Iniziano i concerti dell’estate 2023 di Musica Mirabilis. Il Maestro Giovanni Acciai illustra il progetto e parla della musica antica oggi.
Maestro Giovanni Acciai, lei ha per un lungo periodo insegnato, come docente titolare e tuttora, come docente emerito, «Paleografia musicale» al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano. Può spiegare in cosa consiste questo studio e quali incidenze abbia avuto la conoscenza della materia nella sua vita artistica?
La Paleografia musicale è la disciplina che ha per fine quello di leggere e di decodificare le antiche scritture musicali e, di conseguenza, di trascriverle in notazione moderna. A parte la Musicologia, della quale essa è parte integrante e non ausiliaria, la Paleografia musicale ha relazioni molto strette con altre discipline, come la storia, la filologia e la sociologia della musica.
Non a caso, un secolo fa, Heinrich Bellermann, il musicologo tedesco al quale siamo debitori, insieme con Johannes Wolf, Ugo Riemann e Charles-Edmond-Henri de Coussemaker, di fondamentali studi musicologici sulla semiografia musicale antica, affermava che «la conoscenza esatta della notazione di un’epoca è la prima cosa necessaria per comprendere le opere musicali che ci ha trasmesso, se non addirittura l’unica».
Va da sé che Bellermann, dicendo «conoscenza esatta della notazione», non si riferiva soltanto all’algida normativa che regola la trascrizione dei valori mensurali antichi in quelli moderni, ma sottintendeva ben altre e più sottili informazioni insite nel segno; egli faceva infatti riferimento a tutta quella miriade di dati che il simbolo grafico racchiude in sé e che è compito dello studioso moderno decodificare e rendere persuasivo dell’idea musicale dalla quale esso è scaturito.
Per me e per la mia attività di musicista, interprete del repertorio del passato, la peculiare conoscenza delle scritture musicali dei secoli XII-XVII ha costituito sempre una condicio sine qua non imprescindibile; un punto di partenza dal quale far scaturire tutte le indicazioni necessarie per un approccio consapevole all’interpretazione filologica dei testi affrontati.
La sua attività artistica si estende dai saggi ai concerti, alla ricca produzione discografica, fino alla pubblicazione di revisioni e di trascrizioni di musica antica. Tra gli autori da lei studiati in modo approfondito, figura Giovanni Legrenzi (Clusone 1626 – Venezia 1690). A Clusone (Bergamo), la città natale del compositore, ha creato nel 2022, insieme con Ivana Valotti, «Musica Mirabilis» (vedi notizia DeArtes qui). Più che un festival si tratta di un articolato progetto di riscoperta e di rinascita dell’opera musicale legrenziana, della durata di ben quattro anni. Ce lo vuole descrivere?
Musica Mirabilis non è e non vuol essere un festival musicale qualsiasi, come tanti presenti in Italia, in Europa e in ogni parte del mondo. Musica Mirabilis è un festival musicale particolare, unico nel suo genere, caratterizzato da un’architettura originale e inedita, volta a coniugare la ricerca e la valorizzazione del repertorio legrenziano, ingiustamente abbandonato da secoli e, dunque, non ancora eseguito in epoca contemporanea, con la formazione e con la promozione di giovani talenti esecutivi che si affacciano alla ribalta internazionale, con prove concorsuali e con seminari di studio e di approfondimento della prassi esecutiva musicale del passato.
Il festival intende educare, nel senso di e-ducere, il suo pubblico, offrendogli la possibilità, nell’arco di un quadriennio, di conoscere non soltanto l’intera produzione vocale e strumentale di Legrenzi, ma anche di approfondire gli aspetti estetici, formali, stilistici di un importante periodo della storia musicale italiana ed europea.
Quindi, nel caso di Legrenzi, il tempo non è stato un giudice onesto e la sua figura meriterebbe un posto di maggior rilevo nel panorama musicale?
Ammirato da Bach, da Händel, da Hasse e da tanti altri compositori del suo tempo, Giovanni Legrenzi fu senza dubbio uno dei massimi rappresentanti della musica italiana del Seicento; autore fra i più degni di occupare un posto di rilievo nella storia musicale universale.
Egli è infatti il musicista capace di riassumere in sé i tratti caratteristici di un’epoca (quella barocca) e di compendiarli tutti nella sua arte creativa.
La sua musica è veramente rappresentativa dello stile barocco; si eleva a un apice di grande intensità espressiva attraverso un linguaggio musicale caratterizzato da un contenuto sottile e facile da comprendere, da una singolare raffinatezza melodica, da un erudito gusto armonico, da una impeccabile declamazione del testo.
Legrenzi possiede un bagaglio tecnico di straordinario valore e dimostra di saperlo adeguare alle nuove istanze stilistiche del suo tempo, le quali procedendo nel solco della «seconda prattica» monteverdiana, volevano al centro dell’atto creativo la «parola», declinata in tutta la sua forza espressiva, in tutta la sua corposità rappresentativa. Non il contrario, com’era stato in precedenza, nel corso del Cinquecento, per la «prima prattica» di palestriniana memoria.
Nel trascorrere dei secoli, al pari di tanti suoi colleghi italiani (e non solo italiani!), Legrenzi è caduto in oblio, trascurato dagli studiosi e dagli esecutori che, al contrario, avrebbero dovuto tenerne desta la memoria con studi appropriati e con edizioni critiche dell’intero suo lascito creativo. E se sul versante della sua musica strumentale l’interesse non è mai svanito del tutto, su quello della musica vocale, intendendo anche gli oratori e i drammi per musica, il silenzio è imbarazzante per non dir altro.
Di qui l’idea mia e di Ivana Valotti, accolta con entusiasmo dal Sindaco di Clusone e dalla sua giunta, di dedicare all’illustre concittadino Giovanni Legrenzi, Musica Mirabilis, un festival musicale internazionale a lui interamente dedicato.
Una riscoperta a tutto campo, quindi, articolata in una serie di concerti e altre iniziative firmate «Nova Ars Cantandi».
In questi anni, alla guida del mio ensemble «Nova Ars Cantandi» ho già registrato alcuni dischi di musica vocale di Giovanni Legrenzi (n.d.r. prime esecuzioni mondiali per l’etichetta Naxos delle Compiete, opera VII e dell’Harmonia d’affetti devoti, opera III) che fanno parte di un progetto che desidero compiere insieme con Ivana Valotti, su gran parte della produzione vocale a stampa del Clusonese.
Questo orientamento artistico vale anche per le proposte concertistiche del gruppo, volte a proporre le composizioni vocali di Legrenzi non ancora eseguite in epoca contemporanea.
Quest’anno Musica Mirabilis avrà inizio il 26 agosto, con il concerto dell’«Insieme strumentale di Roma», diretto da Giorgio Sasso, il quale proporrà l’integrale delle Sonate per due violini e basso continuo, opera seconda (Venezia, 1655); il 23 settembre, l’ensemble «Harmonices Mundi», diretto da Claudio Astronio, si cimenterà nell’esecuzione degli Echi di riverenza di cantate e canzoni, opera quattordicesima (Bologna, 1678) per voce sola e basso continuo; mentre il 30 settembre, sarà possibile ascoltare dall’«Ensemble Locatelli», diretto da Thomas Chigioni, un’altra primizia del Maestro clusonese: le Sonate a due, tre, cinque e sei istromenti, opera ottava (Venezia, 1663); il 14 ottobre, infine, la «Nova Ars Cantandi», concluderà la stagione 2023, eseguendo il Vespro di San Callisto, realizzato con brani tratti dall’opera quinta di Legrenzi, Salmi a Cinque, tre voci e due violini (Venezia, 1657).
