Teatro alla Scala: Robert Carsen colloca l’opera di Cesti nell’ambiente dell’arte, nella Milano di oggi. Dirige Giovanni Antonini, nel cast Stéphanie D’Oustrac.

L’Orontea di Antonio Cesti va in scena alla Scala per cinque rappresentazioni dal 26 settembre al 5 ottobre 2024. È la prima volta che questo titolo, e qualsiasi titolo di Cesti, viene rappresentato al Piermarini, ma il Teatro ne produsse una pionieristica edizione nel1961 per gli spazi ridotti della Piccola Scala.

La nuova produzione, che si inserisce nel progetto di riscoperta del melodramma italiano delle origini voluto da Dominique Meyer (e che ha portato in scena negli anni scorsi La Calisto di Francesco Cavalli e Li zite ngalera di Leonardo Vinci), è diretta da Giovanni Antonini con la regia di Robert Carsen, scene e costumi di Gideon Davey e luci dello stesso Carsen insieme a Peter van Praet.

In palcoscenico Stéphanie d’Oustrac è Orontea, Francesca Pia Vitale Silandra, Carlo Vistoli Alidoro, Hugh Cutting Corindo, Mirco Palazzi Creonte, Luca Tittoto Gelone, Maria Nazarova Giacinta, Sara Blanch Tibrino e Marcela Rahal Aristea.

Giovanni Antonini, al suo sesto titolo alla Scala, e Robert Carsen che raggiunge il quattordicesimo, si ritrovano dopo lo strepitoso successo del Giulio Cesare di Händel nel 2019 per dar vita a uno spettacolo che riporta ai giorni nostri la vicenda della regina Orontea, refrattaria alla ragion di stato e innamorata del pittore Alidoro. La protagonista diventa una donna di potere nostra contemporanea, figura di riferimento nel mondo dell’arte nella Milano di oggi. Ancora una volta Carsen modifica l’ambientazione ma va al cuore dei meccanismi di seduzione, inganno, sorpresa, sensualità e ironia del teatro barocco, ammiccando alla platea come faceva allora il testo, arguto ed esplicito, di Giacinto Andrea Cicognini e Giovanni Filippo Apolloni.

Un’ora prima dell’inizio di ogni recita, presso il Ridotto dei Palchi, si terrà una conferenza introduttiva all’opera tenuta da Elisabetta Fava. La rappresentazione del 5 ottobre sarà trasmessa in live streaming sulla piattaforma LaScalaTv e resterà disponibile on demand fino al 12 ottobre.


[Stéphanie D’Oustrac ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala]

L’OPERA
Andata in scena il 19 febbraio 1656 nel Teatro di Sala di Innsbruck, L’Orontea è la seconda opera composta da Antonio Cesti per la corte tirolese, dopo L’Argia del novembre 1655, e uno dei più grandi successi del secolo, con innumerevoli riprese nei teatri di tutta Europa. Il dramma per musica del fiorentino Giacinto Andrea Cicognini, scritto verso la fine del 1648 durante il suo soggiorno veneziano, fu rappresentato per la prima volta nel Carnevale del 1649 nel Teatro dei SS. Apostoli in una veste musicale di Francesco Lucio.

La vicenda, ambientata in un Egitto fantastico, vede la regina Orontea respingere gli appelli alla ragion di stato del filosofo Creonte per inseguire le grazie del giovane e umile pittore Alidoro, che solo dopo infiniti equivoci e peripezie si rivelerà un principe di alto lignaggio.

Dell’opera cestiana, dal carattere leggero di autentica commedia degli equivoci, ci sono giunte quattro partiture manoscritte complete, due conservate a Roma (Biblioteca Apostolica Vaticana e Biblioteca del Conservatorio Santa Cecilia), una a Parma (Biblioteca Palatina, Sezione musicale) e una a Cambridge (Magdalene College, Pepys Library). Nessuna corrisponde esattamente alla versione cantata a Innsbruck nel 1656, ma tutte testimoniano le modifiche fatte per riprese successive, come l’aggiunta di arie per un cantante o gli adattamenti per un differente registro vocale.

