A Napoli, dodici grandi marmi e oltre centodieci opere del sommo scultore per mettere a fuoco, nel “tempio” dell’arte classica, il legame fecondo tra “Canova e l’Antico”. “L’ultimo degli antichi e il primo dei moderni”: definizione che ben si attaglia al sommo Antonio Canova e alla sua arte sublime, celebrata per la prima volta a Napoli, al MANN-Museo Archeologico Nazionale dal 28 marzo al 30 giugno 2019, in una mostra-evento straordinaria per tematica e corpus espositivo, copromossa dal Mibac-Museo Archeologico Nazionale di Napoli con il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo nell’ambito dell’importante protocollo di collaborazione che lega le due Istituzioni. Per la prima volta, la messa a fuoco in una mostra di quel rapporto continuo, intenso e fecondo che legò Canova al mondo classico, facendone agli occhi dei suoi contemporanei un “novello Fidia”, ma anche un artista capace di scardinare e rinnovare l’Antico guardando alla natura.
“Imitare, non copiare gli antichi” per “diventare inimitabili” era il monito di Winckelmann, padre del neoclassicismo: monito seguito da Canova lungo tutto il corso della sua attività artistica. Dal giovanile Teseo vincitore del Minotauro sino all’Endimione dormiente, concluso poco prima di morire, il dialogo Antico/Moderno è una costante irrinunciabile; fino a toccare, in tale percorso, punte che hanno valore di paradigma: per tutte, la creazione del Perseo trionfante, novello “Apollo del Belvedere”.
Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove si trova la grande statua canoviana di Ferdinando IV di Borbone, spiega il suo direttore Paolo Giulierini, è il luogo ideale per costruire una mostra che dia conto di questo dialogo prolungato tra il grande Canova e l’arte classica. Qui si conservano capolavori ammirati dal maestro veneto: pitture e sculture ‘ercolanesi’ che egli vide nel primo soggiorno in città nel 1780; quindi i marmi farnesiani, studiati già quand’erano a Roma in palazzo Farnese e trasferiti a Napoli per volontà di re Ferdinando IV: marmi celeberrimi che sono stati all’origine di opere capitali di Canova come l’Amore Farnese, prototipo per l’Amorino alato Jusupov che il pubblico potrà confrontare in questa straordinaria occasione.
Curata da Giuseppe Pavanello, tra i massimi studiosi di Canova – con un comitato scientifico internazionale – e organizzata da Villaggio Globale International, la mostra, riunisce al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, oltre ad alcune ulteriori opere antiche di rilievo, più di 110 lavori del grande artista, tra cui 12 straordinari marmi, grandi modelli e calchi in gesso, bassorilievi, modellini in gesso e terracotta, disegni, dipinti, monocromi e tempere, in dialogo con opere collezioni del MANN, in parte inserite nel percorso espositivo, in parte segnalate nelle sale museali.
Prestiti internazionali connotano l’appuntamento: come il nucleo eccezionale di ben sei marmi provenienti dall’Ermitage di San Pietroburgo, che vanta la più ampia collezione canoviana al mondo – L’ Amorino Alato, L’Ebe, La Danzatrice con le mani sui fianchi, Amore e Psiche stanti,la testa del Genio della Mortee la celeberrima e rivoluzionaria scultura delle Tre Grazie– ma anche l’imponente statua, alta quasi tre metri, raffigurante La Pace, proveniente da Kiev e l’Apollo che s’incorona del Getty Museum di Los Angeles.
A questi si aggiungono, tra i capolavori in marmo che hanno entusiasmato scrittori come Stendhal e Foscolo, riuniti ora nel Salone della Meridiana del Museo Archeologico napoletano, la bellissima Maddalena penitente da Genova, il Paridedal Museo Civico di Asolo, la Stele Mellerio, vertice ineguagliabile di rarefazione formale e di pathos. Straordinaria la presenza di alcuni delicatissimi grandi gessi, come il Teseo vincitore del Minotauroe l’Endimione dormientedalla Gypsotheca di Possagno (paese natale di Canova), che ha concesso con grande generosità prestiti davvero significativi; o ancora l’Amorino Campbelle il Perseo Trionfante restaurato quest’ultimo per l’occasione e già in Palazzo Papafava a Padova – entrambi da collezioni private.
Altro elemento peculiare della mostra è la possibilità di ammirare tutte insieme e dopo un attento restauro, le 34 tempere su carta a fondo nero conservate nella casa natale dell’artista: quei “varj pensieri di danze e scherzi di Ninfe con amori, di Muse e Filosofi ecc, disegnati per solo studio e diletto dell’Artista” – come si legge nel catalogo delle opere canoviane steso nel 1816 – chiaramente ispirati alle pitture pompeiane su fondo unito e, in particolare, alle Danzatrici. Con le tempere, lo scultore del bianchissimo marmo di Carrara sperimentava, sulla scia di quegli esempi antichi, il suo contrario, i “campi neri”, intendendo porsi come redivivo pittore delle raffinatezze pompeiane ammirate in tutta Europa, alle quali, per la prima volta, quei suoi “pensieri” possono ora essere affiancati.
