Di Maria Luisa Abate. Mantova, Tempo d’Orchestra: strumenti straordinari per uno straordinario Quartetto.

È un’indiscussa eccellenza del panorama cameristico internazionale. Non è questo il solo pregio del Quartetto Gringolts. Senza nulla togliere alla strepitosa bravura dell’ensemble, c’è un’altra ragione per cui i concerti che lo vedono protagonista sono delle chicche imperdibili. Infatti oltre alle sonorità provenienti dalla sensibilità degli interpreti, il carico da novanta è costituito dalla voce dei loro eccezionali strumenti: Ilya Gringolts suona uno Stradivari del 1718 “ex Prové”; Anahit Kurtikyan un Camillo Camilli del 1733; Silvia Simionescu una viola di Giacomo Gennaro del 1660; Claudius Hermann uno straordinario violoncello Maggini del 1600, appartenuto in passato al Principe Galitzin, intimo amico di Beethoven, che per primo eseguì gli ultimi quartetti del grande compositore tedesco su questo strumento.

Abbastanza per far venire l’acquolina in bocca anche al pubblico più esigente, come è quello che premia la Stagione mantovana Tempo d’Orchestra proposta da Oficina OCM.  Era al massimo della sua capienza la Sala delle Capriate, che se per certi aspetti ha fatto rimpiangere il Teatro Bibiena al momento chiuso per restauri, dall’altro si è in questo caso rivelata un pregio per aver consentito un ascolto estremamente ravvicinato, azzerando quella distanza fisica che i teatri comportano. Infatti la musica da camera si chiama così perché era destinata ad essere eseguita per l’appunto in stanze, rivolgendosi a pochi ascoltatori che sperimentavano il rapporto diretto di complicità con i musicisti. Il primo brano in programma fu per la prima volta suonato nella sontuosa reggia del principe Esterhàzy, certamente più spettacolare della spoglia Sala delle Capriate; ma a far affiorare nell’immaginazione gli splendori di ori e fregi è bastato il Quartetto Gringolts.

La serata si è aperta con il Settecento di Haydn, precisamente il Quartetto in mi maggiore op.17 n.1 Hob.III:25. Titolo complesso per un brano che contribuì alla spinta innovatrice caratterizzante l’intero percorso artistico di Haydn. Un costrutto nuovo quindi, oltretutto presentante non poche difficoltà tecniche, che il Gringolts ha posto in risalto con grazia e, una delle tante costanti dell’ensemble, con quella gioiosità che scaturisce dal fare musica. In questo caso rivelatasi particolarmente indicata in quanto il brano fa parte, come è stato ricordato nelle note di sala, di una serie di sei pubblicata nel 1771 con il titolo “Divertimenti”. Gioiosità quindi e perfetta compenetrazione tra le esigenze virtuosistiche e quelle armoniche.

Atmosfere lunari esecutive, come d’una opalescenza velata da qualche nube, nella Serenata italiana in sol maggiore di Wolf. Composta nel 1887, racchiude i turbamenti che contrassegnarono la vita breve e travagliata del musicista sloveno, ma anche il suo slancio poetico tradotto in una variegata tavolozza armonica. Sulla quale ha fatto di nuovo aggraziata presa il Quartetto per spaziare nell’universo espressivo autorale e renderlo incredibilmente vivo e palpitante, carico di suggestioni e inquietudini, di respiri e di abbandoni.  

Dopo l’intervallo è spirata lieta la ventata di Schubert e del Quartetto n.15 in sol maggiore D887, datato 1826, e che, benché reciti nei tempi di tre dei suoi quattro movimenti l’indicazione “allegro”, in realtà è frutto di un periodo per l’autore non roseo. Una gaiezza intesa come ricerca desiderio e aspirazione dell’anima, pertanto una condizione transitoria e venata di malinconia. Qui il Quartetto Gringolts ha messo in campo una tavolozza coloristica cangiante, altrettanto ricca di suggestioni espresse quanto di sottintese nondimeno percepibili all’ascolto. Bis nel nome di Dvořák con Cypresses for string quartet, arrangiamento strumentale dello stesso compositore su una delle sue canzoni d’amore, a concludere la serata con dolcezza e speranza.

Un concerto in cui si sono confermate le caratteristiche stilistiche che hanno reso celebre nel mondo il Quartetto Gringolts, dall’intonazione perfetta, alle dinamiche attentamente bilanciate e finalizzate alla funzionalità dell’assieme basato su sguardi complici tra i musicisti; dalla compattezza dell’architettura sonora, alla sua filigrana dorata attraverso la quale è filtrata la luce; dalla tecnica sopraffina e lussureggiante, alle sfumature sofisticate tramutatesi magicamente, come diretta conseguenza, in espressività. E dove le inquietudini sono sfociate in trasparenze, trasmutate in delicatezza, in una incisività non urlata, non in cerca dell’effetto eclatante ma di una radiosità multisfaccettata volta a creare quella “semplice” atmosfera dello stare bene assieme, chi facendo, chi ascoltando musica. A questa sensazione ci si è abbandonati, sereni, dalla prima all’ultima nota, beandosi della bellezza sconvolgente e della capacità consolatoria, pacificatrice, della musica.

Recensione di Maria Luisa Abate
Visto a Mantova, Sala della Capriate – Tempo d’Orchestra, il 28 novembre 2024
Foto MiLùMediA for DeArtes

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