Nuova collezione di tazzine artistiche commissionate dal curatore della Biennale a 4 artisti emergenti dell’America Latina.
Un marchio iconico di caffè che emana aroma … d’arte. E anche di inclusione, armonia, equilibrio con la natura. Era il 1992 quando Illy diede vita a una fortunata serie di tazzine d’autore: la Illy Art Collection. Da allora, circa 130 artisti di fama internazionale, maestri e giovani promesse, hanno ideato nel tempo opere dove l’estro si è espresso (è il caso di dirlo!) infondendo colore al bianco della ceramica, come fosse una tela.
L’appuntamento, molto atteso, si è rinnovato in occasione della 60. Biennale di Venezia, facendo proprio e declinando il claim 2024: Foreigners everywhere. Stranieri ovunque. «L’espressione Stranieri Ovunque – spiegava in altra sede il curatore di Biennale Adriano Pedrosa – ha più di un significato. Innanzitutto, vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri». Proprio a Pedrosa, quest’anno, è spettato il compito di scegliere, tra gli artisti presenti all’Esposizione internazionale di Venezia, quelli cui affidare la nuova Art Collection. Del resto, da oltre un decennio Illy Caffè assicura il proprio sostegno alla prestigiosa rassegna.
In un evento d’anteprima della Biennale, tenutosi alle Procuratie Vecchie di Piazza San Marco, sono state presentate le nuove opere d’arte in forma di tazza (in vendita in diversi kit, molto ambiti dai collezionisti), disegnate da quattro artisti emergenti dell’America Latina. I quali sono stati chiamati a indirizzare la propria creatività facendone un ponte tra diverse culture: un’occasione privilegiata di dialogo, di apertura, di rispetto verso i popoli della terra ma anche di cura verso il pianeta che ci ospita.
Linguaggi artistici e inclusione, valorizzazione delle differenti radici culturali, rispetto per il pianeta, sostenibilità, sono i valori che Illy Caffè appoggia attraverso l’intera filiera produttiva. Ma anche, nel corso degli anni, coinvolgendo artisti di fama, promuovendo i giovani talenti, istituendo premi, collaborando con molte importanti mostre d’arte.
Alla presentazione, tra un parterre di ospiti illustri, sono intervenuti il curatore e il presidente della Biennale, rispettivamente Adriano Pedrosa e Pietrangelo Buttafuoco, l’ad di illycaffè Cristina Scocchia e il Presidente Andrea Illy. Erano ovviamente presenti anche gli artisti, che hanno potuto vedere le proprie opere allestite in un percorso espositivo che ha amplificato sia i messaggi che le suggestioni visive.
GLI ARTISTI E LE TAZZINE D’ARTE
A declinare il tema, aggiungendo spunti alla riflessione Stranieri ovunque, l’artista Maya guatemalteca Paula Nicho, con una tazzina intitolata “mia seconda pelle”: un omaggio alle donne raffigurate nei costumi tradizionali, intesi come una sorta di tatuaggio ma che spesso sono causa di discriminazione, e che l’artista utilizza per sollecitare il mondo femminile all’autodeterminazione.
A “gli esseri invisibili” dell’Amazzonia, creature ancestrali che popolavano questo lembo di terra, si è ispirato l’artista visivo peruviano Rember Yahuarcani López, anche scrittore e attivista, appartenente al clan Áimenɨ della Nazione Uitoto dell’Amazzonia settentrionale. Gli dèi indigeni insegnavano agli uomini ad azzerare le differenze con la natura, a relazionarsi e vivere in armonia con l’ambiente: miti che si tramandano ancor oggi.
Celebra la natura, le piante e gli esseri viventi il colombiano, figlio d’arte, Aycoobo (Wilson Rodríguez) con “il sogno dello sciamano”,le cui doti di guaritore si pongono come salvifiche per l’umanità. Lo sciamano infatti mette in atto una connessione spirituale con le piante e gli animali, che percepisce come guardiani celesti del territorio, dicendoci che ogni essere vivente ha un proprio ruolo da svolgere per l’economia del pianeta.
L’origine della differenziazione dei popoli è narrata da Mahku, collettivo brasiliano formato da artisti d’etnia Huni Kuin, attraverso la leggenda del “kapewë pukeni”, il ponte-alligatore tra Asia e America che, grazie ai rettili, avrebbe dovuto unire i due continenti ma che per ingordigia umana non si è realizzato, determinando la separazione tra le genti. Attraverso l’arte, il gruppo perpetua visivamente i canti huni meka che raccontano delle origini del mondo e della interconnessione tra uomini, animali, piante ed esseri spirituali.
Maria Luisa Abate
aprile 2024