VILLÆ di Tivoli. Villa Adriana: pittura murale in età adrianea. Villa d’Este: produzione artistica del Novecento. Santuario di Ercole Vincitore: i fiamminghi.

[Decorazione pittorica da Villa Adriana, Collezione Privata, Tivoli, Inizio XIX sec. , Incisione ad acquerello 
Foto Q. Berti]

SOTTO IL SEGNO DEL CAPRICORNO. LA PITTURA IN ETÀ ADRIANEA
19 dicembre 2024 – 30 marzo 2025
Villa Adriana, Tivoli

La mostra indaga lo stato dell’arte della pittura murale del periodo adrianeo (117-138 d.C.) all’interno della residenza imperiale.

Nelle sale dei Mouseia sono esposti alcuni degli oltre cinquecento frammenti pittorici, il cui rinvenimento nell’area della così detta “Palestra” ha permesso di aggiungere un importante tassello di conoscenza sul tema poco indagato della pittura a Villa Adriana. Ad arricchire il percorso espositivo sono presentati per la prima volta gli affreschi dall’area del così detto Macchiozzo, dopo un delicato restauro. Inoltre, in occasione della mostra, è possibile visitare gli ambienti solitamente chiusi al pubblico delle sostruzioni occidentali del Canopo, dove le volte sono decorate da affreschi policromi con composizioni vegetali e motivi zoomorfi, che ispirano il titolo della mostra. Negli stessi ambienti sono allestiti alcuni dipinti murali staccati negli anni Settanta dalla decorazione della volta a botte del Serapeo.

Organizzata dall’Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este – VILLÆ e curata dal Direttore Andrea Bruciati con Veronica Fondi, restauratrice e conservatrice dell’Istituto, l’esposizione pone l’accento sulle ultime preziose scoperte di intonaci dipinti, per la prima volta in dialogo con le più note testimonianze pittoriche del complesso tiburtino ancora in situ.

[Pannello con frammenti di intonaci dipinti e a stucco, su supporto in legno e gesso, proveniente dai depositi di Villa Adriana Foto. V. Fondi]

LA MOSTRA
Le fonti ci trasmettono un’immagine della villa variopinta e vivace e insieme a stucchi, mosaici e sectilia, anche la pittura contribuiva sensibilmente alla cospicua policromia del luogo.

Nel II secolo d.C. la pittura va progressivamente semplificandosi e destrutturando i precedenti sistemi decorativi, prediligendo disposizioni lineari, esili e leggere, dove le pareti vengono scandite da semplici cornici colorate che inquadrano sintetici elementi o scenette schizzate rapidamente, superando così la pesantezza decorativa di età Flavia (dal 69 al 96 d.C.).

In questo contesto, la pittura di età adrianea si colloca in una posizione di passaggio, dove convivono elementi mutuati dalle ricche decorazioni a grottesche, grandi campiture monocrome, spesso in giallo e rosso, figure antropomorfe ed elementi tratti dal mondo vegetale, assieme a disposizioni già più ariose e leggere, specie negli ambienti semi sotterranei e nei criptoportici, dove prevalgono i fondi bianchi su cui si vanno profilando filiformi ed eleganti tripartizioni, eseguite mediante fasce colorate o sottili pilastrini.

Le testimonianze di questo periodo sono individuabili, in ambito romano, in alcune domus dell’Aventino, nella così detta domus di Vigna Guidi sotto le Terme di Caracalla e nelle Stanze Piranesi presso il Palazzo della Villa di Massenzio, e infine nel contesto ostiense, come nella Casa delle Muse e nella Casa delle Ierodule. Con questi esempi Villa Adriana si relaziona con tratti non sempre sovrapponibili ai contesti coevi, ma è rilevante specificare come spesso il sito tiburtino offra un panorama peculiare.

Inoltre, le testimonianze pittoriche della Villa risultano numericamente ridotte, sebbene raccontate da diverse notizie antiquarie, dal Rinascimento all’inizio dell’Ottocento, come particolarmente ricche e preziose; le addizioni dai recenti ritrovamenti offrono, in questo senso, un contributo fondamentale per lo studio degli apparati decorativi pittorici e per l’approfondimento e la comunicazione dei nuovi dati acquisiti sui materiali costitutivi e sulle tecniche esecutive.