Nato ad Arezzo nel 1623, Antonio Cesti è con Monteverdi e Cavalli il rappresentante più significativo del panorama musicale secentesco. Avviato alla carriera ecclesiastica, Cesti si dedica piuttosto al teatro dapprima sotto la protezione dei Medici e quindi al servizio dell’arciduca Ferdinando Carlo del Tirolo, da Innsbruck a Vienna (dove va in scena con clamoroso successo Il pomo d’oro), Firenze, Roma e Venezia.


[Carlo Vistoli ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala]

IL LIBRETTO IN SINTESI
ATTO PRIMO
L’azione si svolge in un “villaggio delicioso”. Orontea, regina d’Egitto, ribadisce in un’aria la sua decisione di non innamorarsi mai. Il suo precettore, Creonte, tenta invano di convincerla a prendere marito. Intanto l’attenzione di Orontea è attratta dalle grida del paggio Tibrino che ha appena salvato da un agguato un bellissimo giovane pittore di nome Alidoro. Il ragazzo, accompagnato dalla vecchia madre, Aristea, giunge alla presenza della regina che se ne sente subito attratta.

Entra in scena un vecchio ubriacone, Gelone, il servo buffo che non può mancare in un melodramma di metà Seicento. Dopo aver inneggiato al buon vino, intavola un dialogo con due innamorati: Silandra, damigella di corte, e Corindo, cavaliere. Un nuovo incontro tra Alidoro e Orontea fa comprendere al primo i sentimenti della regina nei suoi confronti; tuttavia la bellezza di Alidoro ha colpito pure la frivola Silandra che rivolge a lui il suo interesse. L’atto si chiude con un dialogo sconclusionato tra Gelone, sempre ubriaco, e Tibrino.

ATTO SECONDO
Orontea esprime tra sé il suo amore per Alidoro, ribaltando completamente quanto affermato all’inizio dell’Atto primo. Compare in scena un nuovo personaggio, Giacinta, che ha assunto vesti maschili e il nome di Ismero. Questa confessa alla regina di esser stata lei ad attentare alla vita di Alidoro. Lo sdegno di Orontea a tale notizia rende palese i suoi sentimenti. A complicare le cose, Aristea, la vecchia madre di Alidoro, s’incapriccia di Giacinta, credendola un uomo, dando luogo a nuove scene buffe. La situazione, frequente nell’opera secentesca, della vecchia che concupisce un giovane è resa ancor più paradossale dal fatto che Ismero è in realtà una donna e che il personaggio di Aristea è affidato a un tenore.

Silandra intanto abbandona Corindo senza pensarci su due volte, e Alidoro non riesce a decidere tra le due donne. Mentre è intento a ritrarre Silandra, viene assalito da Orontea furiosa: in preda all’angoscia sviene, il che dà a Orontea il coraggio di confessargli il suo amore in una lettera. Anche la confessione d’amore all’amato che non può udire è un tòpos dell’epoca, in buona parte derivato dal coevo teatro spagnolo. Ripresosi dal mancamento, l’incostante Alidoro trova la lettera della regina e si rallegra della sua fortuna.

ATTO TERZO
Nell’ultimo atto il gioco delle coppie diventa ancora più vorticoso. Alidoro rinnega Silandra e si vanta dei suoi amori reali. Ciò desta scompiglio a corte e fa infuriare Orontea: il giovane si ritrova così scacciato dall’una e dall’altra amante e si lamenta dell’incostanza femminile. Tibrino e Gelone compatiscono tutti gli innamorati, dichiarando di preferire all’amore il primo la guerra, il secondo il vino.

Il buffone viene inviato da Silandra a cercare una riconciliazione con Corindo, che la perdona, ma si ripromette di uccidere il rivale. Nel frattempo anche Giacinta si è innamorata di Alidoro, ma subisce le avances di Aristea che le dona una preziosa medaglia. La giovane la consegna ad Alidoro, nella speranza di attrarlo a sé. Gelone, però, che ha assistito alla scena, crede che Alidoro abbia rubato una medaglia uguale appartenente a Orontea e lo accusa. È proprio la medaglia l’oggetto che porta allo scioglimento felice. Essa, infatti, dimostra che Alidoro è il principe Floridano, rapito in fasce dai corsari. Alidoro può dunque sposare Orontea, mentre Corindo sposerà Silandra.

