Di Maria Luisa Abate. A Mantova tappa del Sabbioneta Chamber Opera Festival in collaborazione con Vicenza in Lirica.

Das lied von der Erde (Il canto della Terra) è considerato il testamento artistico di Gustav Mahler che lo compose poco prima della sua morte dopo aver affrontato una serie di tragiche vicissitudini private. Esponente del periodo tardo romantico, testimone di un’epoca storica che stava giungendo alla fine e pervaso dal disagio esistenziale di sentirsi ovunque straniero, Mahler si ispirò alla filosofia orientale e a un ciclo di poesie cinesi, Die Chinesische Flöte, che lesse nella traduzione tedesca del poeta Hans Bethge. La prima esecuzione avvenne postuma, nel 1911 a Monaco, quando sul podio salì Bruno Walter.

In questa sinfonia Mahler utilizza un linguaggio musicale descrittivo-emozionale, specchio non di luoghi o situazioni – benché abbondino riferimenti realistici ad elementi della natura e a vicende umane – ma piuttosto itinerario, spesso indecifrabile, della mente, della memoria, dell’animo. Quest’ultimo considerato non come stato d’animo, specifica Alessandro Zignani nei libretti di sala, bensì portale d’accesso ai labirintici abissi che si celano nell’Uomo: un «paesaggio del vissuto». Nel dettato di Mahler il tempo appare sospeso. Gli episodi di vita, narrati nei sei movimenti, diventano spazi atemporali di preparazione al congedo dal mondo. I canti alla giovinezza e alla bellezza costituiscono una sorta di antefatto preparatorio dello spirito alla morte intesa come trascendenza, come sublimazione. Una lode all’organicità delle creature, un inno al distacco dell’anima che si appresta a intraprendere un nuovo viaggio.

Das lied von der Erde è una composizione assai impegnativa dal punto di vista esecutivo, anche in considerazione del fatto che i sei movimenti sono suddivisibili in due blocchi necessitanti di differenti espressività e che richiedono pertanto musicisti di prim’ordine. Così è stato nel caso del concerto proposto dall’ensemble strumentale formato da studenti di due Conservatori, “Arrigo Pedrollo” di Vicenza e “Lucio Campiani” di Mantova, i quali hanno superato le più rosee aspettative. Infatti gli allievi sono… allievi, ossia musicisti ancora in via di formazione che in questa occasione hanno dimostrato una maturità esecutiva, una profondità interpretativa, un affiatamento da professionisti navigati e con esiti di indiscutibile qualità.

In ciò favoriti e al contempo messi a ulteriore prova dall’aver eseguito questa sinfonia, nata per una grande formazione orchestrale, nella versione cameristica che porta due firme doc: Arnold Schönberg e Rainer Rahne. L’arrangiamento per un piccolo ensemble mantiene la vividezza coloristica e la varietà timbrica dell’originale scritto per un organico numeroso, e favorisce una brillantezza di suono che rende giustizia alle sublimi vette mahleriane. Parallelamente tali caratteristiche fanno della riduzione un cimento impegnativo. Come si diceva superato egregiamente dall’ensemble vicentino-mantovano, che ha conferito smalto alla tavolozza coloristica, in una interpretazione sentita, consapevole.

Risultato raggiunto grazie anche a due tutor di eccellenza: Paolo Ghidoni, del corpo insegnante del Conservatorio di Mantova, che si è seduto fra i giovani orchestrali dando la “linea guida” del suo violino di spalla. E poi Marco Tezza, docente al Conservatorio di Vicenza, che è salito sul podio con gesto direttoriale estremamente attento e che si è percepito essere giunto a conclusione di un certosino lavoro di studio.

Si sono aggiunte le esperte voci del mezzosoprano Laura Polverelli e del tenore Joseph Dahdah ottimamente protesi a una linea stilistica prettamente liederistica. Le due voci hanno esaltato sia la natura descrittiva del testo, nelle sue differenti sfaccettature onirica o reale o archetipica, e hanno permesso al sentimento e al lirismo mahleriani di sgorgare fluidamente.

Una serata dunque di qualità. Quella stessa cui ci ha abituati il “motore” dell’iniziativa, Andrea Castello, direttore artistico del Festival Vicenza in Lirica come anche del Sabbioneta Chamber Opera Festival: il secondo, una costola del primo “staccatasi” nel percorso di crescita che ha portato la rassegna vicentina a travalicare i propri confini geografici. Castello ha concretizzato la sua idea lungimirante: unire con un filo rosso due straordinari edifici giunti a noi attraverso i secoli, il Teatro Olimpico di Vicenza e il Teatro all’Antica (Olimpico) di Sabbioneta (ricordiamo che Mantova – Sabbioneta è un unico sito Unesco, così come lo è la città di Vicenza).

Dopo Vicenza, nell’ambito della Stagione sabbionetana tuttora in corso con appuntamenti negli edifici storici e nelle chiese, si è inserito questo concerto ospitato a Mantova capoluogo, nel moderno auditorium Monteverdi. La serata è stata salutata in apertura dai direttori dei due Conservatori: Gianluca Pugnaloni per Mantova e Stefano Lorenzetti per Vicenza, a precedere le note introduttive illustrate da Ghidoni che ha sottolineato essere questo «uno dei più grandi brani non solo della musica ma dell’umanità».  

Folto il pubblico anche se l’affluenza ha pagato lo scotto di una serata meteorologicamente da bollino rosso. Una iniziativa che auspichiamo possa ripetersi in futuro perché non si è rivelata solo un prezioso strumento di apprendimento per i giovani coinvolti, ma è stata caratterizzata da quella qualità artistica e rarità di ascolto che sono fattori attrattivi per il pubblico, anche qualificato.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto a Mantova, auditorium Monteverdi (Sabbioneta Festival) il 23 settembre 2024Foto MiLùMediA for DeArtes

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