Uno dei tanti pregi del mondo operistico è la varietà. Così, nel Festival numero Cento, accanto ad allestimenti avveniristici o spiritosi, trovano meritato spazio messe in scena che hanno scritto la storia dell’Arena di Verona, e del teatro in generale. Ha registrato un sold out eloquente la prima recita di Carmen nell’allestimento con cui Franco Zeffirelli debuttò nell’anfiteatro nel 1995 curando regia e scene del capolavoro di Georges Bizet. Lo stesso regista vi rimise mano nel 2009; seguì poi la versione postuma del 2022 (vedi recensione DeArtes qui) chiamata “definitiva” in quando si realizzarono per la prima volta alcuni elementi scenografici che Zeffirelli aveva solo disegnato. Quest’ultima viene riproposta nell’estate 2023, in tutta la sua spettacolarità.
Un allestimento tornato a dimostrare, ancora una volta, di essere senza tempo, di saper sempre sprigionare il suo fascino ammaliatore, per la fedeltà al libretto (di Meilhac e Halévy) che segue i canoni della descrittività senza disorientare gli spettatori, anche neofiti. Lo stile di Zeffirelli non prevarica il compositore ma lo affianca nel compito narrativo, basandosi, come è noto, sulla sovrabbondanza di colori e di elementi folcloristici che creano l’atmosfera di Siviglia, con l’ausilio dei costumi di Anna Anni.
Oltre 400 erano i personaggi che affollavano il palcoscenico, tra protagonisti, due cori, ballo, mimi e figuranti, umani e animali. La specifica è d’obbligo. Zeffirelli ha sempre amato le controscene, incessanti e curatissime, che per il regista non costituiscono un contorno accessorio ma diventano elemento sostanziale. Ciò, avvalendosi anche di cavalli dal manto lucido e di teneri asinelli. Durante la prima recita di questo titolo nel festival 2023, un simpatico equino è scivolato sul pavimento liscio e inclinato. Il fantino si è rialzato subito, palesemente indenne, mentre il cavallo è rimasto per qualche minuto stordito. La recita non si è interrotta e le fonti ufficiali hanno in seguito rassicurato circa l’incolumità di entrambi. Vogliamo approfittare di questo episodio per restituire giustizia ai quadrupedi, figuranti a tutti gli effetti, generalmente dimenticati nelle cronache e che invece meritano eguale considerazione, e dignità, dei loro colleghi bipedi. Ai cavalli, agli asinelli e ai loro addestratori che li trattano amorevolmente e li accompagnano sul palcoscenico, tributiamo un applauso caloroso e sincero.
Anche quest’anno si è mantenuta l’ormai tradizionale usanza di commutare l’ultimo intervallo in un cambio scena, per dar modo al pubblico di assistere a un inserto danzato eseguito davanti al sipario mobile: una benevola “sfida” andalusa tra due gruppi di tangueros della mitica Compañia Antonio Gades diretta da Stella Arauzo. A loro, durante l’opera, si è aggiunto il Corpo di ballo areniano coordinato da Gaetano Petrosino, a far rivivere le coreografie originali di un’altra leggenda, El Camborio.
Sul podio, per questa e per le prossime recite di Carmen, ha regnato l’esuberanza di Daniel Oren, che vanta una conoscenza perfetta del luogo e del suo pubblico, conquistato fin dall’ingresso nell’anfiteatro. Oren sa instaurare uno speciale feeling con Orchestra e Coro areniani, quest’ultimo diretto da Roberto Gabbiani, mentre il coro di Voci bianche A.LI.Ve è stato istruito da Paolo Facincani: entrambe le formazioni sono state nulla meno che ottime dal punto di vista canoro e attoriale, con molti interventi complessi svolti egregiamente. Buca e palco hanno dunque espresso il meglio delle rispettive potenzialità e della sinergia reciproca, come una macchina perfettamente oliata, seguendo i tempi scorrevoli e la vivacità dinamica e coloristica che caratterizzano lo stile del direttore di Tel Aviv.
Protagonista, nel ruolo di Carmen, era Clémentine Margaine, della quale confermiamo sostanzialmente quanto scritto di lei lo scorso anno. Il mezzosoprano francese possiede una vocalità notevole, corposa e calda, morbida, dalle belle sfumature bronzate soprattutto nei registri medio alti; il fraseggio attentamente curato contribuisce al suo approccio vocale analitico. Minor calore è emerso nel tratteggiare caratterialmente la bella zingara e il fuoco che ne dovrebbe alimentare la capacità seduttiva. Tuttavia l’aspetto attoriale si è dimostrato in netto miglioramento rispetto al passato, grazie anche al grande supporto di “sangue e passione” venutole dal podio, che l’ha saputa incalzare nei momenti giusti.
Non perfettamente a fuoco neppure il personaggio di Don José, dibattuto tra la tranquillizzante via che conduce verso Micaela, e l’impulso istintivo di possesso predatorio che lo acceca, spingendolo tra le braccia di Carmen. Il tenore britannico-italiano, l’astro in ascesa Freddie De Tommaso, ha convinto dal punto di vista canoro, con gli acuti luminosi e privi di forzature, e con la linea stilistica pulita e omogenea, vocalmente coinvolgente.
La migliore di questo cast, come da aspettative, si è rivelata Mariangela Sicilia una Micaela sinceramente innamorata, dolce e rassicurante, dalla voce splendidamente morbida, tornita ed elegante, e soprattutto intrisa di un carico interiore di emotività per cui la collochiamo tra le migliori Micaele mai udite in Arena.
A dividersi con lei lo scettro dell’eleganza, e del migliore del cast, Erwin Schrott, che ha donato nobiltà al torero Escamillo facendone una figura mai eccessiva e sinceramente innamorata della volubile Carmen. Il mezzo vocale del basso-baritono di Montevideo è un gioiellino utilizzato al meglio, con incisività e sensibilità, complice anche la presenza scenica.
Grande l’affiatamento, indispensabile, del quartetto formato da Jan Antem e Didier Pieri, i contrabbandieri Dancairo e Remendado, e da Cristin Arsenova e Sofia Koberidze, le amiche della protagonista, Frasquita e Mercédès. A completare appropriatamente il comparto vocale erano Giorgi Manoshvili e Christian Federici nei panni di Zuniga e Morales,
Carmen viene replicata per sole cinque recite, con diversi cast, fino al 6 settembre 2023.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 23 giugno 2023
Foto Ennevi