Festival Verdi al Teatro Regio di Parma. Sul podio Oksana Lyniv. Solisti: Federica Lombardi, Daniela Barcellona, Michele Pertusi, Freddie De Tommaso.
Giuseppe Verdi iniziò a comporla nell’inverno del 1872 e la terminò il marzo successivo. Fu eseguita la prima volta nella chiesa di San Marco a Milano, a un anno esatto dalla morte di Alessandro Manzoni cui fu dedicata, con lo stesso Verdi sul podio a dirigere Orchestra e Coro del Teatro alla Scala. La Messa da Requiem costituisce, ogni anno, uno degli appuntamenti focali del Festival Verdi al Teatro Regio di Parma.
Verdi, da anticlericale quale era, o per lo meno da irriducibile scettico, si rapportò al sacro con spirito razionale eppure scosso da umani terreni turbamenti. Nella “Messa da morto”, come la chiamò quando propose il lavoro a Ricordi, così come in molte pagine della sua produzione operistica, si ritrova in lui la necessità impellente di misurarsi con la trascendenza e con gli interrogativi che essa pone all’Uomo, a iniziare dalla sua provvisorietà, dalla sua caducità. Un Verdi quindi in cui da una parte il sacro lambisce il genere operistico, dall’altra la sacralità si costella di dubbi e domande, sfociati in pagine dense e oscure che si squarciano per lasciar entrare aliti di speranza, oppure in cui le orazioni si fanno sommesse, o altre ancora dove balugina un anelito di luce. E dove, musicalmente parlando, la magniloquenza della manifestazione esteriore deve rapportarsi con il flebile mormorio interiore. Una spiccata sensibilità interpretativa, dunque, è basilare nell’esecuzione di questo capolavoro.
A Parma, Oksana Lyniv è salita sul podio dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, dove è direttrice musicale da oltre un anno. Ha pertanto maturato una significativa intesa con la formazione orchestrale, alla quale ha richiesto una precisione esecutiva assoluta, con attenzione e risalto alle diverse sezioni strumentali. La direttrice ucraina ha dedicato uno spazio circoscritto all’abbandono mistico, alle pulsioni dell’essere umano che si trova dinanzi al mistero, più grande di lui, della morte. Invece, con pensiero egualmente valevole e apprezzato dal pubblico, ha privilegiato una visione pragmatica, lucida e disincantata, pienamente consapevole, di una chiarezza a tratti sconvolgente pertanto capace di indurre negli ascoltatori, come dovuto, inquietudine e sgomento. Il gesto era autorevole così come è risultata costruita con meticolosità la frase musicale. Le dinamiche hanno assunto scansione materica, i pieni orchestrali sono risuonati corposi e drammatici, mentre i ‘piano’ si sono elevati soffusi, in uno sfoggio di padronanza tecnica.
Ottimo il comparto vocale, iniziando dalla formazione corale nata dall’unione di due compagini d’eccellenza: il Coro del Teatro Regio di Parma, preparato da Martino Faggiani, e il Coro del Teatro Comunale di Bologna, istruito da Gea Garatti Ansini, da elogiare per la compattezza raggiunta dall’assieme.
Ai Cori, come ai quattro solisti, è ascrivibile il maggiore slancio emozionale, volto a dare corpo alle note e significato alle parole.
Tra le voci soliste, la palma d’oro dell’eleganza e della nobiltà del canto va al basso Michele Pertusi, che, con fluidità di emissione e una morbidezza davvero ragguardevole, ha dimostrato la sua impareggiabile sensibilità nel fraseggiare e nello scegliere, dalla vasta tavolozza che gli conosciamo, l’appropriata gamma coloristica. Dalle sue labbra è uscito il lamento, disperato oppure sussurrato, dell’uomo che, smarrito, si trova a porre in relazione la finitezza terrena con l’ignoto infinito.
Sulla stessa linea d’onda, le due voci femminili, perfettamente assortite. Emozione allo stato puro, lo splendido intervento del giovane soprano Federica Lombardi, dalla spiccata musicalità, dall’intenso lirismo nella voce ben timbrata, che nel Requiem si è fatta pastosa nella zona centrale e penetrante nei registri acuti, incarnando l’elevatezza del rapporto col divino, non ultimo soddisfacendo quell’urgenza che la riflessione mistica comporta.
Mentre il mezzosoprano Daniela Barcellona ha magnificamente dato corpo agli spunti insiti nella partitura, fatti propri con sfoggio stilistico, con il suo timbro perfetto, con tecnica eccelsa che le ha consentito discese vertiginose nei registri bassi intimistici e ripide salite agli acuti proiettati con slancio verso l’alto, verso l’elevazione spirituale. Il tutto, con il gusto e la sensibilità che sono caratteristiche sue proprie.
Circa il tenore Freddie De Tommaso, oltre a un approccio a questo titolo eccessivamente baldanzoso, confermiamo la nostra opinione espressa in altri contesti: la voce è più che a posto, il timbro è bello, la tecnica è accurata, lo squillo è potente e sgorga naturale. Tuttavia il tenore italo-britannico pare essere appagato dalle doti vocali in senso stretto e fatica a far arrivare al pubblico anima e cuore.
Ovazioni finali entusiastiche, tanto che un loggionista, preso da incontenibile slancio (subito redarguito dai presenti) ha precocemente interrotto con un apprezzamento quel meraviglioso attimo di sospensione finale, quell’ultimo permanere verdiano nell’aria. Piccola cosa, non fosse che a Parma, Verdi lo si respira.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Regio di Parma – Festival Verdi, il 23 settembre 2023
Foto © Roberto Ricci