Proprio il confronto, per analogia e opposizione, fra opere di Canova e opere classiche, costituisce d’altra parte l’assoluta novità di questa mostra, evidenziando un rapporto unico tra un artista moderno e l’arte antica. Canova si rifiutò sempre di realizzare copie di sculture antiche, reputandolo lavoro indegno di un artista creatore. Il suo colloquio con il mondo classico era profondo e incideva su istanze cruciali, prima fra tutte la volontà di far rinascere l’Antico nel Moderno e di plasmare il Moderno attraverso il filtro dell’Antico: istanze creative, appunto, nel senso pieno del termine. L’Antico, come lui stesso annotava, “bisognava mandarselo in mente, sperimentandolo nel sangue, sino a farlo diventare naturale come la vita stessa”.
Ecco, allora, la possibilità di confrontare per esempio i fieri Pugilatori raffiguranti Creugante e Damosseno – gessi proventi da Possagno dei monumentali marmi vaticani acquistati da Pio VII nel 1802 – con la statuaria classica a lungo studiata dall’artista: dall’Ercole Farnese ai Tirannicidi; oppure il Paride canoviano con il Paride da Capua, marmo romano di fine II secolo d. C.; o ancora il busto dell’Imperatore Francesco II abbigliato all’antica, con corazza e clamide come un imperatore romano, con il Ritratto di Antonino Pio: tutti antichi marmi conservati al MANN.
Il Teseo vincitore del Minotauro avrà come recente classico l’Ares Ludovisi – il cui gesso è prestato dall’Accademia di Belle Arti di Napoli – e il bronzeo Mercurio proveniente da Ercolano, ammirato da Canova nel Museo di Portici già nel 1780; mentre nel modellino di Maria Luigia d’Asburgo come Concordia si cela il riferimento al dipinto pompeiano raffigurante Cerere assisa, sempre nelle collezioni del Museo archeologico napoletano.
Leopoldo Cicognara notò opportunamente che “dell’antico Canova fu veramente devoto, non superstizioso”, e lo stesso maestro ebbe a dire: “anch’io mi vanto essere adoratore dell’antico, ma non idolatra di tutte le antiche cose”. Imitare, dunque, non copiare gli antichi, fino al vertice dell’autonomia creativa, con punte di innovazione radicali come nel caso delle Tre Grazie, poste tutte di prospetto: “l”abbraccio ingegnoso e nuovo di tre figure femminili, che da qualunque lato lo si osservi, girandovi attorno – scrisse Quatremère de Quincy – rivela, con aspetti sempre diversi, molteplicità di positure, di forme, di contorni, di idee e di modi di sentire…”. Oppure, il caso della Maddalena penitente, “opera tutta figlia del cuore”; per chi affollava il Salon di Parigi nel 1808 “qualche cosa di nuovo, fuori dall’ordinario, che sembrava avere del miracoloso”. Mai s’era vista all’epoca tanta libertà espressiva.
Napoli riaccende i riflettori sul maestro, che con la città partenopea – “veramente situata in una delle più amene situazioni del mondo” – ebbe un rapporto lungo e costante: dapprima come giovane viaggiatore desideroso di ammirare le bellezze e le opere d’arte della città e le antichità “ercolanesi” e di Paestum; poi per le tante e significative committenze dei regnanti (sia dell’antico regime che dell’età napoleonica) e dell’aristocrazia napoletana. In mostra si può ammirare il grande gesso del gruppo di Adone e Venere, proveniente dalla collezione di Giovanni Falier, scopritore del talento di Antonio Canova: fu questa la prima opera dell’artista a raggiungere Napoli, all’inizio del 1795, acquistata dal giovane marchese Francesco Berio. Il marmo (ora conservato al Museo di Ginevra e inamovibile) provocò a Napoli deliri d’entusiasmo, articoli, pubblicazioni, visite continue, al punto da costringere alla chiusura il tempietto nel giardino di palazzo Berio, causa l’affollamento di persone.
“Canova e l’Antico” non è soltanto un grande evento espositivo, ma un vero e proprio viaggio di conoscenza nell’universo dello scultore: itinerari appositamente proposti dal Museo permettono di riscoprire i legami tra l’artista e la città di Napoli, mentre è vasta l’offerta di laboratori e attività didattiche per raccontare la mostra, il modus operandi dell’artista e l’innovazione della sua arte anche ai più piccoli. Per accompagnare l’esposizione, un importante catalogo edito da Electa, ricco di saggi con schede e raffronti fra opere canoviane e opere antiche.
La mostra ha ottenuto il sostegno della Regione Campania, i patrocini del Comune di Napoli, della Gypsotheca-Museo Antonio Canova di Possagno e del Museo Civico di Bassano del Grappa ed è stata realizzata con la collaborazione di Ermitage Italia.
C.S.
Copyright © Villaggio Globale International
Canova e l’Antico
28 marzo ~ 30 giugno 2019
Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Piazza Museo,19 – 80135 Napoli
www.museoarcheologiconapoli.it
Tel. 081 4422149