Anna Tedesco


[Libretto stampato dal Teatro Santi Giovanni e Paolo a Venezia nel 1683. Immagine di pubblico dominio da Wikipedia]

LA GENESI DELL’OPERA
Andata in scena il 19 febbraio 1656 nel Teatro di Sala di Innsbruck, L’Orontea è la seconda opera composta da Antonio Cesti per la corte tirolese, dopo L’Argia del novembre 1655. Il dramma per musica del fiorentino Giacinto Andrea Cicognini, scritto verso la fine del 1648 durante il suo soggiorno veneziano, fu rappresentato per la prima volta nel carnevale del 1649 al Teatro dei SS. Apostoli. La musica di questo primo allestimento, andata perduta, era di Francesco Lucio; tuttavia, fino agli anni Settanta del Novecento si prestò fede alla paternità cestiana, erroneamente dichiarata nella prima cronologia dell’opera veneziana a firma di Cristoforo Ivanovich (Memorie teatrali di Venezia, 1681).

Poiché Cicognini era già deceduto all’epoca della preparazione del dramma per Innsbruck, il compito di ritoccare il testo poetico spettò a Giovanni Filippo Apolloni, poeta originario di Arezzo e amico di Cesti, assunto a corte nel settembre 1653. Oltre al nuovo prologo con Filosofia e Amore (in luogo del precedente con due Tritoni, Sirena e Amore), Apolloni intervenne sui versi di Cicognini con tagli, aggiunte e revisioni: per esempio, trasformò l’aria di Orontea “Un impero / che mi tira” nel recitativo più espressivo e patetico “Ardo, lassa, o non ardo?” (I,5); e convertì il recitativo di Silandra “Addio, Corindo, addio” (II,8) in un testo strofico sul quale Cesti poté realizzare un’efficace aria di lamento.

Noto anche con i titoli Orontea regina d’Egitto e I casti amori d’Orontea, il dramma di Cicognini fu tra i più fortunati del Seicento. Ebbe cinque diverse vesti musicali molto prima che l’usanza di intonazioni multiple si affermasse nel teatro d’opera: oltre a Lucio e a Cesti, lo misero in musica anche Francesco Cirillo (Napoli, 1654), Filippo Vismarri (Vienna, 1660) e Paolo Lorenzani (Chantilly, 1687). Conobbe inoltre un importante numero di riprese, testimoniate da oltre venti edizioni a stampa del libretto. In particolare, L’Orontea nella versione di Cesti fu una delle opere più rappresentate del secolo, dopo la sua Dori e Il Giasone di Cicognini e Francesco Cavalli.

Il successo coevo e la fortuna postuma dell’Orontea si devono prima di tutto all’abilità della penna di Cicognini, autore di un libretto brillante, ricco di situazioni drammatiche adatte alla messa in musica e al divertimento del pubblico. Costruito a partire da un soggetto romanzesco su modelli del teatro spagnolo del Siglo de oro (Lope de Vega e Pedro Calderón de la Barca in testa), il testo è caratterizzato da un’evidente commistione di stili, dal serio al ridicoloso, e contiene alcuni tòpoi drammatici di derivazione spagnola cari anche alla drammaturgia veneziana: per esempio, il rifiuto dell’amore da parte di una donna di nobile estrazione (la regina d’Egitto Orontea), che s’innamora di un giovane inadeguato per rango e famiglia (il pittore Alidoro); oppure il classico motivo dell’identità perduta poi ritrovata solo dopo varie peripezie al momento dell’agnizione finale.

L’intreccio, basato sulla materia amorosa, ruota intorno alle vicende di due coppie di amanti: da una parte Orontea e Alidoro, dall’altra Silandra e Corindo. La bellezza di Alidoro conquista però anche il cuore di Silandra, con il risultato che gli amanti si trovano invischiati in un triangolo amoroso, fra continui tira e molla, indecisioni, gelosie, palpitazioni e tormenti. A complicare la situazione c’è la questione dell’obbligo sociale che impedirebbe a Orontea di unirsi in matrimonio con un plebeo; tutto si risolve nell’immancabile lieto fine e ricongiungimento degli amanti, grazie allo svelamento delle nobili origini di Alidoro quale figlio del re dei Fenici, rapito in fasce dai pirati.