Le sale dei Mouseia accolgono una selezione tratta dai numerosi frammenti pittorici inediti (più di cinquecento), scoperti nel 2021 all’interno di un ambiente ipogeo situato nell’area della così detta “Palestra”, individuato sotto la pavimentazione moderna nel corso di un progetto di indagine, recupero e valorizzazione, denominato ‘Valle Picta’; tale straordinario rinvenimento ha permesso di aggiungere un importante tassello di conoscenza sul tema poco indagato della pittura della Villa, allo stesso tempo aprendo la sfida allo studio e al tentativo di inquadramento di questo eccezionale giacimento, raccolta dall’equipe dell’Università di Tor Vergata.

Brani di intonaci e stucchi dipinti senza indicazioni di provenienza erano già noti a Villa Adriana, conservati all’interno dei depositi, restaurati e raccolti, nel secolo scorso, in veri e propri quadretti, quasi a richiamare lo stile dei pastiches di frammenti pompeiani. Tre di questi pannelli, esposti nel 2023 a San Paolo del Brasile, sono mostrati qui accompagnati da prime ipotesi di contestualizzazione.

Di grande rilevanza è poi la testimonianza offerta dai rivestimenti pittorici emersi durante le campagne di scavo condotte in concessione negli ultimi anni, nell’area del così detto “Macchiozzo”, dalla Columbia University di New York nell’ambito del progetto APAHA-Tibur.

All’interno di un edificio a medianum sono venuti alla luce soffitti dipinti di età adrianea, studiati e minuziosamente ricomposti nel 2017 all’interno di un workshop internazionale ad essi dedicato, organizzato dall’École française de Rome, l’Università di Poitiers, il laboratorio AOROC e il Centro Studi Pittura Romana Ostiense.

Di tale mole di materiale, alcune aree più significative e ben conservate di uno dei soffitti sono per l’occasione restaurate e per la prima volta presentate al pubblico, fruibili sia dal lato decorato che da quello opposto, prezioso per le tracce perfettamente leggibili della tecnica esecutiva che suggeriscono come fosse costruita questa tipologia di soffitto.

Una delle rare attestazioni di estese superfici di pittura murale della Villa (circa 250 mq) è rappresentata dalla decorazione della volta a botte dell’ambulacro monumentale nel complesso del così detto “Serapeo”. Tale rivestimento è stato, negli anni 1976-78, oggetto di distacco dalle strutture murarie originarie e trasporto su nuovi supporti sagomati, con l’obiettivo di una ricollocazione in loco dopo il risanamento dell’ambiente. Tale intervento ha trasformato questi dipinti murali in opere mobili, che giacciono negli ambienti antichi delle sostruzioni occidentali del Canopo, solitamente chiusi al pubblico. In occasione della mostra è possibile accedere a questa zona e visionare uno dei pannelli distaccati recante decorazioni policrome con riquadri geometrici, un tempo campiti da motivi vegetali. Gli stessi ambienti che ospitano i pannelli posseggono volte decorate ad affresco (di possibile datazione posteriore al periodo adrianeo), caratterizzati da decorazioni lineari policrome concentriche su fondo bianco con composizioni vegetali e motivi figurativi zoomorfi, di ispirazione per il titolo della mostra stessa.

Infine, il tema della pittura murale considera tutte quelle testimonianze presenti ancora in situ: motivo per il quale la mostra è stata concepita in stretto e continuo dialogo con la Villa e le sue architetture dipinte, raccontate attraverso immagini in video, ma anche mediante visite guidate all’interno dei monumenti che ancora recano le tracce della decorazione pittorica originale, siano esse fruibili all’interno dell’attuale percorso di visita (come le Piccole Terme, gli Hospitalia, il Triclinio Imperiale), o siano esse invece parte di aree solitamente chiuse al pubblico (come il Criptoportico della Peschiera e il così detto Giardino-Stadio).

