Di Maria Luisa Abate. Mantova, Festivaletteratura. Carlo Boccadoro: non c’è un ascolto, una musica, ma ascolti e musiche.
La musica è un’arte oppure un racconto da narrare? La risposta sta in chi ascolta.
Festivaletteratura è ufficialmente dedicato agli autori letterari e i libri, strumento divulgativo per eccellenza, sono il magnifico pretesto per intrecciare vari campi del sapere o dell’arte. Nel nostro personale percorso non potevamo mancare all’appuntamento con quello che è riconosciuto essere uno dei più importanti compositori contemporanei, oltre che pianista percussionista e divulgatore: Carlo Boccadoro. Tutta la musica è da amare, tuttavia il musicista non risparmia frecciate, con schiettezza e ironia, nel corso dell’incontro ospitato nella basilica di Santa Barbara e intitolato “Fenomenologia dell’ascolto”, sollecitato dalle domande del filosofo Paolo Vanini. L’incitamento è stato di ascoltare di tutto, senza pregiudizi, senza confini, senza freni.
Si dice che la musica contemporanea sia difficile da ascoltare, ha esordito Boccadoro, ma tutto sembra difficile se non si ha familiarità. Non c’è un ascolto, una musica, ma ascolti e musiche. Ad ascoltare cinque ore di Wagner se non si è mai sentita un’opera prima «si rimane stesi». Così anche per i Genesis, per Peter Gabriel. Possiamo dedicargli 45 minuti del nostro tempo o anche scegliere di passare un’ora in compagnia di un quartetto di Schubert. Questo sarebbe l’ascolto ideale, che però fa a pugni con la quotidianità: «Oggi è difficile fermarsi un’ora, ascoltare e non fare altro».
Si può sentire la Passione di Bach nella vasca da bagno, però l’ascolto distratto non era previsto dagli autori. Anche se, ha spiegato Boccadoro, le serenate del periodo romantico nacquero come sottofondo ai tè in giardino, erano destinate a non essere ascoltate e i compositori le scrivevano malamente. Esistono anche brani «orrendi» di Mozart. Invece altri pezzi, scritti meglio, erano pensati per l’ascolto. Come un quartetto d’archi di Schubert, anche Miles Davis faceva brani che occupavano l’intera facciata di un disco, e John Coltrane eseguiva assoli lunghissimi. Però «certe volte è previsto un ascolto casuale: non ce n’è uno buono e uno cattivo».
Quindi, ha spiegato Boccadoro, non bisogna mai parlare di musica brutta ma di non familiarità. Una volta che si acquisisce la familiarità non esistono linguaggi brutti, al massimo si può dire che a noi non piace.
La dissertazione è proseguita lanciando strali a direttori artistici, programmatori radiofonici e televisivi, e «a quelli messi lì per una tessera politica, che magari il giorno prima stavano al settore agricoltura e il giorno dopo si sono ritrovati a dirigere un’orchestra sinfonica». Loro pensano che il pubblico sia formato da «una massa di deficienti», ha rimarcato Boccadoro, e danno loro solo l’ABC. Cita il caso di un musicista al quale erano stati bocciati i brani suggerendogli che avrebbero dovuto essere tera tera (tradotto dal romanesco: terra terra). Si crede che la gente non capisca ma l’esperienza insegna che quando si propongono musiche più complesse, magari accompagnate da qualche spiegazione, il pubblico capisce eccome: «non è il pubblico deficiente, lo sono i direttori artistici».
Poi, ha proseguito Boccadoro, non è detto che quello che io propongo piaccia: la gente può anche dire “non fa per me”». Non ci si deve sentire in colpa se non piace Bach, ci sono milioni di altri autori e «se non amiamo Bach, nessuno ci può dare dell’ignorante. È un atteggiamento punitivo che non ha senso». «A quanti si arrabbiano all’ascolto di Philip Glass dico “non ascoltatelo, ci sono Mozart, i Beatles … ascoltate altri».
Quale è la musica di qualità? È quella che ha molteplici livelli di ascolto, proprio come il libro “Il nome della rosa” di Umberto Eco, che può essere inteso come un giallo, oppure per i suoi rimandi. Poi, più profondamente, ci sono i riferimenti che solo Eco conosce. Così anche la musica di qualità ha vari livelli di ascolto, iniziando da fuga dalla realtà o da antistress. C’è chi studia la struttura formale di un pezzo o il contesto storico. Invece c’è musica che al secondo ascolto non dice più niente perché ha un solo livello di ascolto. Ad esempio il Gioca Jouer, onestamente dichiarato per ciò che è: «è bello, piace, ma non si deve studiare il pezzo».
