad autodefinirsi pienamente solo attraverso l’uso del pronome “loro”. Una scelta che questa mostra ha deciso di condividere in pieno nell’uso di un linguaggio più consono possibile.
“Muholi. A Visual Activist” è il progetto attraverso cui il Mudec di Milano porta in Italia una selezione – curata da Biba Giacchetti e dall’artista – di oltre 60 immagini, scatti magnetici e di denuncia sociale che spaziano dai primissimi autoritratti ai più recenti lavori.
La mostra, che ha aperto al pubblico il 31 marzo e rimane visibile fino al 30 luglio 2023, è promossa dal Comune di Milano-Cultura, prodotta da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE in collaborazione con SUDEST57, e vede come Institutional Partner Fondazione Deloitte.
L’ATTIVISTA-ARTISTA e LA MOSTRA
Muholi nasce nel 1972 in Sudafrica durante il periodo dell’apartheid, plasmata dalla violenza di quel regime e dalle sanguinose lotte per la sua abolizione. Presto si deve confrontare con le ulteriori violenze riservate alla comunità LGBTQIA+, di cui fa parte. Violenze morali e fisiche, torture accompagnate spesso da sevizie e morte. Per dieci anni Muholi combatte contro l’occultamento dei fatti e documenta fotograficamente gli orrori e gli assassini di innocenti, condannati a causa del proprio orientamento sessuale.
La prima serie di scatti artistici di Muholi documenta i sopravvissuti a crimini d’odio che vivevano in tutto il Sudafrica e nelle township, ‘aree residenziali’ segregate per le persone nere che venivano ‘sfrattate’ dai luoghi designati come “white only”. Qui venivano perpetrate violenze di ogni tipo.
La democrazia in Sudafrica venne stabilita nel 1994 con l’abolizione dell’apartheid, seguita da una nuova costituzione nel 1996, la prima al mondo a bandire la discriminazione basata sull’orientamento sessuale. Nonostante questi progressi, la comunità nera LGBTQIA+ rimane ancora oggi uno degli obiettivi principali della violenza più brutale in Sudafrica.
Nel 2012 Muholi subisce un furto intimidatorio di tutti i suoi file non pubblicati. Decide che la sua lotta personale deve continuare, ma in altri termini. Gira la macchina fotografica verso di sé piuttosto che verso gli altri, decidendo così di esporsi in prima persona. Rinuncia alla propria identità di genere per rappresentare un’identità collettiva che dia voce alla comunità nera omossessuale attraverso la fotografia, e in particolare l’autoritratto. La macchina fotografica diventa così per Muholi un’arma di denuncia e contemporaneamente di salvezza.
Nasce nel 2012 il progetto artistico “Somnyama Ngonyama, Hail the Dark Lioness (Ave Leonessa Nera)”, la serie di scatti fotografici che il Mudec ospita in questa mostra italiana, diventati anche un volume pluripremiato, mentre un secondo volume è in corso di pubblicazione. Da allora Muholi produce con costanza e coerenza una serie di potenti autoritratti, che stregano il pubblico in modo trasversale.
Muholi invita il pubblico a superare il primo livello di lettura dell’autoritratto, per riflettere – attraverso la “blackness” del suo corpo – sull’identità nera collettiva, con un effetto che sorprende per la forza evocativa del messaggio.
M.C.S.
Ufficio Stampa, 30 marzo 2023
Immagine: Foto allestimento mostra al MUDEC @ Carlotta Coppo
MUHOLI. A VISUAL ACTIVIST
31 marzo – 30 luglio 2023
MUDEC
Via Tortona 56, Milano
Infoline: tel. 02/54917
info@mudec.it
www.mudec.it