[Allestimento Foto: Ufficio Stampa ADS]

LA VIA LATTEA
DECLINAZIONI DI BIANCO NEL XX SECOLO
7 dicembre 2024 – 16 marzo 2025
Villa d’Este, Tivoli

La mostra intende indagare il concetto di bianco all’interno della produzione artistica del Novecento, proponendo un dialogo inedito tra la contemporaneità e il codice classico, inserendo la disamina all’interno di quei segni che caratterizzano la città di Tivoli e la sua storia: dall’ambiente monocromo dei marmi statuari dei Mouseia di Villa Adriana alle cave esauste di travertino fino alle acque albule, con i sedimenti calcarei e il loro biancore che sembrano caratterizzare un paesaggio millenario nelle istanze della contemporaneità.

Organizzata dall’Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este – VILLÆ e curata da Andrea Bruciati,Direttore dell’Istituto, il progetto espositivo elegge a protagonista la tabula rasa intesa come azzeramento, ma anche come pagina su cui riscrivere le ricerche artistiche del XX secolo – dall’astrattismo allo spazialismo, dall’arte povera e concettuale alla performance – in cui il monocromo si configura sia come codice di riduzione e annientamento della soggettività, sia come spazio aperto che vive delle sensazioni del fruitore dell’opera.

Grado zero del colore e del gesto creativo, grazie a nomi quali Lucio Fontana, Piero Manzoni e Alberto Burri, il bianco è diventato manifesto di nuove riflessioni artistiche, in particolare nel panorama italiano.

LA MOSTRA
In mostra a Villa d’Este le opere di Stefano Arienti (Asola, 1961), Gianfranco Baruchello (Livorno, 1924 – Roma 2023), Mirella Bentivoglio (Klagenfurt, 1922 – Roma, 2017), Carlo Benvenuto (Stresa, 1966), Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994), Agostino Bonalumi (Vimercate, 1935 – Desio, 2013), James Lee Byars (Detroit, 1932 – Il Cairo, 1997), Vanessa Beecroft (1969, Genova), Antonio Calderara (Abbiategrasso, 1903 – Lago d’Orta, 1978), Pier Paolo Calzolari (Bologna, 1943), Giuseppe Capogrossi (Roma, 1900 – Roma, 1972) Enrico Castellani (Castelmassa, 1930 – Viterbo, 2017), Mario Ceroli (Castelfrentano, 1938), Mario Dellavedova (Legnano, 1958), Lucio Fontana (Rosario,1899 – Comabbio 1968), Mario Giacomelli (Senigallia, 1925 – 2000), Alberto Giacometti (Borgonovo, Bregaglia, Svizzera, 1901 – Coira, Svizzera, 1966), Francesco Lo Savio (Roma, 1935 – Marsiglia 1963), Piero Manzoni (Soncino, 1933 – Milano 1963), Marino Marini (Pistoia, 1901 – Viareggio, 1980), Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano 1986), Bruno Munari (Milano, 1907 – 1998), Gastone Novelli (1925, Vienna, Austria – 1968, Milano), Gina Pane (Biarritz, 1939 – Parigi 1990), Giulio Paolini (Genova, 1940), Emilio Prini (Stresa, 1943 – Roma, 2016), Angelo Savelli (1911, Pizzo – 1995, Brescia), Arcangelo Sassolino (Vicenza, 1967), Sissi (Bologna, 1977) e Kiki Smith (Norimberga, 1954).

Attraverso le opere esposte e il costante rimando paesaggistico e statuario, il percorso espositivo racconta come il bianco sia sempre stato capace di ergersi a superficie per un nuovo alfabeto, tanto da arrivare ad acquisire una completa autonomia ed essere considerato opera d’arte tout court.

Sebbene nel corso dei secoli abbia antropologicamente assunto significati simbolici spesso ambivalenti – pulizia, purezza e religiosità, ma anche lutto, morte e malvagità – le teorie del colore del XX secolo hanno dibattuto su come considerarlo: se tale come colore o piuttosto come un vuoto, un’assenza. Così la conquista al concetto di monocromo lo ha portato, nel Novecento, a risultare una vera e propria cifra connotativa.