Peculiarità di quest’ultimo concerto sarà proprio quella di non eseguire i salmi uno dietro l’altro, così come sono impaginati nella raccolta a stampa di Legrenzi, ma di ordinarli, secondo la sequenza prevista dalla liturgia di quel giorno, in modo da formare un Vespro. Il 24 ottobre si celebrerà la festa di san Callisto, pontefice e martire (III sec.) e a san Callisto sarà intitolato appunto il concerto legrenziano.
In altre parole, proveremo a ripetere le identiche azioni che svolgeva Legrenzi ogni domenica e ogni festività liturgica di rilievo, nell’adempimento del suo incarico di maestro di cappella dell’Accademia dello Spirito Santo di Ferrara, fondata nel 1597 dal marchese Guido Bentivoglio, presso la quale prestava servizio dal 1656.
Insieme con la rivale Accademia della Morte, un’altra prestigiosa associazione ferrarese, e con la cappella musicale del duomo della città estense, queste istituzioni erano i luoghi più ambiti per ascoltare musica al di fuori dei recinti «reservati» della corte ducale e delle case nobiliari. Bisogna immaginare il pomeriggio di una festa, non necessariamente solenne, di una domenica che veniva nobilitato dal canto e dal suono degli strumenti e l’eccitazione dei fedeli e dei forestieri in visita alla città, in attesa di ascoltare le nuove composizioni scritte dal maestro di cappella per quella celebrazione. La produzione musicale era molto ricca e lussureggiante nell’epoca barocca e ogni chiesa di una certa importanza e di un consolidato prestigio (si pensi alla Basilica di Santa Maria Maggiore, a Bergamo o a quella di San Marco, a Venezia) faceva a gara per primeggiare, adornando la liturgia delle Messe, dei Vespri, delle Compiete con musiche capaci di «destare stupore e maraviglia».
Queste sue ultime parole aprono un mondo e riaccendono il dibattito sulle modalità di eseguire, oggi, la musica antica. Come vanno intese, secondo lei?
La domanda da porsi è la seguente: oggigiorno, il modo di proporre la musica del passato è davvero rispettoso della prassi in auge nei secoli nei quali questa musica veniva eseguita? La risposta non può essere lapidaria e di quelle che non danno scampo. Ma in molti casi, soprattutto sul versante della musica vocale, è necessario ripristinare un modus canendi il più possibile aderente a quello in uso nel lontano passato.
L’interprete moderno deve essere consapevole del fatto che la musica del passato, non importa se medievale, rinascimentale o barocca, non potrà mai essere restituita nella sua più intima dimensione espressiva, riproducendo soltanto ciò che il testo originale tramanda. Ciò che sta scritto sulla pagina di un manoscritto o di una stampa dei secoli a noi più lontani, non è la musica di quell’epoca. È soltanto il suo simulacro. Non trasmette e non intende trasmettere tutto ciò che il compositore avrebbe potuto comunicare. Trasmette soltanto l’«essenziale» di ciò che il compositore intende comunicare, sulla base di pochi elementi semiografici consolidati nel tempo, ovvero, l’altezza delle note, tramite la posizione delle chiavi, dalle quali dipende poi la scelta del tipo di voce da impiegare; la segnatura agogica attraverso i segni tempo e di proporzione; il testo da intonare. E nulla più.
Eseguire soltanto ciò che sta scritto sulla pagina antica, come purtroppo molti esecutori ancor oggi fanno,significa, invece, tradire appieno il pensiero del compositore.
Interpretare la musica del passato richiede infatti una spiccata attitudine di pensiero. Non serve, certo, a risolvere il problema, l’algida e pedissequa applicazione di una serie di formule imparate a memoria e sciorinate in maniera acritica.
Ciò che rende straordinario il progetto Musica Mirabilis è che il pubblico non è di nicchia: capisce e recepisce. Non c’è quindi bisogno di attualizzare gli antichi parametri, per renderli accessibili al pubblico di oggi?
