Di Maria Luisa Abate. Brescia, Teatro Grande: sfolgoranti i soprani Annalisa Stroppa e Benedetta Torre. Lirica e drammatica la direzione di Sebastiano Rolli.   

Alcuni elementi scenografici mobili sorretti e spostati da un reticolo di cavi (i normali “tiri” teatrali) hanno attraversato l’aria, simulando una gabbia che ha rinchiuso l’amore, il sentimento prima ancora che le persone. Circoscrivere l’amore tra Giulietta e Romeo entro una cella, reale o metaforica, non è idea nuova ma ciò che conta è declinarla in modo personale. Così è stato, con lodevole immediatezza espressiva, nella regia di Andrea De Rosa per “I Capuleti e i Montecchi”, tragedia lirica di Vincenzo Bellini che ha inaugurato la Stagione al Teatro Grande di Brescia. Un nuovo allestimento destinato a circuitare, all’aprirsi del prossimo anno, nei teatri di Como, Cremona, Pavia, aderenti a Operalombardia che ha coprodotto assieme a Fondazione I Teatri di Reggio Emilia.

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Il regista ha mostrato due giovani dei nostri giorni, una volta tanto (evviva!) non provenienti dalle periferie degradate, rispettando quindi la shakespeariana nobiltà dei casati. Giulietta abitava in un appartamento lindo e modernamente arredato (scene Daniele Spanò) collocato nel primo atto in una nicchia e sormontato da un cubo dorato, alla fine destinato a diventare il sacello sceso sul corpo di Giulietta apparentemente morta. Le famiglie dei Capuleti e dei Montecchi in total grigio (costumi Ilaria Ariemme) erano divisi in due fazioni / tifoserie da stadio assai composte e la cui appartenenza è stata rivendicata attraverso i cognomi stampigliati sulle sciarpe, poi appese nella tomba come striscioni.

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Vincenzo Bellini ha affidato la parte di Romeo a una donna: terminati da un pezzo i tempi dei castrati e delle voci femminee, forse, al di là delle mille elucubrazioni degli studiosi, il compositore ha voluto molto semplicemente utilizzare un timbro identificativo dell’età adolescenziale del personaggio. Rimasto donna per il regista, almeno nelle intenzioni. Difatti la natura femminile di questo Romeo è stata apertamente mostrata solo in due brevi momenti, in quanto l’interprete, che indossava una stereotipata parrucca dai capelli corti, per quasi tutto il tempo è stata infagottata in pantaloni larghi, felpa, sneakers, in contrapposizione al delicato e svolazzante abitino candido come tradizione vuole di Giulietta, a piedi scalzi. L’intenzione quindi di superare le differenze di genere e di celebrare l’universalità e la neutralità del sentimento è stata portata avanti parzialmente, senza aver osato fino in fondo un contemporaneo gender free.

Chi scrive da sempre nutre una profonda ammirazione per Sebastiano Rolli, esperto nel repertorio belcantista come si è evinto non solo all’ascolto ma, ancor prima, scorrendo le sue note, una mini lectio che ha centrato Bellini con straordinaria lucidità (oltretutto particolarmente ben scritta). Rolli si è posto come “architetto” dell’edificio belliniano con ricercatezza di dettaglio, competenza filologica e fine sensibilità, guidando l’Orchestra ‘I Pomeriggi Musicali’ (con intervento da dietro le quinte della Banda ‘Isidoro Capitanio’ di Brescia) attraverso lirismi fluidi e avvolgenti, come anche in una drammaticità fatta di cambi di colori e di accenti, splendidamente mantenuta di sottofondo ed efficacemente insinuatasi ovunque fino a esplodere con coinvolgente pienezza.

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Abbiamo assistito a una prova aperta riservata ai giovani (educati, silenziosi e attenti) nella quale i cantanti non si sono risparmiati. Nei ruoli protagonistici due fuoriclasse che hanno rivaleggiato in bravura. Intensità drammatica per Annalisa Stroppa, soprano che ha vestito i panni di Romeo mostrando un carattere deciso e animato da impetuosità giovanile. I virtuosismi frutto di tecnica dispiegata con scioltezza, lo squillo sfolgorante e di bella pasta vocale, la proiezione ottima in tutta la gamma dei registri, hanno coronato un canto di grande pulizia, di “maschia” incisività nel timbro caldo e vellutato, nella profondità di sentimento. 

In più che perfetta sinergia d’insieme e in più che perfetta contrapposizione figurativa il carattere dolce ma non passivo, l’animo puro, il sentimento delicato della Giulietta di Benedetta Torre; emissione morbida resa scorrevole dai bei legati, voce luminosa dai colori scelti con attenzione a dare consistenza all’espressività.  

Matteo Falcier, dal gradevole timbro chiaro, era Tebaldo, un temperamento reattivo tuttavia, nell’interpretazione del tenore, talmente sincero nella delusione per le mancate nozze con Giulietta da aver fatto breccia nell’animo degli spettatori. Lorenzo, per Bellini un medico, era Matteo Guerzé, baritono di valore la cui espressività ha poggiato su una tecnica solida. Il padre di Giulietta, Cappelio aveva la voce bene impostata e dai risvolti appropriatamente resi asprigni del basso Baopeng Wang. Apprezzabile infine la pastosità del Coro Operalombardia preparato da Diego Maccagnola.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto a Brescia, Teatro Grande, anteprima giovani mercoledì 25 settembre 2024
Foto Umberto Favretto

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