Di Maria Luisa Abate. Mantova: Peter Burke e Massimo Polidoro hanno parlato di non saperi, catastrofici o virtuosi.

Due, profondamente diversi per contenuti e per stile narrativo, sono stati gli interventi che hanno visto protagonista, a Festivaletteratura di Mantova, lo storico britannico Peter Burke. Il primo incontro aveva come titolo “Conoscere l’ignoranza” e ha visto il professore inglese, autore del libro “Ignoranza. Una storia globale”, in dialogo con il giornalista Massimo Polidoro, autore di “La meraviglia del tutto” scritto assieme a Piero Angela, nei cui programmi televisivi Polidoro è spesso stato ospite. I due relatori hanno parlato di ignoranza intesa come assenza di conoscenza.

Sappiamo di non sapere e anche ciò che non sappiamo. Poi ci sono cose che ancora non sappiamo. Già Petrarca diceva: “Può esserci un campo più vasto dell’ignoranza?”. Negli anni, dal socratico “so di non sapere” si è giunti all’ “ignorance is bliss”, l’ignoranza è una benedizione.

Polidoro, nell’enunciare le sue domande, ha utilizzato il linguaggio che gli è proprio, preciso e chiaro, approfondito e accessibile a tutti, mentre Burke, uno dei più autorevoli storici europei, si è espresso in inglese con traduzione simultanea e ha iniziato a spiegare che l’ignoranza esiste da sempre. Ciò che bisogna chiedersi è come mai oggi abbia assunto un ruolo così rilevante nel dibattito pubblico. «L’importanza di sapere di non sapere è indizio di saggezza».

Quando non sappiamo, ha continuato il professore britannico, è l’inizio della catastrofe. «Quando la forma dell’ignoranza diventa arroganza è l’inizio della guerra» ha rimarcato citando come esempi il grande fallimento del conflitto in Vietnam o la prima invasione britannica in Afganistan avvenuta nell’Ottocento, soffermandosi a spiegare nel dettaglio le operazioni militari e perché la sconfitta fu cagionata dalla non conoscenza della geografia del luogo. «Sarebbe bastato guardare le mappe» per evitare delle stragi o, in un caso, sarebbe bastato leggere il libro dove venivano descritti gli errori militari precedenti, per non ripeterli.

Polidoro ha domandato se è vero che la nostra sia “l’età dell’oro e dell’ignoranza”. L’accademico ha risposto che amava occuparsi della storia delle conoscenze e dei saperi, in seguito ha pensato fosse interessante adottare la prospettiva della storia delle ignoranze, perché «sono concetti interconnessi. È impossibile l’uno senza l’altro».  

«Le ignoranze si sono allargate sempre più perché è aumentata la conoscenza». Nel medioevo scarseggiava la conoscenza perché c’erano pochi libri, le biblioteche monastiche spesso venivano distrutte e all’epoca era giudicato meraviglioso poter disporre di ottocento volumi. Ma anche l’eccessiva abbondanza di conoscenza, come quella odierna, causa problemi perché c’è l’imbarazzo della scelta. Abbondanza di conoscenza significa che non sappiamo ciò che sanno gli altri o che sa il nostro vicino. «C’è tanto di più da sapere ora rispetto a una generazione fa, ma c’è anche tanto di più da non sapere rispetto a una generazione fa».

La nostra società dell’informazione, ha incalzato Polidoro, oltre all’informazione produce ignoranza. Il professore britannico ha citato gli eventi dell’11 settembre e ha affermato che i servizi segreti americani sapessero che stava per succedere qualcosa, che c’era un complotto in atto, quasi certamente di estremisti radicali. Ma, ha proseguito Burke illustrando il suo pensiero, «il Presidente e le persone responsabili non hanno riconosciuto le informazioni specifiche e cruciali per contrastare il complotto». Burke ha citato le parole lapidarie di Condoleezza Rice la quale disse che c’erano troppe chiacchiere nel sistema. Ossia, ha spiegato Burke, troppe informazioni che creavano intralcio.

