Di Maria Luisa Abate. Arena di Verona: DUE DIVERSI CAST. Il fiabesco allestimento del Maestro Zeffirelli ha inaugurato il 101° Festival.

La bellezza senza tempo e quell’impareggiabile “senso del teatro” che hanno reso celebre il Maestro Zeffirelli sono tornati a scatenare applausi e il noto “effetto wow” all’Arena di Verona. Dopo la serata evento in anteprima mondovisione dedicata a festeggiare il Canto lirico italiano patrimonio UNESCO (recensione vedi qui, fotonotizia vedi qui), l’anfiteatro ha celebrato il centenario di Giacomo Puccini con Turandot.

E al contempo ha dato un segnale forte di ritorno agli splendori della tradizione e dettato la linea programmatica di buona parte del cartellone (dove non mancano produzioni recenti e altre nuove di zecca), riservando la serata inaugurale del 101° Festival lirico 2024 a un allestimento debuttato nel 2010. Il festival di quell’anno era interamente dedicato a omaggiare il genio di Zeffirelli, che con Turandot aveva sviluppato per gli spazi areniani e portato al massimo fulgore espressivo un progetto nato nel 1980, avvalendosi, tra gli altri collaboratori, del Premio Oscar Emi Wada a firmare i costumi.

Ora, quella che è forse la più spettacolare tra le creazioni che il compianto Maestro ha lasciato in eredità all’Arena, è tornata a conquistare il pubblico con costumi e scenografie (direttore degli allestimenti Michele Olcese) che ci sono sembrati restaurati e rinnovati, nel fedele rispetto dell’originale: ad esempio i dragoni sulle paratie che nel primo atto separano città e palazzo imperiale hanno mostrato particolare vividezza di dettagli e di baluginii argentei. Un allestimento dal fascino ammaliatore evergreen, capace di proiettare in quello che, nel libretto di Adami e Simoni, viene indicato come “il tempo delle favole”.

Di questo allestimento abbiamo scritto innumerevoli volte, del suo animarsi mentre ancora il pubblico sta prendendo posto; del contrasto tra i grigio-blu notturni dove vive e palpita il “popolo di Pechino” e l’oro che attornia l’Imperatore; delle decorazioni dei tetti a pagoda del palazzo immerso in una luce sfolgorante. Abbiamo già scritto in passato di alcune idee geniali, su tutte quella di “sdoppiare” i tre ministri Ping Pong Pang, da cantanti a mimi/ballerini nelle scene dentro la reggia, per aumentare il folclore e il clima fiabesco evidenziato dagli innumerevoli figuranti (tutti vestiti, truccati e acconciati con estrema accuratezza, come hanno potuto notare i binocolo-muniti) e dai movimenti coreografici perfettamente integrati nel contesto, di Maria Grazia Garofoli (coordinatore Gaetano Bouy Petrosino).

Zeffirelli è intramontabile e il pubblico lo adora, lo applaude e si abbandona allo stupore che a ogni edizione si rinnova. Una scelta inaugurale che quindi ha incarnato alla perfezione il claim del festival di quest’anno “100 emozioni più 1: la tua”.

È salito per la prima volta sul podio dell’anfiteatro una giovane e già celebre bacchetta, quella di Michele Spotti (classe 1993).Il quale è da subito riuscito a trovare un’intesa con l’orchestra areniana, che vanta esperienza e duttilità, conducendola attraverso una lettura attenta alle singole sezioni orchestrali (particolare risalto è stato dato alle timbriche strumentali “esotiche”) mantenendo con lucidità la propria idea direttoriale volta al bilanciamento del risultato d’assieme. Spotti ha riservato certosina attenzione ai dettagli pucciniani, giostrando tra le dinamiche alla ricerca di trasparenze e suggestioni, di tensioni emotive stemperate nella dolcezza di abbandoni languidi e senza mai perdere di vista la brillantezza del suono, caratteristica che ha contrassegnato la sua linea stilistica.