Condiscono l’intreccio alcuni ingredienti tipici e ricorrenti della drammaturgia secentesca: gli equivoci innescati dallo scambio di persona e dai travestimenti (Giacinta in abiti virili è oggetto delle attenzioni della vecchia e vogliosa Aristea), le scene comiche dei personaggi di rango inferiore (il buffone Gelone e il valletto Tibrino scherzano con toni filosofici sui piaceri della vita e del buon vino, dileggiando le sofferenze d’amore), il sonno di un personaggio in scena (durante il quale avviene qualche peripezia a sua insaputa), il lamento dell’amante disprezzato, la scena-madre della donna tradita e furiosa, lo scambio di lettere e oggetti rivelatori (il medaglione che prova le origini di Alidoro).

Dell’opera cestiana ci sono giunte quattro partiture manoscritte complete, due conservate a Roma (Biblioteca Apostolica Vaticana e Biblioteca del Conservatorio Santa Cecilia), una a Parma (Biblioteca Palatina, Sezione musicale) e una a Cambridge (Magdalene College, Pepys Library). Nessuna corrisponde esattamente alla versione cantata a Innsbruck nel 1656, ma tutte testimoniano le modifiche fatte per riprese successive, come l’aggiunta di arie per un cantante o gli adattamenti per un differente registro vocale.

Alcune riprese dell’opera furono curate dal compositore stesso, forse anche in qualità di interprete, come l’allestimento romano nel marzo del 1661 nel palazzo privato del principe Lorenzo Onofrio Colonna, e quello fiorentino a ottobre dello stesso anno durante le feste per le nozze di Cosimo III de’ Medici. Infine, per la ripresa veneziana del 1666 fu probabilmente Cesti a fornire la partitura all’impresario Marco Faustini, che mise in piedi l’opera in soli dieci giorni.

L’Orontea va annoverata fra le opere secentesche più riprese anche in epoca moderna. Nel 1953 fu allestita all’Accademia Musicale Chigiana di Siena (direzione di Vito Frazzi) e nel 1961 alla Piccola Scala di Milano (direzione di Bruno Bartoletti, con Teresa Berganza nel ruolo eponimo). Del 1973 è la prima edizione della partitura, curata da William Holmes, e del 1982 la prima registrazione in disco, firmata da René Jacobs (anche interprete di Alidoro). Titolo più celebre della produzione teatrale di Antonio Cesti e fra i più fortunati nel revival della musica antica, si può dire che L’Orontea abbia contribuito in maniera rilevante alla definizione moderna di stile barocco nell’opera.

Valeria Conti


[Pietro Antonio Cesti – ritratto di Salvator Rosy (archivio OP]

ANTONIO CESTI
Nato ad Arezzo e battezzato il 5 agosto 1623, Pietro Cesti prese il nome del fratello Antonio nel giugno 1637, quando vestì l’abito dei minori conventuali di San Francesco a Volterra. Il 10 luglio 1637 entrò nel convento di San Francesco di Arezzo, dove rimase fino al 1643. Iniziò a cantare nelle chiese di Arezzo fin da ragazzo, e a Volterra ricoprì i primi rilevanti incarichi musicali, prima come organista del Duomo e poi, dal 1645 al 1649, come maestro di cappella del Duomo e maestro di musica del seminario.

A quel periodo risalgono le sue prime esperienze teatrali note: la partecipazione a una commedia in musica data a Volterra nel 1645 e il contributo (forse solo nella composizione) alla Datira, dramma di Pietro Salvetti rappresentato a Siena il 26 maggio 1647 sotto il patrocinio del principe Mattias de’ Medici, governatore della città. Fin dai primi passi nel mondo musicale operistico Cesti godette della protezione della famiglia Medici. Grazie all’intercessione del cardinale Giovan Carlo ottenne la licenza per cantare nel Giasone di Giacinto Andrea Cicognini e Francesco Cavalli dato a Firenze e a Lucca tra maggio e luglio 1650.

