Di Diego Tripodi. Bologna: l’AI chiude la rassegna Exitime di FontanaMIX.

L’era informatica in cui viviamo, da alcuni anni, mantiene accesa l’attenzione attorno al suo prodotto più avveniristico, l’intelligenza artificiale, termine ombrello per una tecnologia dalle applicazioni (e implicazioni) assolutamente complesse.

Il suo utilizzo in campo artistico/musicale non ha mancato di destare una curiosità che, lungi dall’esaurirsi, si traduce, nella comunicazione di massa, in un fenomeno assolutamente “alla moda” fatto di appariscenti notizie e conseguenti dibattiti: una sinfonia incompiuta di Beethoven ora ultimata, direttori d’orchestra robotici, un singolo dei Beatles finalmente realizzato a 53 anni dallo scioglimento della band, piattaforme che sfornano a comando hit pop fatte e finite, sono solo alcuni esempi divenuti virali e ridotti dalla stessa dimensione virtuale a dei fenomeni da baraccone 2.0.

Clou delle discussioni è sempre l’interrogativo “etico” su uno strumento tecnologico volto a competere con le potenzialità umane; tuttavia, in ambito artistico, si aggiunge anche un interrogativo “estetico”, nella misura in cui questo strumento ambisce anche a un ruolo determinante nei processi creativi in cui viene utilizzato.

Nell’occhio del ciclone di questo tema si è voluto lanciare il FontanaMIX Ensemble per chiudere la sua rassegna Exitime2024, che d’altronde quest’anno titolava “Agli infiniti possibili” e, ancora più esplicitamente, sottotitolava “da Luigi Nono all’intelligenza artificiale”. Martedì 15 ottobre 2024, dunque, si sono chiuse le porte dell’Officina San Mattia per i fedelissimi della rassegna bolognese, almeno fino a nuova programmazione, dopo il concerto “Umano, troppo umano: un nuovo modo di fare musica”.

Ospite e protagonista era Alex Braga, artista, musicista, produttore, autore e conduttore radiofonico e televisivo, didatta e, soprattutto, pioniere italiano nell’uso dell’AI in musica, essendo creatore di A-MINT (un’intelligenza artificiale adattiva che lavora in tempo reale e interagisce con gli artisti su parametri audio e visivi), proprio in funzione della quale era studiata l’esibizione.

Questa era sostanzialmente una sorta di concept autoreferenziale e multimediale, poiché l’intelligenza artificiale non era solo strumento nelle mani del performer, bensì la tematica della stessa performance, che consisteva di suono e immagine: difatti, si seguivano in alternanza momenti strumentali elettronici, ad accompagnare video con argomenti-spot in sovrimpressione, con numeri cantati su testi strettamente connessi al contenuto della didascalia precedente. Le didascalie riportavano i dati e le proiezioni di un futuro prossimo in cui l’AI la fa da padrona, mettendo in luce gli aspetti più inquietanti e distopici di questo Sacro Graal della modernità (sfruttamento enorme di risorse naturali ed economiche, controllo sociale, risvolto come sofisticata tecnologia bellica, causa di disoccupazione e alienazione senza pari).

Naturalmente, dietro l’angolo c’era anche una morale pronta a ribaltare questa catastrofica prospettiva, nonché autoevidente: A-MINT è un’intelligenza artificiale etica, a scarso impatto ambientale e con finalità benefiche, che lascia allora ben sperare nelle magnifiche sorti e progressive. Insomma, il ben noto argomento pharmakon, che puntualmente compare quando il tema è una tecnologia “dagli infiniti possibili” (tanto per omaggiare gli ospiti della serata): veleno e al contempo cura.

È dunque questo il futuro della musica? Al netto dello scontro fra un transumanesimo sfrenato e un luddismo intransigente, Braga sembra risponderci con la sua esibizione/dimostrazione semplicemente che è molto di più: the future is now.

La storia della musica è ovviamente anche storia di come quest’arte abbia incrociato radicali mutamenti tecnologici: l’editoria, il pianoforte, il fonografo, il magnetofono, solo per non rinunciare anche noi ai soliti luoghi comuni. Si trattava tuttavia di condizionamenti, radicali quanto si vuole e capaci di sovvertire costumi e ordini di pensiero, ma pur sempre condizionamenti; ora si parla di qualcosa di inedito, assolutamente degno di scatenare le più grandi paure e i più grandi ottimismi: una reale intromissione della tecnologia nel processo creativo. In definitiva, ci sembra che l’interrogativo che resti sia il vecchio adagio: il gioco vale la candela? Ossia, qual è l’esatto bilanciamento tra guadagno e perdita? Naturalmente non si parla di utili, bensì di poesia. Cosa ne penserebbe Benjamin? L’auralità dell’arte non è mai stata così lontana.

Recensione di Diego Tripodi
Visto a Bologna, ex chiesa San Mattia per Exitime, il 15 ottobre 2024
Immagine di repertorio: Rothko Museum

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