Il Principe ignoto era Yusif Eyvazov, del quale, da anni, si sottolinea universalmente la crescita nella tecnica e nell’uso della voce. Crescita che abbiamo notato maggiormente in passato, in quanto oramai il tenore azero, presenza fissa nelle estati veronesi, ha acquisito una consolidata consapevolezza tecnica e interpretativa, tanto che sta sostenendo questo stesso ruolo e in questo stesso periodo alla Scala di Milano. Eyvazov si è presentato in forma ottima ancorché non eccelsa, come ha dimostrato il bis non concesso di “Nessun dorma” nonostante fosse stato richiesto a gran voce (e concesso in passato su questo palcoscenico). Il timbro era a tratti asprigno; la voce talvolta “indietro” ha trovato notevole proiezione negli squilli, mentre la tenuta di fiato ci è parsa ulteriormente aumentata, soprattutto negli acuti sostenuti per un tempo davvero lungo e saldamente: questa, al di là di tutto, resta una delle caratteristiche maggiormente apprezzate nelle voci tenorili. Dal punto di vista interpretativo, il suo Calaf era ben tarato, a cavallo tra la spavalderia del personaggio e il contesto favolistico.

In questa edizione, con scelta inconsueta anche se non inedita, si è affidato il ruolo sopranile del titolo al mezzosoprano di Minsk, Ekaterina Semenchuck. Principessa gelida quanto è bastato, infine innamorata quanto è bastato, ha esternato il lato più sofferto di Turandot, con il canto forte della tecnica solida padroneggiata alla perfezione, e dell’emissione generosa e piena, di grande omogeneità nella linea stilistica pur se avara in smalto.

Liù aveva la classe, la bravura strepitosa, i mezzi sontuosi di Mariangela Sicilia, tra i soprani più acclamati al mondo, a nostro modesto parere la migliore della compagnia. Non solo per la voce luminosa, per il timbro omogeneo in tutti registri, per la dolcezza e la morbidezza dell’emissione prodiga in sfumature, ma anche per l’espressività portata al massimo grado, per la capacità di arrivare dritta al cuore degli ascoltatori, con sensibilità che ha raggiunto accenti di autentica commozione.

Riccardo Fassi possiede vocalità profonda, calda e nobile come dovuto al personaggio di Timur del quale, oltre alla dignità derivante dall’alto lignaggio, ha al contempo posto in risalto l’aspetto umano, il sincero dolore provato per la tragica morte della sua fidata ancella Liù. Ottimamente affiatati i tre ministri, con il fiore all’occhiello Youngjun Park nelle vesti di Ping, e gli altrettanto valenti Riccardo Rados Pang e Matteo Macchioni Pong. L’imperatore Altoum era Carlo Bosi, ruolo nel quale il tenore si identifica alla perfezione per averlo sostenuto innumerevoli volte; infine Hao Tian era un Mandarino.

A completamento, i precisi pur se minuscoli interventi di Eder Vincenzi come Principino di Persia e Grazia Montanari e Mirca Molinari come Ancelle. Di valore ed egregiamente preparato da Elisabetta Zucca il Coro di voci bianche A.d’A.Mus, unitosi al Coro areniano apparso in splendida forma sotto la guida di Roberto Gabbiani e che, ricordiamo, specialmente nel primo atto ma non solo, riveste un impegnativo ruolo protagonistico.

Ci sentiamo infine di elogiare un settore solitamente dimenticato in sede di recensione: EnneviFoto che fornisce i corredi fotografici da molti anni, riuscendo in questa occasione a darci immagini diverse dalle consuete.  
Il titolo replica per sole cinque date fino al 29 giugno.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona l’8 giugno 2024
Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona



CAST ALTERNATIVO
Un cast alternativo, udito in una sera freddina più che fresca, ha letteralmente proiettato in un altro universo: parallelo come qualità eppure profondamente diverso dal punto di vista stilistico rispetto alla serata inaugurale sopradescritta. Innanzitutto per la presenza, nei panni del Principe ignoto Calaf, di Gregory Kunde. Il tenore statunitense si distingue per lo stile elegante, per la profondità della carica espressiva, oltre che per la tenuta della voce nonostante l’età anagrafica stia diventando importante. Il lieve, quasi impercettibile affaticamento infatti era dovuto al tour de force che sta affrontando in Arena (e non solo qui), dove è presenza ricorrente e molto applaudita e dove quest’estate ha infilato una serie di recite in sere consecutive. Ha proiettato la voce nell’anfiteatro senza mai forzare l’emissione, anzi tornendo gli acuti con sopraffina padronanza tecnica e avvalendosi della naturale ricchezza di armonici. I legati sono risultati come sempre da manuale e la cura nel fraseggiare lo ha aiutato a delineare un personaggio nobile ed eroico nei modi quanto sincero nell’infatuazione per Turandot.

Grandemente acclamate le due interpreti femminili. La Principessa Turandot era Olga Maslova, soprano russo per la prima volta in Arena, che si è egregiamente destreggiata nell’impervio ruolo, arrivando saldamente ai registri alti senza forzature. Intonazione curata, ragguardevole tavolozza timbrica e caratterialità il cui gelo, sinonimo del personaggio, si è ammantato di fiabesca impenetrabilità.

Punta di diamante, dalla enorme classe interpretativa, Maria Agresta ha portato Liù a un grado espressivo stellare, calibrando accenti e colori, mezze voci e pianissimi di infinita dolcezza, e momenti ricchi di pathos realmente commoventi.

Confermiamo il giudizio qui sopra espresso, aggiungendo una menzione al timbro, riguardo Riccardo Fassi che, ci auto-citiamo,possiede vocalità profonda, calda e nobile come dovuto al personaggio di Timur del quale, oltre alla dignità derivante dall’alto lignaggio, ha al contempo posto in risalto l’aspetto umano, il sincero dolore provato per la tragica morte della sua fidata ancella Liù. Nelle colorate vesti dei tre Minstri, Ping Pong Pang abbiamo ritrovato, sempre affiatati e puntuali, Youngjun Park, Riccardo Rados e Matteo Macchioni. E di nuovo, Hao Tian era un Mandarino.

Una nota a parte va riservata a Leonardo Cortellazzi, chiamato a una sostituzione all’ultimo minuto nella parte dell’Imperatore Altoum. Il tenore mantovano infatti vanta una importante carriera in ruoli protagonistici (ad esempio lo abbiamo applaudito nella scorsa stagione invernale al Filarmonico di Verona, nel Campiello) e la sua presenza in questo ruolo petit, per il quale oltre all’aspetto ha anche incanutito a bella posta la voce fresca, ha costituito un cameo di lusso.

Sul podio è nuovamente salito il direttore Michele Spotti, del quale abbiamo qui sopra relazionato, così come abbiamo già riferito della regia. Riguardo quest’ultima, corre l’obbligo, a titolo di cronaca, di segnalare un piccolo incidente tecnico occorso durante l’apertura del “sipario”, costituito da pennelli dipinti a dragoni che disvelano il Palazzo Imperiale. Il meccanismo si è inceppato e un pannello è rimasto a oscurare il centro della scena impedendo l’abbassamento della pedana sulla quale dovevano prendere posto i figuranti. L’impiccio ha comportato una interruzione della musica, ma è stato prontamente risolto dai tecnici ai quali il pubblico ha tributato applausi. L’imprevisto può succedere indipendentemente dagli accurati controlli: ricordiamo infatti che l’Arena è il più grande teatro al mondo sotto le stelle e questa condizione comporta che il palcoscenico sia sempre esposto alle intemperie, al sole rovente, alla pioggia o all’umidità oltre che alle incognite meccaniche. Un piccolo pedaggio da pagare raramente per poter assistere al rinnovarsi, ogni sera di spettacolo, alla straordinaria magia che caratterizza questo luogo unico.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 15 giugno 2024
Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona

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