Ma certo, che il pubblico capisce. Ad esempio, questa storia di attualizzare le regie dell’opera lirica è pura idiozia, avallata da interessi che stanno dietro al mondo dell’opera stessa. Se l’azione si svolge a Parigi, nella metà dell’Ottocento, in un determinato contesto storico-culturale, non capisco perché debba essere ambientata negli anni Sessanta del secolo scorso: è pura demagogia ideologica. Sarebbe come sovrapporre dei murales al Giudizio universale della Cappella Sistina per attualizzare e rendere più vicino al gusto corrente l’affresco michelangiolesco. Ahimè, con la musica questo si può fare, perché non è un’arte plastica, e non ha le barriere della pittura e della scultura. È una vergogna e non c’è nulla che fermi questa tendenza demenziale. È come se noi volessimo rendere più appetibile Monteverdi sostituendo con un rap i recitativi dell’Orfeo o Incoronazione di Poppea. È incredibile, e vale per Puccini come per Monteverdi. La colpa non è solo dei registi, ma anche dei direttori d’orchestra, i quali, pur non condividendo le idee del regista, le accettano supinamente, salvo poi lamentarsi, a spettacolo concluso.
Torniamo a Legrenzi e ai suoi Salmi a cinque, in concerto a Clusone …
Come ho già detto, rispondendo a una precedente domanda, se nel corso del Cinquecento e del Seicento, era prassi comune comporre tutte le cinque parti di una Messa (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei), non lo era altrettanto per un Vespro. Le ragioni di questo modus operandi son presto dette. Mentre le parti dell’Ordinarium Missae sono immutabili, quelle di un Vespro, variano di giorno in giorno, a seconda della festa che si celebra. Per fare un esempio, i salmi che si cantano nei Vespri del giorno di Natale, sono diversi da quelli che si cantano nel giorno di Pasqua. Ovviamente il Cantico della Beata Vergine (Magnificat) è escluso da questo turn over.
Si spiegano così le centinaia di antologie di salmi pubblicate dall’avvento della stampa musicale (1501) fino alle soglie del Settecento. Esse rappresentavano, per i maestri di cappella, una sorta di serbatoio dal quale attingere i brani necessarî per la realizzazione di un determinato Vespro.
In questo contesto, il Vespro della Beata Vergine di Claudio Monteverdi rappresenta una eccezione, in quanto Monteverdi ha realizzato questo monumentum perché fosse la testimonianza concreta del suo valore di compositore di musica da chiesa, nei confronti di coloro che avrebbero potuto assumerlo alla guida di un’importante cappella musicale. Per questo il Vespro monteverdiano è un crogiuolo di tecniche compositive, di stili, di prassi esecutive.
Al contrario, le raccolte di salmi delle quali stiamo parlando, erano dei contenitori nei quali i compositori radunavano i salmi da eseguire nel corso dell’anno liturgico che, poi, i maestri di cappella sceglievano, di volta in volta, a seconda della festività liturgica che si doveva celebrare.
Della parte vocale, cosa ci può dire?
Citavo il Vespro di Monteverdi. Come oggi viene eseguito da chiunque, bene o male che sia, è vocalmente sbagliato perché prevede voci femminili. Secondo le regole di allora, le donne non potevano cantare in chiesa, così le parti degli alti erano maschili. Invece oggi vengono utilizzate voci femminili. La tessitura è, come perseguo col mio gruppo, per le voci maschili, che dalla più grave all’acuto si restringe a tenore, controtenore e a controtenore acuto vale a dire falsettisti. Così il suono è omogeneo. Se si mettono voci femminili, manca l’omogeneità, perché le due voci femminili cantano un’ottava alta rispetto al tenore. Un problema in gran parte ancor oggi disconosciuto, per non dire snobbato, è quello dell’impiego delle voci femminili nella parte più acuta del repertorio, sia solistico sia polifonico, di genere sacro.