Aver calcato le scene gli costò tuttavia minacce legali e giudiziarie da parte del Padre Provinciale dei minori conventuali di Lucca. Alla fine del 1650 Cesti risiedeva al sicuro a Venezia nel palazzo dell’abate Vettor Grimani Calergi, altro mecenate amico dei Medici. Per Venezia compose la sua prima opera completa, Alessandro vincitor di se stesso, andata in scena nel gennaio 1651 nel Teatro Grimani ai SS. Giovanni e Paolo, su testo del poeta lucchese Francesco Sbarra, col quale in seguito collaborò a Vienna. Nel 1652 lo stesso teatro ospitò un’altra sua opera, Il Cesare amante, su soggetto di Maiolino Bisaccioni e versi di Dario Varotari.

Grazie ai suoi protettori Cesti ottenne il primo importante incarico presso la corte di Innsbruck. Tra febbraio e maggio 1652 l’arciduca d’Austria Ferdinando Carlo d’Asburgo viaggiò in Italia accompagnato dal fratello Sigismondo Francesco e dalla moglie Anna de’ Medici. Durante questo soggiorno, forse a Firenze in casa Medici o a Venezia in casa Grimani, poté ascoltare e apprezzare la voce e la musica di Cesti, tanto da volere il musicista con sé a Innsbruck. Già a dicembre 1652 il frate fu assunto come maestro di cappella della camera, ruolo creato ad hoc e ben pagato.

Ferdinando Carlo fece costruire a Innsbruck un teatro d’opera di corte sul modello di quelli italiani, inaugurato nel 1654 con La Cleopatra, rifacimento del Cesare amante con un nuovo prologo del poeta aretino Giovanni Filippo Apolloni. Per Innsbruck Cesti compose tre delle sue opere più acclamate. L’Argia, poesia dell’Apolloni, andò in scena nel novembre 1655 per il passaggio di Cristina di Svezia, che alla corte tirolese celebrò la propria conversione al cattolicesimo.

Il dramma di Cicognini L’Orontea, già musicato a Venezia da Francesco Lucio nel 1649, fu dato nel febbraio 1656 rivisto da Apolloni. Seguì nel 1657 La schiava fortunata, o vero la Dori, su libretto originale di Apolloni. All’inizio del 1659 il passaggio dai minori conventuali all’ordine secolare dei Cavalieri di Santo Spirito permise a Cesti di lavorare e muoversi con maggiore libertà, tanto che per due anni il compositore fu impiegato a Roma e a Firenze.

Per volontà di papa Alessandro VII, nel gennaio 1660 entrò nella cappella pontificia, e per un anno lavorò anche per le famiglie Colonna e Chigi, per le quali cantò e compose soprattutto cantate. A Firenze nel 1661 partecipò ai festeggiamenti per le nozze di Cosimo III con Margherita Luisa d’Orléans, durante i quali si allestirono anche L’Orontea e Dori. Nel febbraio 1662 tornò a Innsbruck, dove compose La magnanimità d’Alessandro, su testo di Sbarra, rappresentata a giugno per un nuovo passaggio di Cristina di Svezia.

Alla morte di Ferdinando Carlo (dicembre 1662), il titolo di arciduca passò al fratello Sigismondo Francesco, durante il cui governo, decisamente più austero, Cesti non scrisse opere nuove per Innsbruck, ma musicò il “dramma civile” di Pietro Susini Le nozze in sogno, andato in scena a Firenze nel maggio 1665 per gli Accademici Infuocati, protetti dal cardinal Carlo de’ Medici. Morto prematuramente anche il nuovo arciduca (giugno 1665), Cesti passò al servizio dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, melomane e compositore egli stesso.

Prima di trasferirsi a Vienna (aprile 1666), compose per Venezia Il Tito, melodramma di Nicolò Beregan, allestito nel gennaio 1666 al Teatro Grimani. Alla corte imperiale Cesti fu impegnato in qualità di compositore e “intendente delle musiche teatrali” nei lunghi e grandiosi spettacoli per le nozze di Leopoldo I con l’infanta di Spagna Margherita Teresa: nel luglio 1666 fu rappresentato Nettuno e Flora festeggianti, nel febbraio 1667 il dramma giocoso-morale Le disgrazie d’Amore, nel giugno 1667 La Semirami, iniziata due anni prima per le nozze di Sigismondo Francesco e mai rappresentata, e in luglio la festa a cavallo La Germania esultante. Dopo una lunga gestazione, il 12 e 14 luglio 1668 andò in scena la sontuosa festa teatrale in un prologo e cinque atti Il pomo d’oro, testo di Sbarra, musica di Cesti e Leopoldo I, scene di Lodovico Ottavio Burnacini, balli di Johann Heinrich Schmelzer e coreografia di Santo Ventura.

