Di Maria Luisa Abate. Arena di Verona: DUE CAST Akhmetshina, Meli, Mkhitaryand e poi Kolosova, Yende, Meli diretti da Leonardo Sini.  

Franco Zeffirelli funziona sempre e il fascino che continua a esercitare sul pubblico è inconfutabile, inalterabile, imperituro. Il compianto Maestro ideò questo allestimento colossal di Carmen nel 1995 e lo lasciò poi in eredità all’Arena di Verona.

Ad aumentarne la spettacolarità, dal 2022 si sono aggiunti elementi scenografici (direttore allestimenti scenici Michele Olcese) che il regista aveva solo immaginato e disegnato. I suoi canoni espressivi sono ben noti: stile descrittivo che esalta rispettosamente le note di Bizet e fedeltà al libretto di Meilhac e Halévy nell’immaginare una Siviglia splendidamente brulicante di vita, sovrabbondante di personaggi (circa 500 su palco) e di animali (cavalli e asinelli), ultraricca di scene e controscene, di colori e di elementi folcloristici, grazie anche ai costumi di Anna Anni.  

A vincere sul passare degli anni è l’impareggiabile senso del teatro che aveva Zeffirelli, la sua capacità di “arrivare” al pubblico in maniera diretta, coinvolgendo ed emozionando con immediatezza empatica. Questo è ciò che ogni spettacolo dovrebbe innanzitutto fare (e che pochi registi sanno fare).

È stata mantenuta l’usanza ormai tradizionale, applauditissima dal pubblico, di commutare l’ultimo intervallo in un cambio scena, per dare spazio a un inserto ballato eseguito davanti al sipario mobile: una “sfida” andalusa tra due gruppi di tangueros della Compañia Antonio Gades diretta da Stella Arauzo. A loro, durante l’opera, si è aggiunto il Corpo di ballo areniano coordinato da Gaetano Bouy Petrosino, a far rivivere le coreografie originali di El Camborio.

Per la prima volta è salito sul podio dell’Orchestra areniana Leonardo Sini. Una delle peculiarità per cui il giovane maestro si è già ritagliato una meritata notorietà in importanti contesti è lo spiccato gusto teatrale con cui affronta le partiture: caratteristica calzata come un guanto sulla regia zeffirelliana. Sini ha tenuto sotto controllo sia le sezioni orchestrali sia il palco indirizzando entrambi verso un discorso d’assieme che fosse il più possibile unitario, senza scollature nell’impegnativo primo atto. Anche se gli spazi areniani necessitano di una certa dimestichezza per essere sfruttati appieno, Sini ha messo in campo un gioco dinamico attentamente studiato, ha impresso tempi generalmente vivaci, tra palpitanti passioni e parentesi riservate al lirismo, con un uso delle tavolozze timbriche e coloristiche di efficace vividezza.

Per la data inaugurale e nella seconda recita, protagonista è stata Aigul Akhmetshina, giovane mezzosoprano nata negli Urali, dalla voce splendidamente matura a dispetto dei suoi 27 anni. Di lei in Arena avevamo avuto un primo “assaggio” nella data di anteprima alla stagione, celebrativa del canto lirico patrimonio Unesco e trasmessa in mondovisione (vedi qui). In Arena quindi per la prima volta ma già ampiamente padrona del ruolo di Carmen che ha portato con successo sui più importanti palcoscenici al mondo: uno su tutti il Met. Le arie della bella sivigliana costituiscono anche il fulcro del suo nuovo disco uscito in questo stesso mese di luglio (vedi qui).

A nostro giudizio, Akhmetshina è stata una delle Carmen migliori che abbiamo udito nell’anfiteatro veronese, e in assoluto. Un ruolo padroneggiato sia dal punto di vista tecnico che espressivo, vissuto con straordinaria immedesimazione e con un tangibile coinvolgimento del pubblico. La sua Carmen è libertà allo stato puro, è corpo e anima, è impulso e pensiero. Irrequieta, istintiva come un animale che è sia preda che predatrice; sinceramente innamorata nonostante le sue passioni abbiano durata breve; emancipata, tratta gli uomini realmente alla pari; incarna la speranza, nella sua intenzione di ritagliarsi il posto nel mondo da lei voluto. Non è un ossimoro ma un destino: pagherà con la vita la sua voglia di vivere. Non da meno rispetto all’interpretazione, è stata la voce del soprano, sinuosa e ammaliatrice, che dall’Habanera alla travolgente Seguidilla, interpretate oltretutto senza risparmiarsi in movenze sceniche, ha infiammato i cuori degli ascoltatori: l’interprete come il personaggio. Smagliante potenza di fiato, estensione, ricchezza di armonici, un fraseggio calibrato sulla specifica parola e sulla singola nota, un timbro cangiante ora zuccherino ora aspro, ora ammiccante ora sprezzante. La vocalità si è ammantata di drammaticità e Akhmetshina si è mossa agilmente tra accenti e colori, tra densità splendidamente scure venate da peculiari bagliori che ne hanno risaltato la personalità artistica.

