Di Maria Luisa Abate. Parma, Festival Verdi. Il grande Maestro e l’orchestra giovanile: una miscela fluida e pulita.
Prima di tutto un omaggio a Rossini. Nel concerto esordito con l’ouverture da Guglielmo Tell è salito sul podio Charles Dutoit, al quale è riservato un posto in prima fila nel gotha dei direttori e che nella sua davvero lunga carriera si è anche dedicato al perfezionamento dei giovani. Non stupisce quindi che a Parma si sia posto alla testa dell’Orchestra giovanile “Luigi Cherubini”, formazione nata per inserire nel mondo concertistico i più promettenti artisti usciti dalle accademie e che pertanto presenta un frequente ricambio di elementi. Come ci si aspettava, il suono è risultato particolarmente fresco sotto la direzione di un Maestro dall’età ormai ragguardevole, la cui enorme esperienza si è percepita nella cura che ha riservato alle singole sezioni orchestrali. L’incontro tra il veterano avente l’energia di un ragazzo e i ragazzi dalla maturità artistica pienamente formata, ha dato vita a un inebriante amalgama sonoro che ha confermato il principio fisico dei vasi comunicanti, il quale dice che ponendo due recipienti in comunicazione tra loro, l’acqua in essi contenuti raggiunge una “superficie equipotenziale”. In altre parole, i due “contenitori” artistici, il maestro e gli allievi, posti sullo stesso palcoscenico, hanno miscelato le rispettive potenzialità raggiungendo un medesimo livello qualitativo.
Guglielmo Tell, ultima opera teatrale composta da Rossini che si inserisce nel genere operistico definito Grand Opéra, presenta un’ouverture che, per la completezza dei suoi temi suddivisi in quattro movimenti, viene spesso eseguita come pezzo a se stante. Dutoit ha prestato estrema attenzione ai differenti climi espressivi rossiniani, iniziando dalla sensazione di pace bucolica che il pesarese descrive affidando i suoni della natura alle voci di specifici strumenti. Poi gli impeti della lotta al potere, infine la volontà di libertà dell’eroe (svizzero come il direttore) che guiderà il suo popolo alla vittoria. Un caleidoscopio che Dutoit ha spinto i musicisti a mettere a fuoco prestando attenzione ai cambi di colori, al rapido susseguirsi delle atmosfere.
Dutoit è celebre in special modo per le sue interpretazioni della scuola russa e francese del XX secolo. Il cuore del programma ha infatti riguardato una delle suite che Stravinskij trasse dal suo “L’uccello di fuoco”, opera che contribuì a lanciare il compositore russo naturalizzato statunitense, nell’olimpo musicale. Basato su una fiaba, segnò l’inizio della lunga collaborazione fra Stravinskij e la celeberrima compagnia dei Ballets Russes di Sergej Djagilev.
A Parma, il direttore ha dato risalto sia alle influenze che Stravinskij mutuò dal suo insegnante Rimskij-Korsakov, sia alla spiccata propensione autorale alla fantasiosità, ai rimandi alla tradizione popolare venata da influssi orientaleggianti, in cui è emersa la linea melodica cinta di inventiva cromatica. Senza soffermarsi su una descrittività di tipo pittorico, Dutoit ha assoggettato a questa funzione le dinamiche, i tempi, di nuovo le singole sezioni orchestrali collocate nell’assieme. Una lettura che dai colori cangianti della creatura fantastica, giostrando sui ritmi, è passata alla serie di danze: i tempi irregolari della Danza dell’Uccello di fuoco, la tradizione riemersa nell’elegiaca Danza delle Principesse, l’apoteosi della modernità compositiva di Stravinskij nella Danza infernale del Re Katschei costellata da contrasti dinamici che Dutoit ha evidenziato. Poi l’ultimo movimento, la berceuse in cui gli spiriti malvagi si acquietano e l’Uccello rivela il segreto dell’immortalità, che Dutoit ha fatto coincidere con un’apertura catartica compendiante le diverse anime dell’estetica stravinskiana.
Infine, il programma ha previsto una delle sinfonie più note e amate del XIX secolo, la n.9 in mi minore di Antonín Dvořák, nota come “Dal nuovo mondo”, così chiamata perché il compositore ceco la scrisse durante il suo soggiorno negli States. Vi si ritrovano, pur se mai esplicitamente citati perché la partitura è interamente frutto dell’estro creativo del musicista, gli echi della tradizione europea e il folklore boemo, accanto agli stimoli attinti alla musica indiana e afroamericana, in particolare agli spiritual. In questa sinfonia la direzione di Dutoit si è fatta solenne, grandiosa, attenta a dare equilibrio formale alle strutture ritmiche e alla linea melodica. E al contempo sprigionante quella freschezza che, come detto poc’anzi, è connaturata nell’Orchestra giovanile Cherubini.
Dutoit infatti, principalmente nella prima parte della serata, ha talvolta lasciato a briglia libera l’orchestra intervenendo solo con piccoli cenni; invece, quando necessario, il suo gesto si è fatto rigoroso per dare vita a un’esecuzione in ogni parte pulita, priva di ingessature e di retorica. In sintesi, Dutoit ha saputo quando e come intervenire, quando e come mettere in campo la sua autorevolezza, quando e come dare fiducia ai giovani musicisti.
Il risultato è stato entusiasmante per il pubblico presente al Teatro Regio di Parma, nel secondo appuntamento della rassegna Ramificazioni, novità di questa edizione del Festival Verdi, che alla sua 24a edizione continua ad allargare i propri orizzonti.
Recensione di Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Regio di Parma – Festival Verdi, l’8 ottobre 2024
Foto © Roberto Ricci
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