Di Maria Luisa Abate. Verona, Teatro Romano: Shakespeare leggero divertente e attuale, regia Veronica Cruciani, con Lodo Guenzi e Sara Putignano.
Nel nome di Shakespeare prosegue l’Estate Teatrale Veronese, inanellando un’altra produzione in prima nazionale. “Molto rumore per nulla” è uno dei titoli più conosciuti del Bardo anche se rappresentato meno frequentemente rispetto ad altri. Forse, supponiamo, per quell’aura di minor “impegno” che ingiustamente viene attribuita in generale alle commedie rispetto alle tragedie; invece, lo abbiamo sempre sostenuto e qui lo ribadiamo, risulta più impegnativo far ridere “bene”. È questo il caso della produzione La Pirandelliana, co-produzione Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale e Estate Teatrale Veronese – Festival Shakespeariano.
La carta vincente di questo allestimento, il suo saper far ridere “bene” sta innanzitutto nel rispetto con cui è stata trattata la commedia. Pur con tagli e attualizzazioni, e con il maggior risalto riservato a taluni personaggi (ad esempio Antonia ha acquisito la parola) il testo è rimasto fedele alla propria sostanza, con completezza, senza indulgere alle epurazioni di personaggi oggi tanto in voga. Ed è proprio avendo lasciato inalterato il messaggio insito nel capolavoro scritto alla fine del 500 che questo spettacolo si proietta efficacemente nella contemporaneità.
Farcito di battute spiritose fulminanti, a essere tragicomici sono primariamente le situazioni, i pensieri, i preconcetti. Anticipando Rossini, che nel Barbiere di Siviglia lancia un monito sulla calunnia, un venticello che si insinua poco a poco per poi ingigantirsi e deflagrare come un colpo di cannone, Shakespeare analizza quelle che oggigiorno chiameremmo fake news e i loro effetti devastanti. Fake create ad arte e con l’intento di nuocere di cui Shakespeare mostra dapprima gli effetti drammatici, poi traccia una soluzione che porta al ravvedimento, all’ammissione di colpa e al lieto fine. Insomma ci dice che rimediare alle brutte azioni si può, volendo.
La bulimica voglia di gossip che oggi spinge a frugare nelle vite altrui su internet, nel ‘500 si esercitava origliando dietro le porte, spiando attraverso i buchi delle serrature, o nascondendosi dietro qualche cespuglio, come avviene in una delle scene più divertenti di questo spettacolo. Shakespeare parla anche del desiderio, rimasto immutato fino ai giorni nostri, di essere diversi da ciò che si è. Non ultimo sottolinea le disparità con cui uomini e donne venivano trattati e considerati nella società e su come gli ingannatori restassero essi stessi vittime dei propri inganni.
Su questo dispiegamento di temi, il Bardo innesta mirabilmente una commedia degli equivoci, ma anche una commedia di caratteri, giostrando con le situazioni e con le parole e mantenendo sempre toni leggeri e divertenti, spesso esilaranti. Come sottolineato nelle note di regia, che abbiamo realmente trovate attuate nello svolgimento scenico, Shakespeare si focalizza sul potere della parola e sulla distinzione tra verità e menzogna, che spesso sono facce di un’unica medaglia in quanto convivono nella stessa persona, escono dalla stessa bocca.
Tutti elementi ottimamente portati avanti nello spettacolo al debutto al Teatro Romano di Verona, che si è proposto come una spassosa analisi di vizi e virtù tipici della razza umana, per la regia di Veronica Cruciani, che ha curato anche l’adattamento assieme a Margherita Laera, quest’ultima autrice della traduzione. Il risultato è stato leggero e godibile, frizzante e capace di scatenare risate.
Elemento principe, il perfetto uso dei tempi comici da parte di tutti gli attori e le attrici, ma proprio tutti, e il ritmo sostenuto dell’azione. In ciò, favoriti dalle musiche (di Nicolò Carnesi), dal brio scenico (movimenti Marta Ciappina e Norman Quaglierini) e dai costumi anch’essi allegri e divertenti (Erika Carretta). Uno spettacolo ben confezionato e curato soprattutto nel dare precisa differenziazione ai diversi personaggi e caratteri: una diversificazione espressiva linguistica abbinata alla gestualità oltre che, più profondamente, ai vari modi di reagire agli accadimenti. Una fedeltà a Shakespeare sulla quale si è innestata con incisività la personalizzazione della visione registica.