Al riguardo, giova infatti ricordare che dalla metà del secolo IV dell’era moderna, ovvero dal Sinodo di Laodicea (363-64 circa) e fino agli inizi del Novecento, l’impiego delle voci femminili è sempre stato precluso al servizio liturgico (Mulier absit a choro, fatta eccezione per le monache, ovviamente). Né durante il prodigioso sviluppo del linguaggio polifonico nei secoli XV e XVI né in epoca barocca, il divieto è venuto meno. Anche dopo lo scisma luterano, nei paesi di fede protestante, tale prescrizione ha mantenuto la sua efficacia.
Ne consegue che la parte del Cantus, la più acuta dell’ordito polivoco, era affidata o al tenore falsettista, detto anche «sopranista» o alle voci bianche dei bambini (pueri cantores) e che dal XV al XVII secolo, i termini Cantus, Altus, Tenor e Bassus non indicarono mai una determinata tipologia vocale, così come avviene oggi ma, più semplicemente, un perimetro sonoro, un àmbito sonoro, regolato dalla chiave, all’interno del quale ciascun cantore trovava la sua naturale dimensione vocale (ecco perché si chiamavano «chiavi naturali»).
Perché, secondo la sua esperienza, in Europa le presenze di giovani ai concerti di musica classica e antica sono molto più numerose che in Italia? L’Italia è la culla della musica; forse, come accade per i tesori artistici, ne abbiamo talmente tanta da darla per scontata? A livello italiano, cosa si dovrebbe fare, secondo lei?
Non è facile rispondere a questa domanda. Il problema è di vasto respiro, riguarda tutta la musica cosiddetta classica (quella che Quirino Principe definisce, con una felice espressione, «musica forte») ed è afferente all’annoso problema dell’educazione musicale nel nostro Paese.
Non sono di certo io il primo a segnalare l’enorme importanza che riveste una precoce educazione musicale per la formazione globale dell’individuo e a ricordarne qui gli indiscutibili benefici.
E, sia chiaro, non intendo riferirmi qui ai benefici di una semplice «informazione musicale» la quale è mera conoscenza ed elencazione di dati esteriori. E, neppure, alla semplice pratica musicale, importante senza dubbio, ma tale che, se non incastonata entro un progetto didattico mirato e non armonizzata con un sapere generale, può rimanere avulsa da un contesto di cultura e di indagine interiore e non andar oltre lo stadio puramente tecnico. Ancor meno intendo porre l’accento sull’istruzione musicale, intesa come un prosieguo logico e ordinato di conoscenze, il rischio delle quali può essere quello di chiudersi in una sfera intellettualistica prevaricante l’esperienza sonora.
L’educazione riguarda l’uomo, la sua completa formazione; vuole da lui stesso cavar fuori, secondo, anche, il significato etimologico del verbo «educare», che deriva dal latino e-ducere, quanto di meglio egli possiede, in modo che la sua autentica personalità si riveli e abbia coscienza di sé stessa, si sviluppi armoniosamente e fiorisca secondo le capacità e le inclinazioni che le sono proprie.
Chi se la sente oggi di affermare che la musica gode in Italia di quella considerazione, di quell’importanza, di quel peso nella vita sociale del cittadino che meriterebbe?
Mai come nel momento attuale la musica occupa in Italia un ruolo periferico, per non dire ininfluente, nel quadro pedagogico dedicato alla formazione dell’individuo. Non basta un modesto programma televisivo all’ora di cena per alfabetizzare d’incanto l’italica popolazione.
Il nostro Paese ha infatti una pessima vita musicale. Con questa affermazione non intendo riferirmi alle tradizionali stagioni d’opera o concertistiche dei maggiori teatri nostrani, né ai festival, Musica Mirabilis compreso, che da nord a sud si organizzano nel corso della stagione estiva.
No, intendo riferirmi qui a una normalissima pratica musicale (corale o strumentale che sia), svolta da soggetti adeguatamente alfabetizzati nel corso dei normali cicli scolastici e delle attività ricreative e amatoriali.
La musica, affidata ad una attività limitata, è per di più malamente distribuita, territorialmente e socialmente, è praticata ancor meno e, di fatto, non viene insegnata nella scuola, o tanto poco e disorganicamente da non lasciare seria traccia nella formazione della persona.
