Il Museo della Musica dedica una mostra al leggendario fondatore della prima fabbrica di chitarre elettriche in Italia, amate dalle star internazionali.
Il Museo internazionale e biblioteca della musica del Settore Musei Civici Bologna dedica una mostra alla figura leggendaria di Antonio “Wandrè” Pioli (Cavriago, 1926 – 2004), fondatore negli anni Cinquanta della prima fabbrica di chitarre elettriche in Italia e inventore di alcuni dei modelli più innovativi e sperimentali nella storia mondiale di questo strumento, vere e proprie opere d’arte pop intrise di futurismo, surrealismo, metafisica e astrattismo, ancora oggi tra le più ricercate dai collezionisti di ogni paese.
L’esposizione “Wandrè La chitarra del futuro”, visibile nella Sala Mostre del museo dall’11 maggio all’8 settembre 2024 con ingresso gratuito, è a cura di Marco Ballestri con la collaborazione di Oderso Rubini e del collettivo I Partigiani di Wandrè (Paolo Battaglia, Gianfranco Borghi, Luca e Loris Buffagni, Riccardo Cogliati, Mirco Ghirardini, Giorgio Menozzi, Johnny Sacco, Adelmo Sassi) che tiene viva la memoria della sua straordinaria avventura artistica e umana.
IL 20° ANIVERSARIO DEL MUSEO
La mostra si inserisce nelle iniziative organizzate per celebrare, con il claim 20ofmusic, il ventesimo anniversario del Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna.
L’11 maggio 2004, infatti, Palazzo Sanguinetti in Strada Maggiore 34 a Bologna ha aperto le sue porte alla città per mostrare al pubblico le straordinarie collezioni musicali del Comune di Bologna, fino ad allora conservate nei depositi e conosciute solo da esperti e professionisti del settore.
Fin dalla sua nascita, il Museo della Musica si è proposto come luogo di conservazione e promozione del patrimonio musicale, ma anche come uno spazio dinamico, di scambio e di scoperta, aperto a tutti gli appassionati della musica in tutte le sue forme.
Se nel 2004 la campagna inaugurale è culminata nella mostra Fender Stratocaster: 50 anni di un mito,celebrativa del mezzo secolo di vita del modello di chitarra elettrica più famoso al mondo, per festeggiare il ventesimo anno di attività il museo ha scelto di proporre un’altra iniziativa espositiva dedicata alla produzione di Wandrè, oggetto di culto e venerazione per gli appassionati di strumenti musicali vintage.
IL MARCHIO WANDRÈ
Wandrè è un marchio italiano noto per la sua eccentricità e sperimentalità, all’avanguardia negli anni ’60, grazie al genio di Antonio Vandrè Pioli, conosciuto come Wandrè: artista, imprenditore, partigiano, artigiano e soprattutto uno dei liutai più innovativi del secolo scorso. Le chitarre Wandrè, definite “sculture sonore”, viaggiano per il mondo come creature uniche, distanti dai modelli convenzionali dell’epoca, portando con sé una visione unica.
LA MOSTRA
La mostra presenta oltre 50 pezzi tra chitarre, bassi e contrabbassi, ognuna con la sua storia e con la sua personalità unica: pezzi iconici e irripetibili per forma, colore, tecnica e materiali utilizzati. Il percorso, contestualizzato con altre opere dell’artista realizzate dal 1970 alla fine degli anni ’90, esprime molto bene il carattere di Wandrè: pop e al contempo psichedelico, dieci anni prima della psichedelia.
ANTONIO PIOLI, IN ARTE WANDRÈ
Nasce a Cavriago, paese in provincia di Reggio Emilia, il 6 giugno 1926. Arruolatosi a 17 anni nelle formazioni partigiane sull’Appennino reggiano, al termine della guerra si diploma alla Scuola Convitto di Rivaltella, e nella primavera 1957, dopo avere diretto cantieri edili in tutta Italia per conto del Consorzio Cooperative di Reggio Emilia (ed essere stato cacciato per l’incapacità di tollerare compromessi e l’abitudine a schierarsi sempre dalla parte degli operai…) intraprende la professione di liutaio raccogliendo il testimone dal padre Roberto, che costruisce in particolare violini.