Ammaliato della seducente zingara, Don José aveva la classe, l’eleganza, la maestria di Francesco Meli, un habitué areniano molto atteso e acclamato. Partendo da un lavoro di cesello fin nei più piccoli dettagli, il tenore ha fatto sfoggio della sua famosa dotazione di mezze voci, di smorzature, di pianissimo, aventi la capacità di “correre” per l’anfiteatro come pure gli acuti luminosi, tanto aggraziati nelle intenzioni quanto solidi e proiettati nell’emissione. Caratteristiche che, unite al fraseggio espressivo, hanno magistralmente delineato i contrasti d’animo del sergente che per amore si unisce ai contrabbandieri. 

Escamillo era il basso-baritono uruguaiano Erwin Schrott del quale confermiamo il giudizio positivo espresso lo scorso anno per i mezzi vocali di assoluto rispetto utilizzati con sapienza. Sulla magniloquenza propria del toreador, il basso-baritono uruguaiano ha innestato sia tratti in un certo senso blasonati, status derivante dall’abitudine a essere idolatrato dalle folle, sia, parallelamente, il desiderio di possesso provato nei confronti di Carmen.

La parte della fidanzata di Don Josè, Micaela, era affidata a Kristina Mkhitaryan, anch’ella al debutto areniano. Un personaggio perdente da copione, caratterialmente agli antipodi rispetto alla rivale, che il soprano russo ha ammantato di dolcezza, di sofferta remissività, di purezza di cuore. Il timbro è gradevole, grande la gamma di armonici, l’emissione resa morbida dai legati tecnicamente curati.

Hanno completato onorevolmente il cast una serie di voci notevoli: Jan Antem e Vincent Ordonneau, i contrabbandieri Dancairo e RemendadoDaniela Cappiello e Alessia Nadin, Frasquita e Mercedes; infine Gabriele Sagona e Fabio Previati, Zuniga e Morales. Tanto attivo scenicamente quanto preciso vocalmente il Coro areniano istruito da Roberto Gabbiani. Ha sempre raggiunto risultati lusinghieri ma questa volta ha superato se stesso, il Coro di Voci bianche A.LI.Ve. che Paolo Facincani ha portato a un livello di intonazione e precisione e a una corposità di suono davvero ragguardevoli.

Carmen replica, alternando diversi interpreti, fino al 7 settembre 2024.

La prima recita stagionale di questo titolo è stata preceduta da un omaggio ai 250 anni dalla fondazione della Guardia di Finanza. Mentre ancora la gente stava prendendo posto, ha fatto il suo ingresso sul palco la Banda della Guardia di Finanza, 60 musicisti diretti dal Colonnello Leonardo Laserra Ingrosso. La formazione ha esordito con un omaggio a Puccini, compositore che, è stato ricordato, era un appuntato ad honorem del Corpo. Si è poi passati a un excursus nelle musiche dei film di Fellini e a un tributo a Nino Rota. Infine, presentati dal Sovrintendente e Direttore Artistico Cecilia Gasdia, sono sfilati sul palco e hanno suonato il caratteristico gong che scandisce l’avvicinarsi dell’inizio della rappresentazione, gli atleti azzurri olimpici e paralimpici, e le medaglie mondiali che hanno portato lustro alle Fiamme Gialle in ambito sportivo: Giacomo Bertagnolli, Simone Deromedis, Alex Vinatzer e Nicol Delago, assieme ai campioni Antonio Rossi e Roberto Di Donna.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 5 luglio 2024
Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona
(foto Banda Guardia di Finanza MiLùMediA for DeArtes)