È amaro doverlo constatare, ma in Italia non esiste ancora una vera educazione musicale, un progetto educativo che abbia nella diffusione del sapere musicale e nel conseguimento di un’esperienza attiva della musica il suo punto di forza.
In Italia, l’aspirazione a una società civile nella quale la musica occupi un posto importante appartiene al regno dell’utopia.
Mi dica lei come si fa ad avvicinare i giovani alla musica (non importa a quale epoca essa appartenga) quando le premesse sono quelle che ho appena elencato?
Quali sono i suoi impegni futuri in ambito concertistico? E nell’ambito della ricerca?
Fra ottobre e novembre l’agenda degli impegni concertistici di Nova Ars Cantandi è molto fitta. Oltre al concerto del 14 ottobre per Musica Mirabilis e del quale ho già riferito, abbiamo in programma, dal 27 al 30 ottobre, quattro concerti per le «Settimane barocche» di Brescia, con l’esecuzione della Missa solemnis de Sancta Maria su musiche di Costanzo Antegnati, Biagio Marini, Tarquinio Merula e Giovanni Legrenzi.
Il 12 novembre, per «Napoli Musica Sacra Festival», eseguiremo per la prima volta in epoca contemporanea uno Stabat mater, a quattro voci e basso continuo di Donato Ricchezza e il Miserere, a quattro voci, due violini e basso continuo di Leonardo Leo.
Sul finire di novembre, a Mantova, nella mirifica cornice acustica della Basilica di Santa Barbara, registreremo per conto dell’etichetta Naxos, il terzo CD dedicato all’opera vocale sacra di Giovanni Legrenzi. Dopo l’opera terza (Harmonia d’affetti devoti, Venezia 1655) e l’opera settima (Compiete, Venezia 1662), sarà la volta dell’opera quinta (Salmi a cinque: Tre voci e due violini, Venezia 1657) in parte già proposta a Clusone, nel concerto del 14 ottobre per Musica Mirabilis e ora registrata integralmente.
Oltre a questo, l’impegno più gravoso sarà quello di continuare a occuparmi, insieme con Ivana Valotti, della gestione artistica di Musica Mirabilis, in quanto, come ho già riferito durante questa conversazione, anche il prossimo anno e fino al 2026, a Clusone accorreranno da ogni parte d’Italia e d’Europa strumentisti e cantanti per dar vita, se non agli opera omnia, almeno alla realizzazione moderna delle composizioni più importanti e più significative di Giovanni Legrenzi, uno straordinario musicista che, come ebbe a dire un suo conterraneo, «non so se l’armonia delle sfere, col suo dolce girar di pianeti possa dispensarne di più».
Come ha appena anticipato, in autunno il maestro Acciai registrerà un nuovo disco, che si andrà ad aggiungere alla sua vasta produzione. Diamo quindi ai nostri lettori appuntamento a novembre e ringraziamo il maestro Acciai per la generosa e gentile disponibilità.
Intervista di Maria Luisa Abate per DeArtes
Immagine di copertina: Giovanni Acciai © Andreas Kikrdjakin
Agosto 2023
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NOVA ARS CANTANDI
Fondato nel 1998 da Giovanni Acciai, il Collegium vocale et instrumentale «Nova Ars Cantandi» è uno dei gruppi più vivaci, originali e creativi, attivi sulla scena musicale contemporanea.