È il primo in Italia a costruire chitarre e bassi elettrici e ha un progetto ben preciso: trasformare la chitarra da attrezzo di lavoro per il musicista in una vera e propria protesi dell’artista per il transfert delle emozioni. Si tratta quindi di un design che intende introdurre arte nell’arte: i suoi strumenti devono essere in grado di trasmettere di per sé energia ed emozioni in virtù delle loro forme, dei loro colori (che mai si erano visti prima su uno strumento), dei nuovi materiali introdotti (come la plastica e l’alluminio) e dei tanti simbolismi che Wandrè nasconde in quelle linee apparentemente assurde, ma che a ben vedere così bizzarre non sono affatto.
La produzione si realizza nell’avveniristica fabbrica dalla pianta rotonda e open space, realizzata con una tecnica costruttiva – la struttura tenso-elastica con cemento precompresso – che a quei tempi era quasi solo teorica e mai utilizzata per la copertura di un edificio ad uso industriale. La soluzione architettonica, con una vetrata circonferenziale e un’apertura centrale sul tetto concavo, consentiva agli operai di vedere costantemente il cielo, così che ricordassero di essere persone libere. Wandrè infatti riteneva che il lavoro, anche quando piace, non è mai una condizione naturale per l’uomo, ma sempre una fonte di coercizione.
La direzione si basava su una leadership convocativa, che prevedeva il coinvolgimento degli operai nell’organizzazione e pianificazione del lavoro, nonché nella realizzazione delle campagne pubblicitarie. La produzione era finalizzata per obiettivi, consentendo così flessibilità e autogestione degli orari e vi era, in certa misura, la condivisione del capitale. Pertanto, gli operai avevano le chiavi della fabbrica e potevano accedere e utilizzare le attrezzature per lavori propri, al di fuori dell’orario di servizio. Vi era una costante frequentazione di artisti, come il pittore Lelio Lorenzani che arrivava e si esprimeva estemporaneamente su qualche strumento, e musicisti che interagivano con gli operai e improvvisavano jam-session.
Quando Wandrè iniziò a costruire chitarre elettriche era fermamente intenzionato a esportare il nome di Cavriago in tutto il mondo. E ci riuscì egregiamente, tanto che già nei primi anni ’60 spediva strumenti in Francia, Germania, Olanda, Belgio, Inghilterra, Sudafrica, Sud America e Nuova Zelanda.
Molto più complesso fu invece il suo rapporto con gli USA, un rapporto reciproco di amore e odio. Uomo di sinistra, classe 1926 ed ex partigiano, egli guardava agli Stati Uniti con diffidenza ambivalente: ne condannava l’economia capitalista, ma ne apprezzava al contempo lo spirito libertario. Come l’amico musicista Pietro Bertani, amava il jazz e i fermenti musicali che arrivavano da oltreoceano, ma non nutriva nessuna simpatia per la liuteria americana, che giudicava presuntuosa e colonialista.
Dal canto loro gli importatori americani esercitavano un vero protezionismo cercando di esportare in Italia i loro marchi e di acquistare dall’Italia solo strumenti economici per principianti. Purtroppo le chitarre di Wandrè economiche non le erano affatto e ancora nel 1967 in USA se ne erano viste davvero poche.
È lo stesso Bob Dylan a confermarlo nel film documentario Don’t look back, realizzato in presa diretta da D.A. Pennebaker durante la tourneè inglese del giovane cantautore nel 1965, quando, davanti a una vetrina londinese piena di chitarre Wandrè, esclama: «We don’t have those guitars in the States! Man, they are incredible».
A differenza dei commercianti, invece, i chitarristi e i collezionisti americani hanno sempre nutrito un grande interesse per le chitarre made in Cavriago, avendone per primi riconosciuto il valore intrinseco di vere e proprie opere d’arte pop, e amano tutt’ora suonarle in pubblico ogni qualvolta ne abbiano la possibilità.
