Di Maria Luisa Abate: Arena di Verona al Teatro Romano: folla in delirio per il balletto che Lorca Massine creò appositamente per l’Arena, e che ha seguito personalmente il nuovo allestimento.
Cinque, sei, sette…abbiamo perso il conto delle riprese del celeberrimo sirtaki durante gli applausi conclusivi di Zorba il Greco, con il pubblico incollato alle sedie che si rifiutava di uscire. Si è trattato, per l’Arena di Verona presso il Teatro Romano, di un pezzo di Storia relativamente recente che è tornato in nuova veste a regalare emozioni.
Il sirtaki è una danza originale scritta a metà del Novecento da Mikīs Theodōrakīs traendo ispirazione dalla tradizione popolare ellenica (dal hasapiko, e i più esperti citano anche il kalamatianos) e che in pochi anni è divenuta essa stessa tradizionale, nota in tutto il mondo e identificativa nell’immaginario collettivo della Grecia stessa. Una fama planetaria dovuta innanzitutto al film pluripremiato agli Oscar del 1964 diretto da Michael Cacoyannis e che vide protagonista un insuperabile Antony Quinn, con, per l’appunto, le musiche scritte da Theodōrakīs.
Invece il balletto Zorba il Greco fu ideato appositamente per l’Arena di Verona nel 1988 (dove debuttò con la leggendaria coppia Vladimir Vasiliev e Gheorghe Iancu) dal coreografo Lorca Massine (figlio del celebre Léonide, erede della tradizione dei Ballets Russes di Diaghilev) e l’orchestra fu allora diretta dallo stesso Theodōrakīs. Massine ha curato personalmente anche la nuova produzione di Fondazione Arena in collaborazione con Comune di Verona ed Estate Teatrale Veronese, venuta a seguito dello straordinario successo qui riscosso la scorsa Stagione, e dopo anni di riproposizioni nel mondo, osannata da milioni di spettatori.
Se nel 1988 sul podio salì il compositore, questa estate ci siamo dovuti accontentare di una base registrata, che presenta molteplici e condivisibili vantaggi, tra cui i costi minori di messa in scena e di circuitazione dell’allestimento, oltre alla sicurezza che offre ai ballerini circa i tempi da seguire. Tuttavia un’orchestra dal vivo regala ben altre emozioni ed è questa la nostra speranza per il futuro.
Non solo sirtaki, ovviamente: le musiche di Mikīs Theodōrakīs sono affascinanti nella loro completezza. Nonostante la sua vita sia stata costellata da esperienze terribili di carcere e torture, di militanze politiche e di guerre, Theodōrakīs entrò in contatto con alcuni grandi del suo tempo, come il compositore Olivier Messiaen, e i poeti Pablo Neruda e Jannis Ritsos. La sua musica, ricca di influenze anche poetiche, risplende di sole e di vita.
Parallelamente la storia di Zorba, tratta dal romanzo di Nikos Kazantzakis, narra dell’amicizia tra un greco e un americano, che, facendo ciascuno tesoro della cultura e dell’approccio alla vita dell’altro, si aiutano vicendevolmente a superare le difficoltà. La narrazione, pur comprendendo eventi tragici, è gioiosa, briosa, festosa: è un inno alla vita, all’amicizia e all’apertura verso il prossimo, è un incitamento a superare il dolore del lutto e le avversità dell’esistenza facendo ricorso alla forza interiore dell’individuo. È gioia di vivere tradotta nel linguaggio della danza.
Sul palcoscenico, la scena fissa di Filippo Tonon ha immerso in una Grecia classica e suggestiva: da un lato un gruppo di statue femminili in peplum, dall’altra una gigantesca romantica splendente luna (luci Sergio Toffali). Il Corpo di Ballo ci è sembrato, nella concezione coreografica di Massine, aver evocato funzione analoga a quella rivestita nell’antichità classica dal coro, ossia un personaggio unico anche se plurimo e protagonistico, attorno al quale si inseriscono i solisti. Funzione quindi non di contorno ma sostanziale svolta egregiamente, su coordinamento di Gaetano Bouy Petrosino Maître de ballet, dal Corpo di Ballo della Fondazione Arena di Verona: sempre in scena e con un eccellente sincronismo, ha dato fisicità al ritmo ipnotico che caratterizza talune pagine della musica di Theodōrakīs; un ritmo che incalza, cresce, travolge e contagia lo spettatore.
Le coreografie infatti, fedeli alla concezione generale perseguita negli anni da Massine, hanno trasformato le emozioni in materia viva, attraverso i corpi dei danzatori, e anche i solisti sono stati intesi come facenti parte di un insieme. È per questo che le due figure maschili, pur con evidenti peculiarità personali, risultano un unicum, due diverse declinazioni di uno stesso concetto: la spinta vitale intesa in senso apollineo oppure in senso dionisiaco (antitesi già evidenziata dal filosofo Nietzsche), avendone rimarcato sia gli aspetti conflittuali – uno basato su ordine e armonia, l’altro su entusiasmo ed esaltazione – sia i punti di contatto che, nel progredire della storia, riescono a trovare Zorba e John.
Ecco quindi da un lato Zorba, Davide Buffone che ha efficacemente rappresentato l’evolversi del personaggio, un greco energico, attaccato alla propria terra, che subisce il fascino dello straniero per poi insegnargli un diverso approccio alla vita. L’americano era molto ben centrato dal biancovestito Gioacchino Starace, dallo smagliante sorriso, che ha incarnato allegria ed entusiasmo con una presenza scenica resa magnetica dalla spiccata personalità interpretativa, oltre che dall’avvenenza fisica.
Accanto a loro, si sono innestate le storie a fine tragico di due donne, impersonate da Eleana Andreoudi e Liudmila Konovalova. La prima, Marina, un concentrato di sentimento e di romanticismo; la seconda, Hortense, venata da una splendida malinconia di fondo che ha toccato vertici drammatici. Infine il geloso, con punte di cattiveria, Manolios, di cui ha vestito i panni Denys Cherevychko,
In conclusione, come si diceva, una serie interminabile di bis richiesti a gran voce dal pubblico che si rifiutava di abbandonare il teatro, desideroso che quell’atmosfera di gioia e di ottimismo oltre che, non va scordato, di qualità artistica, non finisse mai.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Romano di Verona, il 27 agosto 2024
Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona
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