Da oltre vent’anni, questo ensemble formato da cantanti e strumentisti professionisti, è impegnato nella riscoperta, nella divulgazione di un repertorio rinascimentale e barocco sconosciuto. Attraverso un repertorio musicale sacro, che risuonava a Venezia, a Ferrara, a Roma, a Napoli, ai tempi del Caravaggio, del Bernini, del Guercino, del Reni, il gruppo esplora un universo di emozioni sonore di rara e intensa bellezza. Acclamato dalla critica specializzata (Riviste Musica, Amadeus, Classic Voice, Diapason, Early Music, Classical explorer, Crescendo Magazine, Opera Click, Chorzeit, Audiophile Sound, Musica Dei Donum) ha ottenuto alcuni fra i più prestigiosi premi discografici, come il Premio «Franco Abbiati» 2019 dell’Associazione Nazionale Critici Musicali per il CD Responsoria di Leonardo Leo (Deutsche Grammophon-Archiv Produktion) e la nomination per gli International Classical Music Awards – ICMA 2017, nella categoria «Early Music» per gli Armonici entusiasmi di Davide, op. IX, di Giovanni Battista Bassani.
Ha registrato per numerose etichette: Naxos, Deutsche Grammophon- Archiv Produktion, Tactus, Stradivarius, Sarx Records, Concerto. Presente nei maggiori festivals di musica (MITO, «Musica Maestri» del Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano, Antiqua Bolzano, Pietà dei Turchini, Magie barocche, Oude Muziek, Lisbona, Cantar di pietre, Mantova, Trento Musica antica, Grado, Concerti in Sant’Eufemia, Pordenone, Festival internazionale di musica sacra), l’ensemble offre una grande varietà di programmi musicali raffinati ed esclusivi, in quanto inediti, che spaziano dalle cantate sacre di Alessandro Stradella ai salmi concertati di Giovanni Battista Bassani, alla «Messa del Granduca» di Tarquinio Merula, alla «Musique du soir» nella Germania del Nord al tempo di Buxtehude, ai «Contrafacta» di Claudio Monteverdi, agli «Affetti devoti» e alle «Compiete» di Giovanni Legrenzi, ai «Responsoria» di Leonardo Leo, al «Vespro solenne di San Gennaro» di Francesco Durante. Dal 2022 è membro di FEVIS, la prestigiosa Federazione degli Ensembles Vocali e Strumentali specializzati di Parigi.
GIOVANNI ACCIAI
Riconosciuto unanimemente come uno dei massimi interpreti del repertorio vocale rinascimentale e barocco, Giovanni Acciai si è diplomato in Organo, in Composizione e in direzione di coro e si è specializzato in «Paleografia e filologia musicale» presso l’Università degli studi di Pavia. È professore emerito di Paleografia musicale nel Corso di Musicologia presso il Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano.
Nel 1982 è risultato vincitore del concorso per la realizzazione dell’edizione critica della Messa di Gloria di Gioacchino Rossini, indetto dalla Fondazione «Rossini» di Pesaro e pubblicata da Casa Ricordi.
Già direttore della rivista di musica vocale «La Cartellina», fondata da Roberto Goitre e de «L’Offerta musicale», ha al suo attivo numerose revisioni di musiche antiche, saggi musicologici, traduzioni, l’elenco dei quali è possibile consultare sul sito www.giovanniacciai.it .
Direttore della «Corale universitaria di Torino» (dal 1974 al 1983), del «Coro del Teatro comunale» di Bologna (1981-1982) e del «Coro da camera della RAI» di Roma (dal 1989 e fino allo scioglimento del complesso, avvenuta nel 1994), è attualmente direttore artistico e musicale del Collegium vocale et instrumentale «Nova Ars Cantandi», formato da cantanti e strumentisti professionisti, alla guida dei quali svolge una intensa attività concertistica e discografica.
Per i meriti artistici e musicali acquisiti in campo internazionale è stato eletto nel 1991, «membro onorario» dell’American choral directors associations e nel 2020 è stato nominato «socio onorario» Associazione Internazionale Studi di Canto Gregoriano di Roma. Ancora nel 2020, l’Associazione nazionale di liuteria artistica italiana di Cremona gli ha conferito il Premio A.N.L.A.I. 2020 «per una vita dedicata alla musica e all’arte».