Sul palco, alcuni elementi scenografici (di Anna Varaldo, luci Gianni Staropoli) giostrati sui toni del bianco, tra cui una struttura scomponibile che fungeva da divanetto / trono. Alle spalle una grata invasa dai rampicanti fioriti, a ricordarci che il drammaturgo inglese ha ambientato la vicenda nella soleggiata Messina, in un luogo che la regista ha immaginato come la hall di un moderno resort dove si transita, ci si incontra, ci si spia e si trama. Molto azzeccata la scelta di accentuare i diversi dialetti di provenienza dei personaggi, passando dalle cadenze ispaniche a quelle sicule doc e di altre zone geografiche: ulteriore punto di merito per i versatili interpreti.
Il cast era capitanato da Lodo Guenzi e Sara Putignano, Benedetto e Beatrice, spigliati, convincenti, espressivi nell’impersonare due caratterialità assai complesse. Lui sempre allegro, innamorato sincero ma che rifugge l’amore perché fermamente convinto che tutte le donne siano delle traditrici, capace di gesti venuti dal cuore così come di rettitudine e onore. Lei nervosa, umorale, innamorata tuttavia decisa negatrice dell’amore in quanto tale, libera ed emancipata. Benedetto la prende in giro e la sbeffeggia più o meno bonariamente, Beatrice si trincera dietro moti di stizza, a volte spontanei e a volte creati a bella posta per scoraggiare il pretendente. Alla fine, entrambi si arrenderanno all’onestà dei sentimenti.
Parallelamente l’altra storia d’amore, quella tra Claudio Lorenzo Parrotto, timido serio e compunto, aiutato a vincere le proprie insicurezze da Don Pedro Principe d’Aragona Paolo Mazzarelli irresistibile nella pronuncia spagnola, e la bella e giovane Ero, Romina Colbasso, intensa e credibile nel ruolo, ingiustamente calunniata, vittima di un crudele inganno ordito per farla passare come una donna dai facili costumi quando invece è pura e casta. Inganno amplificato dalla perfidia sottile e psicologica di Don Juan, Marco Quaglia. A risolvere la situazione, un contro-stratagemma che la farà credere a tutti morta di dolore, ideato dal disperato e astuto padre, Leonato, Francesco Migliaccio.
Non ci sarebbe stato un ritmo così incalzante nell’azione se la regista non avesse curato attentamente anche i ruoli di contorno trattandoli intelligentemente da co-protagonistici, e se gli attori non fossero stati più che validi: Borraccia Davide Falbo; Sanguienello e Corrado Andrea Monno; Margherita e moglie Marta Malvestiti; Crescione e frate Gianluca Pantaleo.
Anche la storia tra Claudio e Ero avrà compimento. La messinscena verrà svelata: Ero non è morta e sotto celata identità riuscirà sposare Claudio, il quale sarà felice di scoprire che si tratta proprio di lei e non di una sosia. Shakespeare ci prospetta pertanto un lieto fine che non sappiamo quanto agli spettatori cinquecenteschi potesse risultare veritiero e quanto frutto di finzione teatrale. Ai giorni nostri suona utopistico e ahinoi poco credibile visto che alla fine tutti comprendono i loro errori, capiscono il male che hanno cagionato e la gravità delle loro azioni e accettano di porvi rimedio. Riguardo gli atti di bullismo, di diffamazione, di violenza, pare che la società odierna abbia fatto passi indietro, in una sorta di normalizzazione dei soprusi e di giustificazione dei colpevoli a scapito delle vittime; comportamento che Shakespeare descrive per poi stigmatizzarlo. Anche in questo sta la forza del Teatro, per lo meno quello ben fatto: portare l’attenzione su argomenti di eterna attualità, aprire le menti e le coscienze, far riflettere, aggiungere la propria voce ad altre voci per amplificarne la forza. E se questa funzione viene espletata con toni leggeri e allegri, meglio ancora, perché il messaggio arriva più diretto.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Romano di Verona, Estate Teatrale Veronese, il 26 luglio 2024
Foto: ETV
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