Di Maria Luisa Abate. Arena di Verona: danza, pensiero, poesia, estetica in una concezione ellenistica della bellezza.  

Prometeo, che rubò il fuoco agli dei per farne dono al genere umano affinché potesse evolversi. Il ribelle, che osò sfidare la grandezza e il potere di Zeus. Prometeo, l’uomo astuto e saggio che impersona la libertà del sapere, della conoscenza e del progresso. C’è molto di questo personaggio mitologico in Roberto Bolle, l’étoile che ha “rubato” la danza ai suoi templi impaludati portandola al di fuori di essi, a contatto con la gente, in contesti inusuali, rendendo l’arte tersicorea fruibile a tutti.

Unico elemento scenografico dell’intero spettacolo, una bella struttura mobile composta di lucenti tubi metallici su cui l’interprete è salito, che ha cavalcato, alla quale si è attorcigliato, infine vi si è incatenato nel ripercorrere il mito classico secondo cui Zeus per punire il Titano gli invia ogni giorno un’aquila a divorargli il fegato, che ricresce e viene nuovamente divorato. Con la spettacolarità data da fumo e da vere fiamme, Prometheus è stato la nuova creazione coreografica, a firma di Massimiliano Volpini, che ha impreziosito il tour 2024 di Roberto Bolle & Friends, e che tra le molte date italiane ha fatto irrinunciabile tappa all’Arena di Verona.

Una proposta come sempre non fine a se stessa, non limitata allo sfoggio di una tecnica e d’una espressività che hanno pochi eguali nell’intera storia della danza. Un evento ricco di significati e di rimandi, di messaggi che, avvalendosi del linguaggio dei corpi, ha affrontato temi universali, focalizzandosi in questa edizione sulle persone, sugli uomini e sulle donne, e sui loro sentimenti.

Quindi, di nuovo Bolle, di nuovo Arena, di nuovo un successo. E di nuovo quella capacità non rara ma unica di danzare senza restringere i confini nell’ambito di questa disciplina ma estendendoli al pensiero, alla poesia, all’estetica, in una concezione di bellezza totale che attinge alla lezione filosofica degli antichi greci. E non solo nel caso di Prometheus, che ha concluso la serata come meglio non si sarebbe potuto sperare.

Il gala il cui marchio è divenuto iconico riscuote un successo che si rinnova immutato negli anni. Strabiliante, se si pensa che la formula, senza mai un cedimento, è la medesima da non ricordiamo più quanti anni (forse una quindicina) e presenta un balletto nuovo accostato ad altri di comprovato successo. Il comune denominatore della coproduzione Artedanza è la qualità eccelsa, fatta di tecnica e di capacità di emozionare.

Il pubblico è formato da “tifosi” che non risparmiano ai propri beniamini ovazioni da stadio e vanno letteralmente in visibilio al solo apparire dei nomi sugli schermi laterali che accompagnano lo spettacolo. Ausili preziosi soprattutto in contesti come quello dell’Arena di Verona caratterizzata da grandi distanze, che tuttavia quest’anno si sono rivelati avari di primi piani. Di contro generosi nell’offrire inquadrature prese da diverse angolazioni rispetto alla visione dal vero. La sensazione, bellissima, è stata simile a quando, in un museo, si osservano le statue girandovi attorno. Le telecamere, inoltre, hanno ancora una volta donato l’emozione del dietro le quinte, inquadrando e seguendo Bolle in quello che è diventato una sorta di rito d’apertura: presentarsi correndo verso il pubblico e inchinarsi a esso.

I Friends 2024 sono stati otto, impegnati in momenti di danza classica e contemporanea. I due spazi classici si sono aperti nell’inconfondibile segno del colore verde di Esmeralda, su musica di Cesare Pugni e coreografia del leggendario Marius Petipa: eleganti António Casalinho e Margarita Fernandes (Primi Solisti del Bayerisches Staatsballett di Monaco), lui somma di tecnica e di grazia, lei dalla granitica tenuta sulle punte.

Restando nel genere classico, nuovamente su coreografia di Petipa ma questa volta giocando nei costumi con i toni del nero e dell’argento, Don Chisciotte sulle celebri note di Ludwig Minkus, in cui Tatiana Melnik (Prima Ballerina dell’Hungarian National Ballett di Budapest) e Giorgi Potskhishvili (Principal Dancer del Dutch National Ballet di Amsterdam) hanno fatto sfoggio di virtuosismi, l’una rivaleggiando con la precedente collega nella marmorea tenuta sulle punte, l’altro inanellando una serie di salti di notevole elevazione e una stupefacente sequenza di pirouette con incredibile salto.  