Affetto da problemi di salute e «non potendo sostener più le gran fatiche di Vienna», Cesti ottenne dall’imperatore il permesso di tornare in Italia. Dal 1° ottobre 1668 fu assunto alla corte fiorentina. Scrisse un’ultima opera per Venezia, L’Artaxerse, su poesia di Aurelio Aureli, che andò in scena nel Carnevale 1669 al Teatro dei SS. Giovanni e Paolo. A causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute, lasciò incompiuti alcuni progetti: due opere per i Grimani (una probabilmente Il Genserico di Beregan) e due drammi per Vienna (La Giocasta di Moniglia e Il prencipe generoso di Pietro Guadagni). Morì il 14 ottobre 1669, all’età di 46 anni. Il giorno dopo ebbero luogo le esequie, d’ordine e a spese del granduca, e fu sepolto ad Arezzo.

Valeria Conti


[Giovanni Antonini ph Brescia e Amisano]

GIOVANNI ANTONINI
Direttore
Nato a Milano, ha studiato alla Civica Scuola di Musica e al Centre de Musique Ancienne di Ginevra. È membro fondatore dell’ensemble barocco Il Giardino Armonico, che dirige dal 1989, con cui è apparso come direttore e solista al flauto dolce e al flauto traverso barocco in Europa, Stati Uniti, Canada, Sud America, Australia, Giappone e Malesia. È direttore artistico del Festival polacco Wratislavia Cantans e direttore ospite principale della Kammerorchester di Basilea.

Si è esibito insieme a molti artisti di prestigio, tra cui Cecilia Bartoli, Kristian Bezuidenhout, Giuliano Carmignola, Isabelle Faust, Sol Gabetta, Sumi Jo, Viktoria Mullova, Katia e Marielle Labèque, Emmanuel Pahud e Giovanni Sollima. Rinomato per la sua interpretazione raffinata e innovativa del repertorio classico e barocco, è ospite regolare dei Berliner Philharmoniker, Concertgebouworkest, Tonhalle Orchester, Mozarteum Orchester, Gewandhausorchester di Lipsia, London Symphony Orchestra, Česká filharmonie e Chicago Symphony Orchestra.

Le sue produzioni operistiche includono Giulio Cesare in Egitto di Händel e Norma di Bellini con Cecilia Bartoli al Festival di Salisburgo. Nel 2018 ha diretto Orlando al Theater an der Wien ed è tornato all’Opernhaus di Zurigo per Idomeneo. Nel 2019 ha diretto Giulio Cesare in Egitto al Teatro alla Scala e vi è tornato nel 2021 per il Così fan tutte, nello stesso anno ha fatto il suo ritorno anche al Theater an der Wien con la Rappresentatione di Anima, et di Corpo di Cavalieri.

Fra i prossimi impegni si segnalano progetti con i Berliner Philharmoniker, la Česká Filharmonie, l’Orchestre de Chambre de Paris, la Tonhalle Orchester di Zurigo e i Bamberger Symphoniker.

Con Il Giardino Armonico ha inciso numerosi CD di opere strumentali di Vivaldi, Bach (i Concerti brandeburghesi), Biber, Locke, l’opera Ottone in villa di Vivaldi e La morte della Ragione, in cui ha esplorato la musica rinascimentale attraverso raccolte di musica strumentale del XVI e XVII secolo. Con la Kammerorchester Basel ha registrato l’integrale delle Sinfonie di Beethoven e un disco di concerti per flauto intitolato Revolution con Emmanuel Pahud. È inoltre direttore artistico del progetto Haydn2032 nato con l’intento di registrare, con Il Giardino Armonico e la Kammerorchester Basel, l’integrale delle sinfonie di Joseph Haydn entro il 300° anniversario della nascita del compositore; attualmente è a circa metà dell’impresa con la pubblicazione dei primi quindici volumi.