I MUSICISTI E LE “SCULTURE PER MUSICA”
Negli ultimi 40 anni le sculture fruibili per musica di Wandrè hanno affascinato molti chitarristi statunitensi, tra cui Frank Zappa, che nel 1986 aggiudicò a due Wandrè (Scarabeo e Oval) il primo e il secondo posto al concorso “Miss off the wall” (concorso promosso dalla rivista americana Guitar Player, deputato a eleggere la chitarra più eccentrica rinvenuta durante l’anno).
Ace Frehley, chitarrista newyorkese dei Kiss, utilizzò una Bikini durante il tour del 1981. Buddy Miller, chitarrista di New Orleans (Emmylou Harris, Band of Joy et al.) suona abitualmente un paio di Soloist e Peter Holmström ha suonato con diverse Wandrè (B.B., Teenagers, Polyphon) nei concerti italiani dei Dandy Warhols. Anche il chitarrista e attore americano Johnny Depp è un fan delle Wandrè, tanto che ha voluto omaggiare l’amico Joe Perry (chitarrista degli Aerosmith) con una Brigitte Bardot di colore blu nassau, a detta di quest’ultimo, “la chitarra perfetta per il blues”.
Adozione particolarmente intrigante delle Wandrè è quella di Sean Taro Ono Lennon e Charlotte Kemp Muhl. I due hanno fondato nel 2008 i GOASTT (Ghost Of a Saber Tooth Tiger), gruppo neo-psichedelico che promuove una musica ricca di atmosfere magiche e suggestioni oniriche, estremamente colta a dispetto dell’apparente semplicità. Inevitabile che fra questi artisti e le chitarre di Wandrè scaturisse un’attrazione fatale. Fra le Wandrè possedute da Sean una Scarabeo, progettata nel 1965 dopo il tour italiano dei Beatles, la cui paletta è stata modellata sul profilo del volto di suo padre John.
Dopo avere realizzato la prima chitarra elettrica di Adriano Celentano, l’unica usata da Francesco Guccini e quelle più care ai Nomadi, anche in Italia non mancano ovviamente illustri estimatori, fra cui i chitarristi Federico Poggipollini, Massimo Martellotta, Alex Kid Gariazzo, Marco Colombo, Francesco Fry Moneti, Filippo Graziani, Max Bonfrisco e tanti altri.
I MODELLI
L’intera produzione di Wandrè è permeata da un’urgenza poetica e da un profondo lirismo erotico, ma più spesso il carattere delle opere emerge prepotentemente dalle linee, dal contrasto dei colori e dall’incontro di materiali inconsueti per l’arte liutaria.
Nel modello Brigitte Bardot, disegnato nel 1957, dopo l’uscita del film Et Dieu crèa la femme, troviamo un eros raffinato, espresso dall’incredibile gioco delle curve e delle bombature, apprezzabile appieno solo quando si imbraccia lo strumento.
Il profilo della chitarra B.B. verrà poi utilizzato come base per il modello Polyphon, che rappresenta l’opera pop per eccellenza di Wandrè. Mantiene infatti la sinuosità del sogno erotico più popolare in quegli anni, ma è realizzato con formica e alluminio, materiali con cui si costruivano le popolarissime cucine “all’americana”; e si tratta di bassi e chitarre, gli strumenti più popolari in assoluto.
Estremamente ambiguo è anche il modello Rock’n’Roll, sempre del 1957, che alcuni vorrebbero ispirato a un amo da pesca, ma che fa un vero riferimento alla musica più rivoluzionaria e irriverente che si fosse mai ascoltata. Per questo non stupiscono l’immoralità del perimetro, come l’avrebbe potuta definire Pinot Gallizio, l’assurda asimmetria delle bombature e la foggia dei fori armonici, che lasciano lo spettatore indeciso fra i girini e gli spermatozoi. E tutto questo è decisamente Rock’n’Roll.
Nelle opere di Wandrè molti sono i riferimenti alla conquista dello spazio, che viene affrontata nei contrabbassi Naika e Marte e nei modelli Spazial, Selene e Rock Oval. Nelle Selene, ispirata nel 1958 da una visione lunare durante una notte di insonnia, è costante la finitura al fumo di candela, nero, quasi a ricordare che della luna esiste anche un lato oscuro. La Rock Oval, invece, mantiene il profilo del modello Rock’n’Roll, ma ammicca a quelle che si pensava fossero la forma e la sezione dei dischi volanti. Non a caso il modello è stato fonte di ispirazione per altri artisti, fra i quali i francesi Pascal Colrat e Jean Baptiste Mondino.