A inizio Novecento la ricerca era considerata appannaggio della musica classica, invece poi abbiamo avuto tanti, come Peter Gabriel o i Radiohead, che hanno fatto musica a più livelli, infatti dopo 30 anni i loro dischi continuano a piacere anche alle generazioni successive. «Io non credo che Sugli sugli bane bane tu miscugli le banane sarà ascoltato dalle generazioni future» ha tagliato corto Boccadoro.
Il quale è poi passato a citare un suo libro di alcuni anni fa in cui consigliava dischi assurdi, folli. Ad esempio di un musicista di colore che faceva jazz con la cornamusa, vestito con il kilt. Oppure il disco che il compositore Jim Nollman ha registrato in una fattoria il Giorno del Ringraziamento, con 300 tacchini che, seguendo la sua voce, si mettevano a schiamazzare all’unisono, e che ha registrati i canti bellissimi dei lupi e quelli delle orche. «Il disco è uscito nel 1967 per l’etichetta Flokways Records. Non si trova più in commercio ma se scrivete alla casa discografica ne stampano una copia apposta per voi e ve la mandano» ha suggerito Boccadoro al pubblico di Festivaletteratura.
Si è parlato del disco nero di Prince che tra copie ritirate, piratate, poste in vendita, poi ritirate di nuovo, ha «giocato col pubblico», o ancora di Yoko Ono, la donna ingiustamente e immotivatamente più odiata del pianeta. Un ricordo, risalente a pochi mesi prima che morisse, è andato a Claudio Lolli stimato da Boccadoro per aver raccontato la fine della sua utopia senza fare sconti a nessuno, neanche ala sua parte politica. Lolli diceva «Attenzione a non svegliarsi una mattina e non avere più voglia di cambiare».
A seguire, una riflessione sul cambiare delle motivazioni dei compositori. Per i romantici era l’espressione dei loro stati d’animo, mentre nel Novecento, in special modo nelle avanguardie degli anni 50, si è fatta strada l’idea che un compositore dovesse sparire di fronte alla sua composizione. «L’idea della musica come autoterapia è molto distante dai compositori d’oggi» ha puntualizzato Boccadoro, aggiungendo «anch’io non penso che la musica sia autoterapia. Quando si scrive si devono risolvere un sacco di problemi di base. Il compositore si pone delle regole e con altre regole si devono risolvere i problemi. Noi siamo cronologicamente molto vicini al romanticismo, pensiamo al compositore che guarda la luna, ma non è così».
Mozart scrisse la Praga in due giorni senza fare una sola correzione. Beethoven invece era pieno di correzioni, «quando componeva sudava sangue. Ci sono autori per i quali scrivere è un castigo di Dio. Vedere i manoscritti di Beethoven è una sofferenza. Invece i manoscritti di Schubert sono perfetti, non c’è una macchia.» «Ma per me il gigante del XX secolo è Stravinskij».
Oggi si trova tutto online e questo ha causato una sorta di blocco: dato che i giovani possono avere tutto allora non ascoltano niente. «La reazione al tutto è stata la paralisi». Oggi si ascolta Tozzi, Albano, Stockhausen. In realtà oggi l’ascolto è molto più difficile, è come avere davanti il Deserto del Gobi, ricchissimo di tutto. «È così anche per il compositore: se mi dicono “scrivi quello che vuoi” non mi viene in mente niente. Avere dei paletti, dei parametri, stimola la fantasia».
Quando si diventa vecchi? Quando c’è stato un salto generazionale per cui non si è più in grado di capire i linguaggi aggiornati. «Non me ne frega niente di Clementino, preferisco i Jethro Tull».
«Ho 61 anni, sono diventato biologicamente vecchio e lo accetto. Quando non vi piace più niente vuol dire che siete anziani e dopo un po’ vi arriva la carta d’argento».
«Quando uno è vecchio? Quando tutto quello che sente gli fa schifo», ha concluso Carlo Boccadoro con una risata divertita.
Carlo Boccadoro la stessa sera ha tenuto un concerto con l’ensemble Sentieri Selvaggi vedi qui
Di Maria Luisa Abate
Visto nella basilica di Santa Barbara a Mantova, Festivaletteratura, il 7 settembre 2024
Foto MiLùMediA for DeArtes
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