I pezzi qui registrati furono composti tra il 1843 e il 1844 e pubblicati poco dopo: interpretare opere cronologicamente vicine nell’ordine di pubblicazione significa per Maurizio Pollini avvicinarsi al criterio di varietà cui si atteneva lo stesso Chopin nei programmi dei propri concerti, e consente di individuare i caratteri di ogni lavoro nel suo contesto. “Ascoltare le Ballate o gli Scherzi di seguito non tiene conto del fatto che sono stati composti in momenti diversi, senza legami diretti.” Così ad esempio accanto allo straordinario fascino timbrico della Berceuse appaiono in una luce particolarmente suggestiva i colori sonori delle opere vicine.
Lo schema formale tradizionale del notturno pianistico è reinventato in modi differenti nei due Notturni op. 55. Il primo, in fa minore, insiste sulla dolente idea iniziale; ma alla fine, dopo la drammatica concitazione della sezione centrale, la riprende solo per quattro battute, passando direttamente alla coda conclusiva, che sembra dissolvere in aerei arabeschi il mesto clima della prima parte, e si conclude in fa maggiore. Nella straordinaria intensità poetica del seguente Notturno in mi bemolle maggiore non c’è più traccia della tripartizione tradizionale, e nella continuità dell’invenzione sembra superata ogni netta articolazione, sebbene ritorni l’idea di carattere più appassionato. Il fiorire della linea melodica è spesso affiancato dal profilarsi nelle parti interne di altre linee di canto, quasi in dialogo: il rilievo del contrappunto accomuna questo notturno ad altre pagine della avanzata maturità. Osserva Maurizio Pollini: “È uno dei notturni più straordinari. Due caratteri contrapposti coesistono miracolosamente, uno lamentoso e uno di attaccamento alla vita: questi due aspetti così lontani l’uno dall’altro si fondono in modo meraviglioso e magico.”
Il legame di Chopin con le radici nazionali e le tradizioni popolari si riflette direttamente nelle mazurche, che le ripensano in una dimensione interiore, in pagine di straordinaria varietà e intensità poetica. Delle tre Mazurche riunite nell’op. 56, la prima ha una struttura a rondò (ABABA), dove il ritorno della poetica sezione iniziale in tempo di mazurca si alterna con i due episodi intermedi (couplet) dal lieve andamento di valzer. Nella seconda mazurca ha un piglio popolare l’inizio con la costante ripetizione (per 28 battute) della quinta do-sol al basso, che fa pensare al bordone della cornamusa, e che ritorna alla fine, dopo una nuova idea e dopo un breve, rigoroso canone a due voci, dove un procedimento contrappuntistico dotto si lega ad una idea di sapore popolare. Culmine della raccolta è la terza mazurka, in do minore, la più lunga e complessa, per Maurizio Pollini “una delle più sviluppate ed elaborate, formalmente molto interessante”.
Sappiamo poco delle vicende creative attraverso le quali la Berceuse in re bemolle maggiore op. 57 raggiunse la sua enigmatica perfezione. Composta tra il 1843 e il 1844, pubblicata nel 1845, era stata offerta a Schlesinger nel dicembre 1844 con il titolo Varianti, che divenne Berceuse, con riferimento al cullante andamento dell’ostinato su cui fioriscono le “varianti” della melodia iniziale. Quasi tutto il pezzo è bloccato su una assoluta immobilità armonica, sulla successione di armonie di tonica e dominante. Sulla ipnotica e dolcissima fissità di questo ostinato (da eseguire sempre piano o pianissimo) fiorisce dalle quattro battute del “tema” una serie di 14 “varianti” di quattro battute ciascuna, seguite da una coda conclusiva in cui riappare e si dissolve la melodia iniziale. Si assiste al costante divenire della melodia di partenza, che dapprima si sdoppia, quasi generando una seconda melodia in contrappunto, e rimane riconoscibile, per dar vita poi ad arabeschi che sembrano fiorire l’uno dall’altro come in una libera improvvisazione e non lasciano percepire il rigore dell’elaborazione. Di sconvolgente originalità è l’invenzione del suono, la magica, incantata trasparenza delle linee che si stagliano lievi sulla ipnotica immobilità armonica.
La Sonata in si minore op. 58, composta nell’estate 1844, si apre ad una grande varietà di accenti con straordinaria ricchezza fantastica, anche con momenti di spaziata, luminosa cantabilità. Fin dal primo tempo, la natura di questa luminosità del timbro pianistico contribuisce in parte a collocare in una luce particolare questo ultimo ritorno di Chopin alla sonata: un ritorno che condivide solo in una certa misura e in modo più sfumato alcuni caratteri dell’ultimo pianismo chopiniano. Nell’Allegro maestoso il primo tema appare
segnato da una inquieta, frastagliata mobilità, e si collega al secondo attraverso una transizione densa di nuovo, significativo materiale. L’ampio respiro lirico del secondo tema dà luogo ad una fioritura di idee che con fluire ininterrotto si estende fino alla fine dell’esposizione. “Si profila quasi una melodia infinita con un grande respiro lirico, continuo”, osserva Maurizio Pollini. La prima parte dello sviluppo segna un ritorno a drammatiche tensioni, che poi sfociano in un fantasioso divagare su elementi lirici del secondo gruppo tematico. Da qui ci si collega alla ripresa, attraverso una breve pagina che richiama frammentariamente solo alcuni elementi della prima parte dell’esposizione: la ripresa letterale e integrale comincia solo dal secondo tema. L’omissione del primo tema è un esempio di come Chopin sappia ripensare originalmente gli schemi formali classici, smentendo i vecchi pregiudizi di coloro che, a partire da Liszt, ritennero meno congeniali a Chopin le forme di ampio respiro come la sonata, dove invece l’analisi può rivelare la straordinaria capacità di organizzare in un coerente svolgimento il continuo rinnovarsi delle idee. Per Pollini è importante sottolineare che anche nelle sonate Chopin ha raggiunto la perfezione. Ed eseguire il ritornello dell’esposizione aiuta a comprendere meglio la forma.
I due movimenti centrali presentano caratteri formali meno complessi. Il breve Scherzo in mi bemolle maggiore (con una sezione centrale in si maggiore la cui melodia ha un sapore popolare) è caratterizzato da una scrittura di aerea leggerezza, da una magica qualità del suono. Il Largo evoca un poco il carattere di un notturno: si nota, dopo poche battute di solenne introduzione, un piglio quasi vocale nella trepida cantabilità, nella miracolosa purezza melodica del disegno iniziale (legato da qualche affinità al secondo tema dell’Allegro maestoso), in un clima sonoro di singolare raffinatezza. Un particolare incanto sonoro caratterizza anche la sezione centrale. La natura di questo incanto, come la magia timbrica dello Scherzo, appartiene ai caratteri che consentono di collocare la Sonata op. 58 in una luce del tutto particolare. Nuovi orizzonti schiudono l’inquieta concitazione, lo slancio intenso e controllato del Finale in forma di rondò, dove ogni ritorno del tema è caratterizzato da un accompagnamento di crescente densità ritmica, con una energia che richiede un grande virtuosismo.