L’assalto definitivo alle roccaforti della liuteria classica Wandrè lo sferra nel 1960 con il modello Rock. Con questo progetto desacralizza la liuteria classica arrivando a utilizzare il vuoto e l’aria come materiali da costruzione.
Il basso Etrurian, progettato nel 1965 sotto l’influenza della tempesta mediatica scatenata dalle scoperte archeologiche delle lamine di Pyrgi e dell’abitato antico di Spina, pare scaturito, come ha osservato Pablo Echaurren «da una falla del continuum spazio-temporale, metà bucchero nero e metà chitarra marziana».
Nel modello Mini, disegnato fra il 1966 e il 1967, quando la minigonna stava diffondendosi fra mille polemiche anche in Italia ed era iniziata la produzione italiana dell’automobile Mini Cooper, abbiamo chiari aneliti Flower Power, bene espressi dalla forma del corpo e della paletta, nonché dai colori vivaci sui toni del rosso, verde e blu.
L’ultimo modello di Wandrè, lo Psychedelic Sound, presentato nell’aprile 1967, sembra invece un tributo ad Allen Ginsberg. Come il poeta della Beat generation, che portò i capelli lunghi oltre le spalle quando tutti li tagliavano corti e si rasò quando tutti iniziarono a farli crescere, Wandrè pensò che in un momento in cui si rincorreva l’originalità e ognuno si sforzava di realizzare opere bizzarre, la cosa più rivoluzionaria da fare fosse ritornare alle origini. Per il suo ultimo modello recupera quindi tecniche costruttive e tagli propri della liuteria classica. D’altra parte, la sua rivoluzione psichedelica, e forse anche sociale, Wandrè l’aveva già fatta dieci anni prima con le sue incredibili sculture fruibili per musica e la sua utopistica fabbrica rotonda.
LA FINE DELLA FABBRICA DI CHITARRE E L’INIZIO DEL MOVIMENTO FLUXUS
Nel 1968 Wandrè cessa la produzione di strumenti e si dedica al confezionamento di originalissimi capi di abbigliamento, poi nel 1970 entra a fare parte del movimento Fluxus. Vive un momento molto intenso durante il quale convive con la celebre gallerista Rosanna Chiessi e, oltre alla produzione di opere proprie, realizza materialmente molti dei progetti ideati dagli artisti del movimento in transito o trasferitisi a Cavriago.
Terminata la relazione con Rosanna, Wandrè continuò ad esprimere la propria personalità attraverso la realizzazione di performance, installazioni, assemblaggi, opere di mail, junk e trash art, definendosi artista di vita in quanto attore intento a recitare il copione della propria vita sul palcoscenico del quotidiano.
IL CATALOGO DELLA MOSTRA
La mostra Wandrè La chitarra del futuro è accompagnata da un catalogo pubblicato da Comune di Bologna | Settore Musei Civici Bologna, contenente le prefazioni istituzionali di Elena Di Gioia, Eva Degl’Innocenti, Jenny Servino, Mauro Felicori e testi di Marco Ballestri, Francesco Guccini, Lorenzo Frignani. Il volume è disponibile in esclusiva presso il bookshop del Museo della Musica.
CREDITI
Il progetto espositivo è realizzato in collaborazione con Regione Emilia-Romagna – Assessorato alla Cultura e Paesaggio e con la sponsorship tecnica di Assimusica, Cremona. Fa inoltre parte di Bologna Estate 2024, il cartellone di attività promosso da Comune di Bologna e Città metropolitana di Bologna – Territorio Turistico Bologna-Modena.
C.S.m.
Fonte: comunicato stampa del 9 maggio 2024
Testo e immagini dell’allestimento: Ufficio Stampa BolognaMusei
WANDRÈ LA CHITARRA DEL FUTURO
11 maggio – 8 settembre 2024
Ingresso gratuito
Museo internazionale e biblioteca della musica
Strada Maggiore 34 – 40125 Bologna
Tel. +39 051 2757711
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