Al terzo anno consecutivo, Jonas Kaufmann può ormai definirsi un habitué dell’Arena di Verona. Eppure la sua presenza costituisce sempre un evento speciale che genera fibrillazione. «Non sono qui per scrivere ma per sbavare» ha confessato una collega critica, scherzando ma anche centrando un punto che non è marginale come potrebbe sembrare. L’opera, si sa, è un genere in cui la musica e la parte visiva, narrativa, interpretativa, rivestono eguale importanza. A un cantante lirico non basta un’ottima voce, ma deve possedere doti attoriali, espressive, comunicative per poter assurgere a fama planetaria. Nel caso di un tenore, la quasi totalità dei ruoli è da innamorato, affettuoso oppure crudele, fiducioso o geloso, sincero o menzognero, ma comunque innamorato. E al tenore non si chiede solo di fare breccia nel cuore dell’eroina di turno, ma di far palpitare gli animi degli spettatori facendo sì che anch’essi, immedesimandosi nei personaggi, si lascino conquistare, o cadano preda di infatuazione, oppure si sentano dei rubacuori. Nella capacità di generare osmosi tra palco e platea, nell’empatia instaurata tra interprete e spettatore, nel transfer emozionale tra finzione scenica e vita vera, sta la chiave che rende immortale il Teatro in generale e il genere operistico in particolare. Così come sta la chiave del successo per l’interprete.
Jonas Kaufmann possiede tutte queste qualità: alle straordinarie doti canore che ne fanno uno dei tenori più quotati e osannati del nostro tempo, somma la capacità di comunicare emozioni oltre che la presenza scenica affascinante, carismatica, magnetica. Ovviamente al primo posto si colloca la voce, apprezzata talmente tanto che il “re dei tenori” ha ricevuto già al suo ingresso in scena un “bravo”, al quale ha risposto con un simpatico gesto della mano a indicare di aspettare prima di esprimere consensi. Dopo aver ascoltato il concerto possiamo confermare il “bravo”!
Il programma, che andava sotto al titolo Jonas Kaufmann in Opera – Arena 100, ha spaziato dall’opera all’operetta, dalla canzone alla musica da film, per conquistare ogni fascia di pubblico, dividendo il merito con altre due superstar: il soprano Sonya Yoncheva e il baritono Ludovic Tézier. Come nel Gala del 2021 è salito sul podio dell’Orchestra della Fondazione Arena di Verona il direttore tedesco Jochen Rieder, che vanta un’intesa artistica di lunga data con Kaufmann. In assenza di brani esclusivamente strumentali, direttore e formazione orchestrale si sono posti al servizio dei cantanti oltre che, va sottolineato, dei compositori, per confezionare una serata di valore.
Complice il clima a dir poco bollente, Jonas Kaufmann è apparso particolarmente rilassato ma non per questo meno concentrato e attento al dettaglio. Dopo la consueta partenza improntata alla prudenza, forse anche dovuta alla recente malattia dalla quale peraltro si è perfettamente ripreso, il tenore bavarese ha compiuto uno slalom tra stili ed epoche musicali, attingendo alla vastità del suo repertorio e facendo leva sui suoi punti di forza: il timbro caldo e affascinante, il fraseggio ineccepibile, la tecnica declinata in quella maniera personale che è uno dei suoi tratti distintivi e che gli permette di scandagliare il personaggio andando oltre, arrivando a scolpire la frase, la nota, la singola parola, che in questa occasione è risultata particolarmente accentuata. Su tutto, la linea stilistica raffinata ed elegante, le mezze voci, la calibratura dinamica delle salite agli acuti, aggraziati, privi di sfacciataggine e ostentazioni.
Il programma si è aperto all’insegna del sentimento profuso in “Recondita armonia” da Tosca. È seguito, condiviso con i colleghi, uno stralcio da Otello, personaggio che Kaufmann ha affrontato con intensità, ponendone in risalto i lati introspettivi mediante mille sfumature magistralmente tragiche. A conclusione della prima parte, in duetto con il soprano, un ispirato e appassionato Andrea Chénier, ricco di accenti.
Netto cambio di rotta nel secondo tempo, che ha visto due pagine di Lehár in lingua originale nelle quali, prevedibilmente, Kaufmann ha eccelso per interpretazione e fraseggio. Un omaggio a Ernesto De Curtis con il celeberrimo “Non ti scordar di me” e la famosa, vibrante, “Maria” da West side story, opera di quel genio che è stato Leonard Bernstein (scusateci ma non riusciamo a catalogare come musical quello che è un capolavoro operistico moderno, come ci ha insegnato la versione diretta dallo stesso Bernstein con protagonisti José Carreras e Kiri Te Kanawa assieme a Tatyana Toryanos, Kurt Ollmann, Marilyn Horne). Infine due graditi e apprezzati “spot”: le colonne sonore di The mission, scritta da Morricone e di Gladiator di Zimmer che saranno comprese nel suo disco di prossima uscita dal titolo “The sound of movies”.
La voce pastosa, omogenea e ottimamente proiettata di Sonia Yoncheva ha surclassato in brillantezza l’abito che indossava tempestato di strass. La sua Desdemona era palpitante e consapevole, mentre la sua Maddalena pareva magnificamente portare sulle spalle il carico della storia che ne ha marchiato l’esistenza. Ancora, Yoncheva ha delineato tipologie d’amore estremamente diverse: sottilmente seduttiva Carmen e romantica sognatrice Maria, a confermare il posto di rilievo che il soprano bulgaro occupa nel panorama internazionale.
Un discorso a parte merita Ludovic Tézier, che ha fatto sfoggio di classe e signorilità, nel canto e personale. Il baritono francese, in stato di grazia, ha dato prova nulla meno che superlativa ed entusiasmante. Tutte le sue migliori doti sono sgorgate lampanti, dalla voce lussureggiante di sfaccettature, di accenti e colori, alla raffinatezza squisita con la quale ha cesellato ogni brano con l’abilità di un maestro orafo. Nell’incisivo “Credo in un Dio crudel” di Jago è emersa la sua abilità nel dare ai personaggi “cattivi” delle motivazioni intensamente noir e al contempo profondamente umane. Toccante, “Nemico della Patria” cantato da Carlo Gérard in Chénier, giostrato su dinamiche e chiaroscuri da manuale, fino a uno squisito Offenbach, e transitando attraverso un sensibile e innamorato Escamillo, da Carmen, rimanendo imperturbabile alla pessima abitudine del pubblico di sovrastare il canto battendo le mani non sempre a tempo.
A chiusura del Gala, “pretesi” uno a uno a suon di ricorrenti applausi, alcuni bis: il magnifico emozionante “Come un bel dì di maggio” ancora da Chenièr di cui Kaufmann ha dato interpretazione superlativa; “O mio babbino caro” da Gianni Schicchi eseguito da Yoncheva con dolcezza morbidezza e freschezza; Mattinata di Leoncavallo, resa radiosa dal tenore. Poi la chicca della scarsamente eseguita “Voilà donc la terrible citè” da Thaïs di Massenet che Tézier ha trasformato nell’ennesimo prezioso gioiello, e ancora Kaufmann nell’immancabile “Nessun dorma” da Turandot, che già aveva proposto nel 2021. Ancor più immancabile (ma perché? Uffa, che noia!) il brindisi da Traviata, per il quale Tézier, correttamente oltre che con classe personale, ha lasciato ai colleghi la luce dei riflettori.
Una serata tra le più attese dell’estate areniana, con l’anfiteatro quasi esaurito e il pubblico in visibilio a tributare ai protagonisti una standing ovation.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 20 agosto 2023
Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona