Di Diego Tripodi. Bologna: La voce della luna –Pierrot e dintorni da Fontanamix ensemble.
Il rapporto con il testo fu questione così determinante per Arnold Schönberg, da divenire titolo, oltre che argomento, di uno dei suoi saggi più famosi apparso sulla mitica rivista Der Blaue Reiter, nello stesso 1912 che vide anche la nascita di un lavoro cardine nella ricerca schönberghiana sulla parola, ossia il Pierrot lunaire op.21. In verità, come evinciamo da una lettera del 19 agosto di quell’anno – in cui proprio l’autore menziona per la prima volta questa raccolta a Wassily Kandinsky -, il Pierrot apparentemente non sembra essere stato il punto d’arrivo che oggi tutti consideriamo («[…] Forse per quanto riguarda il materiale, il contenuto (Pierrot lunaire di Giraud), non si tratta di una profonda necessità […]»), quanto piuttosto uno studio preliminare a un altro lavoro tratto dalla Seraphita di Balzac, che in effetti fu usata negli anni successivi come ispirazione per le Quattro canzoni orchestrali op.22.
Tuttavia, qui lo stile vocale sembra assolutamente fare dietro front rispetto al Pierrot che, come è noto, ha nello Sprechstimme (l’emissione della voce recitante a metà strada fra parlato e cantato) la novità maggiore, che non è poi così lontana da tanti modi più o meno cantilenanti che ritroviamo nel gusto del teatro di prosa dell’epoca e ovviamente nel cabaret (cui primariamente strizza l’occhio Schönberg), ma anche, viceversa, ad un certo espressionismo “parlante” di molti cantanti d’opera d’allora.
In quest’anno in cui ricorre l’anniversario schönberghiano, le esecuzioni del Pierrot lunaire si sono sprecate, inevitabilmente, essendo probabilmente la composizione più celebre del suo autore.
Non è voluto essere da meno FontanaMIX Ensemble, che ha programmato nella sua rassegna Exitime2024 (vedi qui) questo lavoro in un concerto a tema dal titolo “La voce della luna”, tenutosi, come sempre, presso l’ex chiesa di San Mattia a Bologna, domenica 30 settembre.
Il Pierrot di FontanaMIX però si è distinto da tutti gli altri per una scelta originale che, come giustamente è stato fatto notare, ha reso il concerto una nuova “prima assoluta” di questo lavoro e cioè l’esecuzione nella nuova versione ritmica in italiano a cura di Marcello Panni.
Come ci spiega lo stesso Panni in una bella paginetta di presentazione, nella storia esecutiva del Pierrot (basato su 21 poesie del poeta belga Albert Giraud nella traduzione tedesca di Otto Erich Hartleben), la questione linguistica è piegata ai luoghi e agli interpreti, fra l’altro, a quanto pare rispettando il desiderio dello stesso Schönberg, per il quale le sue opere teatrali, cui Pierrot si può accomunare, «[…]fossero tradotte nella lingua degli ascoltatori, pensando che la comprensione delle parole fosse importante quanto le note […]», con buona pace delle teorie del saggio menzionato in apertura, in cui l’inventore della dodecafonia espone posizioni molto più separatiste fra testo e contenuto musicale.
Il concerto bolognese, quindi, si muoveva sulla falsariga lunare, premettendo al pezzo forte della serata due composizioni: Ghost-Nocturne for the Druids of Stonehenge da Makrokosmos di George Crumb e Tintarella di luna di Olga Neuwirth. Il primo, 100% Crumb, fra manipolazioni nella cordiera del pianoforte e scabri incisi modali cantati dallo stesso pianista Stefano Malferrari, introduceva perfettamente l’ambientazione notturna del concerto con un’atmosfera rituale, cui d’altronde fa riferimento il titolo; dopo questi primi cinque minuti, Malferrari è stato raggiunto dal controtenore Jacopo Facchini che ha cominciato a distillare il suo canto attraversando il pubblico nel buio della chiesa.
Non è ben chiaro il perché del titolo del brano della compositrice austriaca, non essendoci alcun esplicito riferimento alla famosa canzone che Migliacci/De Filippi hanno scritto per Mina. Più chiara l’attinenza lunare, essendo un potpourri di testi di Michelangelo, Leopardi e Saffo ispirati alla “notturna face”. Il brano della Neuwirth, tuttavia, ci è parso sia privo del fascino dei suoi riferimenti letterari, sia musicalmente disperso nel perenne combattimento fra la turbolenta scrittura pianistica e una vocalità sfuggente e rivolta a prevedibili modelli neobarocchi. Ciò detto, entrambi gli interpreti hanno certamente affrontato la prova al meglio e il cammeo di Facchini, nonostante il brano non irrinunciabile, è stato una digressione interessante all’interno di questa palette lunare.
È stato quindi il momento del Pierrot. Interprete scelta da FontanaMIX per questo nuovo adattamento italiano è stata Cristina Zavalloni, poliedrica cantante bolognese e sua affezionata collaboratrice. Zavalloni è, inoltre, potremmo dire una veterana del Pierrot lunaire, col quale l’incontro avviene sin da inizio carriera. Naturalmente la nuova veste ritmica italiana ha necessitato da parte sua di un nuovo approccio a questo capolavoro e tanto studio, che hanno restituito un’interpretazione convincente, soprattutto coinvolgente, a tratti ipnotica e molto più morbida rispetto all’usuale, complice proprio la lingua italiana.
Fra l’altro, dietro stimolo dello stesso Panni, su quel filo di rasoio che abbiamo detto essere lo sprechgesang, la lettura impressa da Zavalloni è stata particolarmente inclinata sulla recitazione, ma senza mai rinunciare alla musicalità e, soprattutto, all’esattezza metrica. Zavalloni inoltre curava anche la concertazione del quintetto ed è qui, quasi più che nella recitazione, che si è mostrata una straordinaria artista: atletica per concentrazione e coordinazione, ha accompagnato la performance con una interpretazione sobria, aiutata da qualche cambio d’abito, e soprattutto, con esatta intuizione, fondendo la necessità dei pochi gesti direttoriali rivolti ai bravissimi strumentisti con la virtù dell’espressività scenica.
Recensione di Diego Tripodi
Visto a Bologna, Exitime2024, nell’ex chiesa di San Mattia, il 30 settembre 2024.
Immagini: amatoriali
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