Fondazione Memmo: artisti italiani e stranieri di sede a Roma. Tema: il Ponentino, il vento estivo che arriva dal mare.
«Le opere d’arte hanno un’anima? Si parla oggi di un nuovo animismo – spiega Marcello Smarrelli – evidente in ambito artistico nell’attitudine ancestrale di considerare le opere non tanto come oggetti quanto come soggetti. Da questa domanda prende le mosse la mostra, partendo dalla simbologia del vento da sempre considerato metafora della vita e del manifestarsi del divino».
La Fondazione Memmo presenta, dal 14 dicembre 2024 al 30 marzo 2025 a ingresso libero, “In una brezza leggera”, decimo capitolo di Conversation Piece, ciclo di mostre con cadenza annuale a cura di Marcello Smarrelli, nato con l’intento di restituire una panoramica degli artisti italiani e stranieri che scelgono Roma come luogo di residenza e di ricerca.
Un progetto curatoriale di grande successo che ha già visto la partecipazione di oltre cinquanta artisti tra i più interessanti della scena internazionale.
Per questa nuova edizione sono stati invitati: Bianca Bondi (1986, Sudafrica. Pensionnaire 2024-2025 presso Accademia di Francia a Roma – Villa Medici); Enzo Cucchi (1949, Italia) con un’opera collettiva realizzata insieme ad Andrea Anastasio, Francesco Arena, Marc Bauer, Elisabetta Benassi, Carlo Benvenuto, Domenico Mangano; Sidival Fila (1962, Brasile); Vanessa Garwood (1982, Regno Unito); Richard Mosse (1980, Irlanda. Philip Guston Rome Prize 2024-2025 presso American Academy in Rome).
Anche per il decimo capitolo, come di consueto, agli artisti è stato proposto un tema di carattere universale ma, al tempo stesso, legato alla città di Roma e alla sua storia millenaria.
IL TEMA
In una brezza leggera prende le mosse da un elemento atmosferico caratteristico e identitario della Capitale: il Ponentino, un vento estivo e leggero che arriva dal mare, così popolare da essere cantato negli stornelli romaneschi, amato da autori come Fellini che lo voleva protagonista del suo film Roma, complice reale o immaginario di tante storie d’amore.
Tratto dal racconto biblico in cui il profeta Elia incontra Dio in una brezza leggera, il titolo fa riferimento alla creazione dell’uomo, plasmato nella polvere e animato da un alito divino, alla mitologia greca con la personificazione di Zèfiro, alla filosofia attraverso lo pneuma considerato origine di tutte le cose.
Una domanda aleggia potentemente su questa mostra: le opere d’arte hanno un’anima? L’anima è un “soffio”, un ànemos, un vento leggero che sopravvive alla morte fisica del corpo. Le opere d’arte, allo stesso modo, sopravvivono al tempo, diventando la testimonianza di un processo spirituale e metafisico, di una koinè culturale trasmessa alle generazioni future.
Molti filosofi e antropologi contemporanei affermano che un nuovo animismo si stia facendo strada in Occidente, con un allargamento del concetto di anima oltre i confini della specie umana, fino a comprendere il non umano. L’arte è certamente la sfera in cui il fenomeno si manifesta con evidenza, nell’attitudine sempre più diffusa di considerare le opere non tanto come oggetti quanto come soggetti.
Attraverso un percorso di opere site-specific o esposte per la prima volta a Roma, la mostrausa la metafora del vento declinandola attraverso i più svariati aspetti: il soffio vitale, la presenza dello spirito negli esseri viventi e nelle cose, il manifestarsi dell’anima e del divino.
APPROFONDIMENTO. LE OPERE ESPOSTE
Scirocca, la scultura realizzata nel 2005 da Enzo Cucchi con Andrea Anastasio, Francesco Arena, Marc Bauer, Elisabetta Benassi, Carlo Benvenuto, Domenico Mangano, è il totem che introduce il visitatore in questo singolare percorso espositivo. Realizzata in marmi di diverso colore e altri materiali eterogenei, tra cui il fumo, l’opera deve il suo nome al vento caldo del borgo marinaro delle Marche dove è stata concepita. Un ibrido curioso, nato da un gioco proposto da Cucchi ad un gruppo di amici artisti, per realizzare un cadavre exquise scultoreo alla maniera di quelli disegnati dei surrealisti.
