Di Maria Luisa Abate. Mantova Teatro: inaugurazione di Stagione con lo spettacolo che vanta elementi scenografici firmati da Michelangelo Pistoletto.

Debuttato ufficialmente nel 2023 all’Estate Teatrale Veronese dopo aver avuto una anteprima a Napoli, “Aspettando Re Lear” continua a mietere successi nella sua lunga tournée. Lo spettacolo ha inaugurato la prima parte della Stagione 2024 – 2025 di Mantova Teatro, rassegna di prosa fiore all’occhiello del più ampio cartellone del Teatro Sociale di Mantova. Una rilettura shakespeariana che ha strizzato l’occhio anche al tema dell’attesa magistralmente indagato da Beckett.

Confermiamo il giudizio più che positivo espresso al debutto di questa co produzione Pato / TSV Teatro Stabile del Veneto / Teatro della Toscana, che adesso si è presentata, ovviamente, in veste ancora più rodata, ancora più rifinita nei dettagli interpretativi.

Una straordinaria accoppiata, quella tra il regista e attore Alessandro Preziosi e Michelangelo Pistoletto, tra i massimi esponenti della corrente dell’“arte povera”, le cui opere sono state utilizzate come “oggetti di scena”. Questa, la base visiva da cui è nato lo spettacolo, di eccelso livello qualitativo, solidamente strutturato sia sotto al profilo registico che scenografico, drammaturgico e attoriale. Elementi che hanno attinto ispirazione e forza l’uno dall’altro, risultando complementari oltre che compenetrabili, interagenti e assonanti.

Nel 2023, come si diceva anno di debutto di questo spettacolo, un’opera di Pistoletto collocata in una piazza di Napoli era stata incenerita da un vandalo. Atto premeditato per l’imbecille, fu fatalità o sorte per l’installazione distrutta. Il caso, quindi, fa sì che l’arte possa sopravvivere al tempo oppure vada perduta. Proprio quel “caso” che è il fulcro del pensiero artistico-filosofico di Pistoletto e che abbiamo ritrovato come elemento cardine dello spettacolo.

Come già avevamo avuto occasione di scrivere, l’adattamento della tragedia di Shakespeare operato da Tommaso Mattei, con l’ausilio delle musiche originali di Giacomo Vezzani, ha proiettato il testo in un’ottica contemporanea confermando i corsi e ricorsi storici della società, con le sue cicliche contraddizioni e criticità, iniziando dal difficile rapporto tra padre e figli (sui quali ricadono le colpe dei genitori) per culminare con il tempestoso e oscuro percorso che affronta l’uomo quando si pone alla ricerca di se stesso.

Sostanziali alla narrazione, a tutti gli effetti co-protagonisti, gli elementi pistolettiani in scena: un arco di mattoni a far da cornice a uno specchio, richiamo alla serie delle opere “specchianti”; una struttura quadrata a cingere due sedute dall’esplicativo titolo “Quadro da pranzo”; una porta strozzata al centro come una clessidra, forma ripresa anche nel bavero del trench di Lear (costumi ecosostenibili e scomponibili per una significativa svestizione, di Cittadellarte Fashion B.E.S.T.); una ringhiera multiuso, pulpito e scogliera dalla quale affacciarsi; una panca sotto la quale era posta una sfera; il pavimento su cui era disegnato il simbolo dell’infinito, altro elemento chiave nella poetica di Pistoletto; infine una struttura ondulata di cartone snodata fino a formare un labirinto. Mentale, ovviamente. Il labirinto della tempesta che sferza Lear, il suo turbamento esteriore (la pazzia) e interiore (sempre la pazzia) nel trovarsi ad attraversare il nulla, il vuoto che deve superare l’uomo per recuperare la propria natura dopo averla decostruita, dopo averla privata degli orpelli artificiosi.