António Casalinho ha nel corso della serata fatto ritorno sul palco per la scanzonata Les bourgeois, su coreografia di Ben Van Cauwenberg. Nei giorni delle Olimpiadi parigine è stata riproposta questa figura francese doc, dedicata con ironia e qualche acrobazia alla canzone d’autore di Jacques Brel.

Indossando una candida tutina bianca a metterne in risalto la figura filiforme, Nicoletta Manni si è presentata quest’anno in versione solistica per impersonare una donna-luna. Sul sottofondo sonoro attinto a Johann Sebastian Bach, l’amatissima étoile del Teatro alla Scala si è mossa con grazia dolcezza e flessuosità sulla coreografia, intitolata per l’appunto La luna, di un’altra leggenda quale è Maurice Bejart, che la ideò per la grande Luciana Savignano la quale ne ha curato l’attuale ripresa. 

Una nota speciale la vogliamo riservare all’International Guest Artist Toon Lobach, artista di eccelsa bravura che si è presentato anche quest’anno assieme a Bolle – e “alla pari” con lui – nel passo a due Les indomptés su musica di Wim Mertens e coreografia di Claude Brumachon ripresa da Benjamin Lamarche. Un momento di palpitante intensità emotiva iniziato con i due danzatori, uno moro e l’altro biondo, a eseguire identiche movenze in sincronia perfetta, per poi “sdoppiarsi”, passarsi i movimenti l’un l’altro e infine assumere ognuno la propria personalità: due corpi che hanno condiviso la stessa energia vitale.

Lobach ha poi fatto ritorno sul palco assieme all’altra International Guest Artist Casia Vengoechea in un lavoro di Philippe Kratz, coreografo noto per la sua originalità. II era intuitivamente la prosecuzione del precedente I, sulla musica dal ritmo martellante e ripetitivamente ipnotico di Soundwalk collective, The field. Un’interpretazione assai impegnativa, che ha richiesto tecnica straordinaria, affiatamento ed espressività, e ha costituito uno dei momenti più alti dello spettacolo e uno dei più applauditi.

Poi lui, il cui nome è assurto a sinonimo della danza in Italia e nel mondo. Étoile del Teatro alla Scala di Milano, Principal dancer dell’American Ballet Theatre, Roberto Bolle non si è risparmiato, apparendo sul palco a intervallare ognuno dei Friends. Il corpo capace di passare dalla potenza muscolare alla precisione tecnica più che perfetta, a una carica espressiva che non ha eguali. Unica particolarità, lo abbiamo trovato meno sorridente del solito, forse semplicemente più concentrato o forse, come tutti, messo a dura prova dal caldo afoso opprimente della serata veronese.

L’apertura del gala è stato un omaggio a Mascagni e alla sua Cavalleria Rusticana. Un tributo danzato all’Opera che è andato ad aggiungersi ai festeggiamenti con cui l’Arena ha inaugurato la stagione, per l’ingresso del canto lirico italiano nel patrimonio immateriale Unesco. Proprio in quella serata, lo scorso giugno (vedi qui), abbiamo ammirato in anteprima questa coreografia di Massimiliano Volpini in cui Roberto Bolle ha vestito i panni di Turiddu, con tutto il suo bagaglio caratteriale sanguigno. In quella occasione, per la verità, la forma era risultata ancora migliore perché ad accompagnare Bolle era stata una vera orchestra e non una base registrata.  

Due pas de deux hanno posto in luce l’intesa tra Roberto Bolle e Melissa Hamilton (Prima Ballerina del Royal Ballet di Londra), leggera come una piuma in Lightness of being su musica di Alex Baranowski e coreografia di Craig Davidson. In seguito la coppia si è ricostituita per Qualia, coreografia di Wayne Mc Gregor e musica Scanner che ha messo in risalto la mobilità articolare di Melissa rasentante la disarticolazione. In entrambi i momenti, Bolle ha coniugato i ruoli di co-protagonista e di porteur, funzione che ha nobilitato non interrompendo mai il flusso emozionale instaurato con la compagna e di conseguenza con il pubblico.   

Cambio partner, e Bolle, recuperato lo smagliante sorriso, assieme a Tatiana Melnik (Prima Ballerina dell’Hungarian National Ballett di Budapest) ha sprigionato tutta la vitalità della primavera in Spring waters, canzone di Sergej Rachmaninov coreografata da Asaf Messerer.

Gran finale con il sopracitato Prometheus e le tradizionali uscite sul palco di tutti gli astisti a riscuotere gli applausi scroscianti. L’appuntamento del prossimo anno 2025 con Bolle & Friends all’Arena di Verona è fissato per il 22 e 23 luglio 2025. I biglietti sono già in vendita.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto all’Arena di Verona il 23 luglio 2024
Foto: Andrej Uspenski

#bolletour2024

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