La conversazione è poi tornata sul volume scritto dallo studioso d’oltre Manica, in cui si afferma che l’ignoranza non è solo un fenomeno da contrastare ma è stata costruita nei tempi, manipolata, usata come strumento di potere. «L’ignoranza della maggior parte della popolazione è un vantaggio per i regimi dittatoriali ed è una minaccia per la democrazia». Da parte dei regimi dittatoriali c’è un dispendio di risorse per nascondere le informazioni. Burke ha citato i casi di Russia e Cina che, a suo dire, nascondono informazioni sui terremoti, sui grossi incendi, sulle carestie nelle provincie «questo perché il popolo darebbe la colpa delle catastrofi naturali al governo». Dell’esplosione alla centrale nucleare di Cernobyl si seppe solo quando gli scienziati di uno Stato limitrofo rilevarono livelli anomali di radioattività

La mancanza di informazioni mina la democrazia perché, ha spiegato Burke, «si ha il diritto di voto ma se le persone sono disinformate su ciò su cui devono esprimere il voto, questo è molto grave». I sondaggi dimostrano che la gente non sa nemmeno se alla maggioranza ci siano i repubblicani o i democratici. Cosa possiamo fare? Non ci sono soluzioni soddisfacenti, ha constatato con amarezza Burke, forse si dovrebbe inserire l’argomento nei programmi scolastici, ma non si può togliere una materia per fare spazio a un’altra. Non è facile, ha ammesso il professore.

Polidoro gli ha poi domandato se l’ignoranza assuma forme diverse a seconda del contesto culturale. «È utile parlare di ignoranze e non di ignoranza» ha proseguito Burke dicendo di non trovare soddisfacente un approccio su base geografica. «Ci sono altre tipologie di ignoranza basate sul fatto di non conoscere una cosa, una storia». Le persone possono preferire di non sapere per paura, per imbarazzo. Oppure certe persone vogliono che altre restino all’oscuro.

La successiva domanda di Polidoro ha riguardato l’ignoranza che può essere virtuosa, come il voto che viene protetto dal segreto dell’urna, l’anonimato di chi controlla (ad esempio i compiti degli studenti, come accade a Burke). Altro esempio sono i giurati nei processi che vengono isolati da giornali, tv, telefoni per limitare le informazioni a quelle fornite nell’aula di giustizia. «Questo è un esempio del valore dell’ignoranza. Ma nei secoli abbiamo constatato che l’ignoranza può avere effetti disastrosi, i quali sovrastano di gran lunga i benefici che se ne possono trarre».

Poi c’è l’ignoranza in campo artistico, ha incalzato Polidoro citando i Beatles e Leonardo da Vinci, per i quali non sapere determinate cose, o regole, ha portato a innovazioni e scoperte. «Più ci sono regole – ha concordato Burke citando un suo libro sulle figure eclettiche – e più è utile per taluni non essere a conoscenza delle regole. Ci sono tanti casi di persone famose per l’ampiezza e originalità delle loro conoscenze, spesso non apprese a scuola o all’università. Questo induce una riflessione critica sull’intero sistema educativo.  Ci si chiede: a volte va bene non essere a conoscenza della sapienza convenzionale, classica?» 

Al termine dell’incontro, una breve riflessione sulle fake news e sulla propaganda. Si dovrebbe fermarne la diffusione alla fonte, ma è molto difficile. Piuttosto, è il pensiero di Burke, sarebbe meglio concentrarsi su chi riceve queste notizie. La soluzione è l’educazione dei giovani che vanno incoraggiati a porsi domande quando giungono i messaggi, a chiedersi chi li invia e cosa ci sia dietro. Poi, da grandi, bisognerebbe spingerli a ricorrere ai siti web di verifica delle informazioni.

In conclusione? «Alla fine, si può sempre rispondere: “mi spiace, non lo so!”»

Report di Maria Luisa Abate
Visto nella basilica di Santa Barbara a Mantova, Festivaletteratura, il 6 settembre 2024
Foto MiLùMediA for DeArtes

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