Lear è incapace di amare, ama solo se stesso e il potere derivatogli dalla posizione di comando. Ma il suo percorso lo porterà, da Re, a riscoprirsi uomo. Fino all’atto conclusivo di questa specifica versione, in cui Lear e la figlia Cordelia se ne sono andati assieme a braccetto, dopo aver forgiato ex novo un rapporto di affetto parentale. Lo specchio inserito nell’arco ha accompagnato questo processo, mostrando a ciascun personaggio la sua natura riflessa: una immagine distante dal soggetto eppure coincidente con il soggetto stesso. Una narrazione quindi svolta secondo le regole di un caos ordinato, del “caso” che ha trovato esplicazione logica nella consequenzialità.

Su ispirazione proceduta in parallelo, la regia di Preziosi ha applicato il concetto di “caso” a Shakespeare, e ha ricollocato gli oggetti in uno spazio non fisico ma di valori. La tragedia era condensata in quattro figure simbolo: il Re, il Figlio, il Servo, il Pazzo (in realtà cinque personaggi), da intendersi come chiavi di lettura per accedere all’universo shakespeariano, la cui inventiva linguistica è rimasta stupefacentemente integra in questa drastica potatura drammaturgica. Le figure/chiave hanno guidato attraverso la tempesta Lear, che in loro ha visto riflessa la sua essenza, quasi come se i personaggi fatti muovere dal regista Preziosi avessero moltiplicato metaforicamente la superfice specchiante di Pistoletto.

Se da un lato Preziosi, in veste di regista, ha saputo mantenere sempre alta la tensione drammatica, che non ha avuto alcun momento di cedimento, dall’altro ha dimostrato un ulteriore incremento nella propria maturità attoriale. Interprete sopraffino, maestro di inflessioni vocali ed espressività fisica, del viso e del corpo, Preziosi ha sostenuto una prova intensa, profonda, superlativa.

Era attorniato da attori d’equivalente valore qualitativo, impegnati a dar vita a personaggi che, già in Shakespeare, sovvertono l’ordine sociale, a iniziare dal Re spodestato di cui ha vestito i panni Preziosi. Poi Roberto Manzi, Conte di Kent prestatosi a fare il servitore per fedeltà al sovrano, presenza pressoché fissa in scena, sostenuta con incisività; Nando Paone, aristocratico nell’impersonare Gloster, non ancora accecato e perciò incapace di vedere; Valerio Ameli estroso al punto giusto nella parte sfaccettata di Edgar mendicante pazzo, figlio del Conte. Unico cambio nel cast, rispetto a un anno fa, Arianna Primavera nel ruolo di Fool, che ha spinto il Re a recuperare la parola (shakespeariana) stuzzicandolo con ironici giochi verbali, fino a trasformarsi nella figlia Cordelia, figura salvifica.

Come si diceva, e come già avevamo scritto, Lear /Preziosi è passato, magistralmente, dall’arroganza del Re all’umiltà dell’uomo, dall’incapacità di amare altri se non se stesso alla follia che è uno stadio verso la consapevolezza. La pazzia è condizione indispensabile per ritrovare il senno, la ragione.

Metafora della condizione umana, della sua caducità e della sua capacità di rigenerarsi, il Re, che tutto possiede, si è trovato solo, al cospetto del nulla, dapprima rimanendone turbato, poi accettando la constatazione che anche il potere, per la sua provvisorietà, sia nulla, sia la non permanenza del tempo – come indicato dallo specchio e dalla porta a clessidra – e pone l’uomo in una condizione di attesa beckettiana.

Abbiamo assistito quindi alla sublimazione chimica del Terzo Paradiso di Pistoletto, quel simbolo dell’infinito (a Mantova, dalla platea, non lo abbiamo visto tracciato sul palcoscenico ma supponiamo ci fosse) che ha rappresentato la conquista di un equilibrio tra la natura primigenia e l’artificiosità dei bisogni dell’uomo, il raggiungimento di un ordine nel caos. Così, lo spettacolo ha chiuso il suo cerchio narrativo trovando, nella congiunzione formale tra i suoi vari elementi costitutivi, soluzione al “caso”, alla non ripetibilità – ma piuttosto circolarità – del tempo.

Recensione Maria Luisa Abate
Visto al Teatro Sociale di Mantova il 23 ottobre 2024
Immagini:  Francesco Consolini

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