[Robert Carsen ph Tommaso De Pera 14 Ottobre 2023]

ROBERT CARSEN
Regia e luci
Nato a Toronto, in Canada, è attivo come regista, scenografo e light designer di lirica e di prosa in tutto il mondo. Tra le sue produzioni più recenti, Ariodante all’Opéra di Parigi, Aida alla Royal Opera House Covent Garden di Londra, il musical Cabaret con cui è stato riaperto il Lido parigino, Edipo re di Sofocle al Teatro Greco di Siracusa (Premio “Le Maschere del Teatro Italiano” 2023 per il miglior spettacolo di prosa); Il trionfo del Tempo e del Disinganno al Festival di Salisburgo; Il ritorno d’Ulisse in patria al Maggio Musicale Fiorentino (Premio Abbiati 2022 al miglior spettacolo); Julius Caesar di Battistelli all’Opera di Roma; Rappresentatione di anima, et di corpo di Emilio de’ Cavalieri al Theater an der Wien; Osud di Janáček a Brno; Idomeneo a Madrid, a Roma e a Copenhagen; e la prima mondiale di Oceane di Detlev Glanert alla Deutsche Oper Berlin.

Altre sue produzioni di successo comprendono Die tote Stadt alla Komische Oper di Berlino; The Beggar’s Opera al Théâtre des Bouffes du Nord a Parigi; Pagliacci e Cavalleria rusticana alla Nationale Opera di Amsterdam; Der Rosenkavalier e Falstaff alla Royal Opera House e al Metropolitan; Evgenij Onegin all’Opera di Roma; La traviata che inaugurò nel 2004 la prima stagione lirica del Teatro La Fenice ricostruito dopo l’incendio; ancora per la Fenice L’affare Makropulos, Richard III di Battistelli e Don Carlo; i musical Singin’ in the Rain, My Fair Lady e Candide al parigino Theatre du Châtelet; A Midsummer Night’s Dream e Rigoletto al Festival di Aix-en-Provence; Wozzeck, Agrippina e The Turn of the Screw al Theater an der Wien; Rinaldo e L’incoronazione di Poppea al Festival di Glyndebourne; Tannhäuser, Die Zauberflöte, Elektra, Capriccio, Les Boréades di Rameau, Rusalka, Alcina, Lohengrin, Nabucco e Manon Lescaut all’Opéra di Parigi; Der Ring des Nibelungen a Colonia, Venezia, Shanghai, Barcellona e Madrid; Les dialogues des Carmélites, Kát’a Kabanová, Salome, Iphigénie en Tauride e Idomeneo a Madrid.

Per il Teatro alla Scala ha firmato la regia di Peter Grimes, Giulio Cesare in Egitto, Falstaff, La fanciulla del West, CO₂ di Battistelli, Don Giovanni, Les contes d’Hoffmann, Kát’a Kabanová, Alcina, A Midsummer Night’s Dream, Candide e Les dialogues des Carmélites.

Tra le sue nuove produzioni per la Stagione 2023-2024, Werther a Baden-Baden, Die Jüdin von Toledo di Glanert a Dresda, Jedermann e La clemenza di Tito a Salisburgo.

I suoi progetti futuri includono Il viaggio del signor Brouček sulla luna (Janaček) a Brno, Berlino e Madrid; Les Fêtes d’Hébé (Rameau) all’Opéra Comique di Parigi; Edipo a Colono e Antigone al Teatro Greco di Siracusa.

C.S.m.
Fonte: comunicato stampa 18 settembre 2024
Immagine di copertina: Francesca Pia Vitale ph Brescia e Amisano © Teatro alla Scala

L’ORONTEA di Antonio Cesti
Dramma musicale in un prologo e tre atti
Libretto di Giacinto Andrea Cicognini e Giovanni Filippo Apolloni
Nuova produzione Teatro alla Scala
26, 28, 30 settembre; 2, 5 ottobre 2024 ~ ore 20

Prezzi: da 215 a 26 euro
Infotel 02 72 00 37 44
www.teatroallascala.org