Mantova, Palazzo Te: conferenza di Elena Biggi Parodi sull’innovazione musicale d’inizio ‘600, tra gli eventi collaterali della mostra su Rubens.

Si può affermare che il 2023 sia l’anno di Rubens. Celebrano infatti il genio del pittore fiammingo, esponente del barocco europeo, due mostre prestigiose collegate fra loro e aperte fino a febbraio 2024. A Roma, alla Galleria Borghese, ha da pochi giorni inaugurato “Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma”, mentre è già avviata e ha già registrato un numero record di ingressi la mostra a Mantova “Rubens a Palazzo Te. Pittura trasformazione libertà” (mostre Mantova e Roma vedi notizia DeArtes qui e anteprima qui, altra mostra collaterale vedi qui). Palazzo Te, per l’intera durata dell’esposizione, riserva un’attenzione particolare non solo a Rubens ma anche al fermento artistico e culturale del tempo, organizzando un numero significativo di eventi collaterali.

Rubens visse tra Cinque e Seicento e fu coevo al musicista Claudio Monteverdi, cremonese d’origine e che a Mantova, dove fu assunto alla Corte dei Gonzaga, gettò le basi per una innovazione musicale che influenzò i secoli a venire, parallelamente a quanto accadde nel campo delle arti visive.

Nella Sala lettura di Palazzo Te, Elena Biggi Parodi, professoressa di Storia e Storiografia della Musica al Conservatorio “Boito” Parma, ha presentato un excursus corredato da ascolti audiovisivi per inquadrare approfonditamente e con un linguaggio accessibile a tutti «le corrispondenze fra la pittura di Rubens a Mantova (ma anche dell’ultimo Tiziano), con il nuovo idioma fortissimo del basso continuo».

Il suo intervento dal titolo “Languore e sensualità della musica in Italia ai tempi di Rubens: la nascita dell’armonia tonale, principio cardine della musica europea” si è aperto spiegando che «Il periodo che Rubens trascorre in Italia dal 1600 al 1608 coincide con le creazioni musicali di Claudio Monteverdi in cui il musicista di Cremona, anch’egli a Mantova al servizio di Vincenzo Gonzaga, si avvale del basso continuo, il cardine e la base della scienza degli accordi, ossia della combinazione simultanea di tre o più suoni, di come questi si succedano determinando una forte sensazione di movimento direzione. È la risorsa più espressiva della musica occidentale, che da allora si diffuse in tutta Europa e ancora oggi rimane il linguaggio utilizzato dalla musica Pop». 

«La riscoperta del mondo classico e della sua considerazione nei confronti della musica – ha proseguito Elena Biggi Parodi – aveva fatto nascere la determinazione di risuscitare la tragedia classica, che gli umanisti pensavano fosse tutta realizzata con musica. Oggi sappiamo che non era vero, ma il nuovo genere dell’opera italiana, interamente in musica, era stato coniato. Non sappiamo se Rubens abbia incontrato di persona Claudio Monteverdi, ma entrambi erano presenti a Firenze alle nozze per procura di Maria de’ Medici con Enrico IV di Francia, per le quali fu inventata a tavolino la prima opera della storia, una composizione teatrale dove tutto avviene cantando, si amoreggia, ci si muove, si muore cantando. Dal titolo “Euridice”, andò in scena a Firenze il 6 ottobre del 1600 a Palazzo Pitti, con il testo di Ottavio Rinuccini e con la musica di Jacopo Peri e Giulio Caccini. Tuttavia nell’Euridice dei fiorentini la musica è un accessorio; che questa ci sia o no, il dramma è prodotto dal testo, non è lei che condiziona la situazione drammatica.

La nascita della prima vera opera in musica è legata alla Mantova di Vincenzo Gonzaga con la rappresentazione della Favola di Orfeo di Alessandro Striggio e Claudio Monteverdi, composizione di teatro musicale rappresentata in una sala del Palazzo Ducale il 24 febbraio 1607, non la prima opera in musica dunque, ma la vera prima opera in musica».

«Con Monteverdi – ha puntualizzato Elena Biggi Parodi – è la musica che comunica la situazione drammatica e lo fa con le sue risorse, con una struttura per cui noi ci accorgiamo che Orfeo sia felice non da ciò che dice ma dalla musica, da come è organizzata, dalla semplicità per esempio con cui nell’atto secondo si ritrova il ritmo regolare della danza mentre ascoltiamo ogni melodia ripetuta due volte. La felicità di Orfeo viene comunicata da un ascolto prevedibile e rassicurante, una organizzazione che rivoluziona il rapporto fra testo e musica: Monteverdi pensa da musicista, pensa all’effetto che comunica la musica».

«Qui a Mantova – ha concluso Elena Biggi Parodi – Monteverdi ha imparato a rendere irresistibile il passaggio da una combinazione simultanea di suoni a quella successiva: basta una notina a distanza ravvicinata nell’accordo precedente, e non si trova pace finché non giungiamo a quello nuovo. Un linguaggio musicale che si inventa la sequenza di aria e recitativo, si muove cangiante, innesca negli ariosi il desiderio dell’isola melodica dell’aria, mentre il cuore degli ascoltatori è rapito grazie al potere della scienza dell’armonia tonale».  

Report di Maria Fleurent
Visto a Mantova, Palazzo Te, il 9 novembre 2023