È direttore artistico dei Concorsi internazionali di canto corale di Grado di Lucca, di Assisi e di Quartiano (Lodi). È regolarmente invitato a ricoprire l’incarico di presidente e di membro di giuria dei più importanti concorsi nazionali e internazionali di canto e di composizione corale; a tenere relazioni in convegni musicologici, masterclass e stage di perfezionamento in direzione di coro presso Conservatori, Associazioni musicali italiane e straniere.
Per conto della casa discografica Nuova era ha curato la registrazione del «Quarto» e del «Sesto Libro de Madrigali a cinque voci» di Claudio Monteverdi, nell’esecuzione dei «Solisti del madrigale».
Alla guida del Collegium vocale et instrumentale «Nova Ars Cantandi» ha invece realizzato, per l’etichetta Concerto la registrazione dei «Vespri per la festa di Ognissanti» di Giovanni Giacomo Arrigoni; per la Sarx Records, lo «Stabat Mater» di Pasquale Cafaro, i «Responsori della Settimana santa» di Francesco Durante e il «Primo libro dei motetti a quattro voci» di Giovanni Pierluigi Da Palestrina; per la Stradivarius, l’edizione integrale delle «Lamentazioni e Responsori della Settimana santa» di Lodovico Grossi Da Viadana, un CD intitolato «Europa concordia musicae», contente musiche polifoniche dei secoli XV e XVI, commissionato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dalla RAI in occasione del semestre di presidenza italiana dell’Unione europea, il «Primo libro delle messe a quattro voci» (1561) di Giovanni Contino e i «Concerti ecclesiastici a 1, 2, 3 e 8 voci» (1604) di Giacomo Moro; per l’Unda Maris ha registrato il «Missarum cum quinque, sex et octo vocibus, liber primus» (1575) di Pietro Vinci; per la Tactus, il «Vespro a cappella della Beata Vergine, opera ottava» (1678), di Isabella Leonarda e gli «Armonici entusiasmi di Davide», opera nona (1690) di Giovanni Battista Bassani. Quest’ultimo disco ha ricevuto nel 2017, la nomination per gli International Classical Music Awards – ICMA, nella categoria «Early Music»; per la rivista Antiqua-Classic Voice, ha realizzato due CD dedicati, rispettivamente a «La musica dei mercanti. I concerti serali della Germania del Seicento» e «La musica del Giubileo.
Un Vespro seicentesco per la divina Misericordia»; per la Archiv-Deutsche Grammophon, l’«Arpa davidica. Salmi e Messa concertati», opera XVI (1640) di Tarquinio Merula, i «Contrafacta» di Claudio Monteverdi («disco del mese» per le riviste Classic Voice e Amadeus), «Confitebor» e i «Responsoria» di Leonardo Leo («disco del mese» per la rivista di critica discografica Musica e Premio «Franco Abbiati» 2019 dell’Associazione nazionale dei critici musicali); per la Naxos, le «Compiete con le lettanie et antifone della Beata Vergine», a cinque voci, opera VII (1662) e l’«Harmonia di affetti devoti», opera III (1655) di Giovanni Legrenzi, mentre è in preparazione, sempre per la Naxos, un CD dedicato a musiche sacre inedite di Francesco Durante.
Nel dicembre del 2004 è stato nominato membro attivo e rappresentante ufficiale per l’Italia del «Choir Olympic Council», sotto l’egida dell’UNESCO. Nel novembre del 2015 fa parte del Réseau Européen de Musique Ancienne (R.E.M.A.), la rete europea di riferimento per la musica antica e, dal maggio del 2022, essendo direttore della «Nova Ars Cantandi», della Fédération des ensembles vocaux et instrumentaux spécialisés (FEVIS), con sede a Parigi.
Nel 2021, insieme con Ivana Valotti ha fondato, a Milano il festival di musica antica «Europa Concordia Musicae» e nel 2022 il festival internazionale «Musica Mirabilis» di Clusone (Bergamo), dedicato a Giovanni Legrenzi.
Nel luglio 2023, la Fondazione Interkultur di Francoforte lo ha nominato «membro onorario» del World Choir Coumcil.