La pratica artistica di Bianca Bondi prevede l’attivazione o l’elevazione di oggetti banali attraverso l’uso di reazioni chimiche. I materiali con cui lavora sono scelti per il loro potenziale trasformativo o per le loro proprietà intrinseche, sottolineando l’interconnessione delle cose nel mondo, la loro transitorietà e rivelando i cicli della vita e della morte. Attraverso questo processo l’artista conferisce agli oggetti inanimati una rinnovata essenza vitale, influenzata da una forza invisibile che ne guida la trasformazione. Per la mostra ha realizzato Pneuma (2024), un’installazione ambientale site-specific composta da diversi contenitori in vetro, di altezze variabili, riempiti con liquidi salini saturi e sovrastati da bouquet di fiori selvatici artificiali e rami, insieme ad alcune corde decorate con prismi, parti di lampadari e frammenti di oggetti di epoca romana. Nel tempo di durata della mostra l’acqua, a causa del processo di risalita, cristallizzerà sulle corde diventando la rappresentazione immaginaria del respiro dei fiori sospesi nello spazio.
Frate minore francescano, Sidival Fila fonda la propria ricerca artistica sul riutilizzo di materiali dismessi, principalmente tessuti antichi quali lino, cotone, seta, canapa e broccato. Alla base di questa pratica risiede l’idea di liberare l’oggetto dalla sua condizione “materiale” per conferirgli una nuova potenzialità espressiva. Sottraendo funzionalità al tessuto, l’artista restituisce piena “voce” all’anima di materiali e oggetti, dando a ciascuna opera la possibilità di raccontare del suo passato fatto di secoli di storia e di memorie. In mostra è presente un nuovo nucleo di opere, tra cui spicca Metafora Giallo 35 (2024), un polittico di grandi dimensioni realizzato con 35 elementi, disposti ad angolo sulle due pareti perimetrali della sala, che compongono un’installazione liminare tra pittura e scultura, in cui superficie e spazio dialogano tra loro. Delle antiche travi in legno (1650 c.) rivestite di un damasco bianco risalente al XIX secolo, sono assemblate e cucite insieme a formare due strutture primarie sospese nello spazio, evocando elementi architettonici archetipici, come il trittico dalla forma di monofora goticheggiante, realizzato con seta moiré risalente al XVIII secolo. Infine, l’opera composta di velluto in seta bianca cucita a telaio appare come una riflessione sul lavoro manuale quale pratica meditativa che sublima la materia.
Prendendo spunto dal Ponentino come complice che spira sollecitando in modo invisibile le persone, Vanessa Garwood sperimenta per la prima volta un intervento di expanded painting. La sua pratica pittorica parte dall’osservazione di donne colte in momenti intimi o quotidiani. Il suo approccio è fortemente empatico nei confronti del soggetto di cui “cattura” l’essenza personale e intangibile, realizzando immagini sospese nel tempo, ma comunque attuali. L’installazione Give me a hand to say yes (2024) è composta da un olio su tela e da un intervento pittorico su muro, entrambi ispirati agli antichi rituali che vedevano protagonista la danza. I gruppi di figure femminili che si librano nell’aria, provenienti dalla Tomba delle Danzatrici (IV sec. a.C) rinvenuta a Ruvo (Bari), diventano portatrici di una moderna coscienza collettiva che si ricollega al passato. Immersi in questo spazio si ha la sensazione di essere sfiorati da un vento invisibile che invita ad unirsi al ritmo della danza entrando in relazione con l’energia vitale della luce e del colore
Nel suo lavoro Richard Mosse esamina la funzione delle tecnologie militari e industriali, anche dal punto di vista materiale, usando le sue riflessioni per produrre documentazioni fotografiche cariche di significato, allo scopo di decodificare i sistemi di potere invisibili all’interno delle immagini. In mostra una serie di opere realizzata ad est della Repubblica Democratica del Congo, tra il 2010 e il 2015, in cui Mosse ha impiegato la pellicola fotografica a raggi infrarossi Kodak Aerochrome, oggi fuori produzione, originariamente destinata al targeting delle tute mimetiche dei soldati.
La Kodak Aerochrome, progettata dall’esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale, ha trovato ampio uso anche nelle scienze della terra, in particolare nella mineralogia. Ogni centimetro di terra delle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo, ricco di risorse, è stato mappato con questa pellicola dalle multinazionali, per cercare minerali preziosi come il coltan, il cobalto, la cassiterite e altri metalli essenziali a mantenere e sviluppare le nuove tecnologie. Un’attività di estrattivismo che è stata fonte di aspri conflitti e instabilità politica nella regione, provocando lo sfollamento di milioni di persone e generando immense sofferenze umane.
La mostra sarà accompagnata da una pubblicazione in uscita nella primavera del 2025.
C.S.m.
Fonte: comunicato stampa 13 dicembre 2024
Immagine: In una brezza leggera. Foto Daniele Molaioli
IN UNA BREZZA LEGGERA
CONVERSATION PIECE | PART X
14 dicembre 2024 – 30 marzo 2025
Ingresso libero
Fondazione Memmo
via Fontanella Borghese 56/b, Roma
info@fondazionememmo.it
www.fondazionememmo.it
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