CAST ALTERNATIVO

Carmen è l’incarnazione della donna indipendente, impossibile da imbrigliare e che preferisce la morte alla perdita della libertà. Uno spirito autenticamente zingaro è sprizzato, focoso, da Alisa Kolosova, mezzosoprano russo esordiente in Arena, chiamata a sostituire l’indisposta Clémentine Margaine. Un cambio interessante perché le doti di Margaine già ci sono note visto che da diversi anni riveste questo ruolo all’Arena di Verona. Invece è stata per noi una bella scoperta Alisa Kolosova (che già avevamo applaudita in altri ruoli e in altri teatri). Una fisicità prorompente in un’opera in cui anche la seduzione e la sensualità risultano determinanti: l’appeal della bella gitana viene infatti messo in musica da Bizet in innumerevoli declinazioni. Di pari passo, l’interprete è passata da un canto sottilmente ammaliatore a toni marcatamente sfacciati, dalla passionalità carnale del primo atto al freddo distacco del terzo, quasi cinico nel quarto. E ancora, da una passione esplosa all’improvviso all’altrettanto repentino disamoramento. Una prova dunque convincente e ottimamente riuscita, forte della voce corposa, levigata e rotonda, di grande potenza, ben sostenuta in ogni registro e tecnicamente proiettata.  

Per due sole recite, a vestire gli abiti azzurri di Micaela è arrivata la stella del Belcanto Pretty Yende, salita agli onori delle cronache per aver cantato alle nozze di Re Carlo d’Inghilterra: il 6 maggio 2023 si esibì come solista nella nuova composizione Sacred Fire alla cerimonia di incoronazione a Westminster, primo soprano africano di sempre ad aver ricevuto l’invito. Un evento che le ha donato visibilità globale anche presso i non melomani ma che, va ricordato, è venuto in conseguenza del fatto che Yende, pur molto giovane, già era assurta ai vertici del panorama internazionale, contesa dai teatri più prestigiosi per la sua voce di soprano lirico di coloritura. I suoi primi passi li aveva mossi proprio a Verona nel 2013, all’Arena e al Filarmonico.

Tornata ora da star sotto ai riflettori areniani, ha conquistato il pubblico con una prova sfolgorante, che ha dato il metro della sua caratura artistica: una voce morbidissima, vellutata, dolce come si confà al personaggio e capace di diffondersi nell’anfiteatro perfettamente udibile in ogni sfaccettatura coloristica, grazie anche al timbro assai ricco. Un canto impeccabile, estremamente curato sia sotto il profilo tecnico che espressivo: luminoso nel primo atto, mentre nella scena della montagna carico di un dolore sordo e insinuante. Confessiamo di aver pensato che il bel sergente non avrebbe potuto non innamorarsi di lei. Ma gli uomini, si sa, vogliono il frutto proibito per un piacere di conquista.

Così è per Don José, circa il quale ci siamo nuovamente deliziati ascoltando il tenore Francesco Meli, che ha rinnovato il capolavoro di raffinatezza della precedente recita sopra descritta. Amiamo molto questo artista per l’eleganza che possiede nel canto e per l’intelligenza scenica. Trovatosi a interfacciarsi con una interprete profondamente diversa, caratterialmente e vocalmente, dalla precedente, Meli ha tarato la sua espressività sulla nuova situazione. In special modo ha dimostrato ancora maggiore intensità nell’ultimo atto, quando la rabbia per il rifiuto subito dal suo personaggio, da cocente e rabbiosa si è amplificata in una forma incontrollata di ossessione mentale.    

Presenza straordinaria nei panni di Escamillo, Ludovic Tézier. Il baritono francese, da qualche anno presenza fissa e acclamata nelle stagioni areniane, avrebbe forse potuto fare qualcosa di più nell’aspetto strettamente attoriale, risultato un poco ingessato. La carica espressiva del toreador è stata sostenuta magnificamente dalla voce, grazie alla ricchezza timbrica tarata ad hoc e al lavoro di cesello nel fraseggio.

Anche in questa recita hanno completato onorevolmente il cast una serie di artisti di tutto rispetto: Jan Antem e Vincent Ordonneau, i contrabbandieri Dancairo e RemendadoDaniela Cappiello e Alessia Nadin, Frasquita e Mercedes; infine Gabriele Sagona e Fabio Previati, Zuniga e Morales. Un’ulteriore nota di merito va al Coro areniano istruito da Roberto Gabbiani edavvero brave, anzi sempre più brave, le voci bianche del Coro A.LI.Ve. guidate da Paolo Facincani. I bambini, si sa, riscuotono sempre un applauso e il Maestro Zeffirelli alla regia sapeva bene come attirarlo. Però qui l’applauso è andato non solo alla presenza scenica ma anche alle doti strettamente canore, di precisione e intonazione. Bravi!

A distanza di un mese dalla precedente recita, il giovane direttore Leonardo Sini ha affinato una ancora maggiore dimestichezza con gli spazi dell’anfiteatro e con l’orchestra areniana, confermando una lettura precisa, attenta a confezionare un discorso avente unitarietà d’assieme e uno spiccato senso della dimensione musical-teatrale. 

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 3 agosto 2024Foto Ennevi

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