Grazie agli importanti prestiti dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna (GNAMC), dalla Collezione Intesa San Paolo, Collezione Famiglia Mazzoli, Collezione Fioravanti Meoni, Fondazione Piero Manzoni, Galleria Mazzoli, Repetto Gallery e Sergio Casoli, la mostra circoscrive la sua indagine alla costante presenza e variazione del concetto di bianco, aprendo un campo di riflessione sulla pittura e il suo destino.

[Paul Bril, Paesaggio fantastico © Galleria Borghese / foto Mauro Coen]

VENERE DISARMA MARTE: I FIAMMINGHI E LA VILLA DI MECENATE A TIVOLI
29 novembre 2024 – 2 marzo 2025
Santuario di Ercole Vincitore, Tivoli

La mostra intende indagare il rapporto tra Tivoli e gli artisti stranieri, fiamminghi in particolare, che alla fine del XVI secolo la elessero come meta ideale e tappa obbligata per l’incipiente fortuna del Grand Tour, spinti dall’ammirazione per le sue imponenti rovine e la forza degli elementi naturali, primo fra tutti l’acqua.

Organizzata dall’Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este – VILLÆ e curata da Andrea Bruciati, Direttore dell’Istituto, l’esposizione racconta dell’antica Tibur e di come i pittori fiamminghi tradussero il complesso architettonico oggi restituito come Santuario di Ercole, con gli antri suggestivi della via Tecta, in un’officina mirabolante di oggetti alchemici, di messaggi occulti, dove si mescolano sacro e profano.

Dopo la costruzione di Villa d’Este (1550-1572), l’antica Tibur e il complesso sacro nato in epoca romana, dedicato a Ercole e allora creduto la Villa di Mecenate, costituivano una singolare e pittoresca sintesi di elementi archeologici ed elementi naturali. Per via di questa unione, l’acropoli ha sempre esercitato una forza attrattiva singolare nello sviluppo del disegno di paesaggio tra XVI e XVII secolo e gli artisti stranieri, a Roma così numerosi, si diressero sovente a Tivoli per trovare un contesto in cui la rovina fosse inserita in modo suggestivo nell’ambiente naturale.

Dal lato della Villa di Mecenate Il sito si era arricchito paesaggisticamente anche delle cascatelle artificiali sull’Aniene, create dalla canalizzazione del fiume a seguito della costruzione di Villa d’Este; inoltre già alla fine del XVI secolo la via Tecta ospitava officine metallurgiche – insediatesi poi stabilmente all’inizio del XVII secolo – rappresentando un luogo ideale primigenio in cui, nello specifico tiburtino, i quattro elementi della natura, acqua, fuoco, aria e terra, si miscelavano e affrontavano per un nuovo ordine cosmico.

Uno scenario ideale per storie sacre e profane, per raccontare la potenza della divinità e denunciare la fragilità dell’uomo, indicando al tempo stesso la via per raggiungere la salvezza e la pace.

[Bernard Rantwyck, Le sette meraviglie del mondo: Il Mausoleo di Alicarnasso, 1611. Crediti fotografici, Gabinetto Fotografico delle Gallerie degli Uffizi]

LA MOSTRA
Il Santuario di Ercole, nume tutelare dell’antica Tibur, è luogo di elezione per questa mostra che indaga e celebra il passato del sito attraverso lo sguardo degli artisti seicenteschi che vi si recarono, spinti dall’ammirazione della sua imponente architettura e dalla forza degli elementi naturali a questa correlati.

Visitatori particolarmente assidui erano pittori fiamminghi come Paul Bril (Anversa, 1554 – Roma, 1626) e Jan Brueghel (Bruxelles, 1568 – Anversa, 1625).

In mostra Paesaggio con tempio classico e cacciatore (XVI secolo, attribuito a Paul Bril), opera proveniente dalla Galleria Borghese, fissa il paesaggio tiburtino in un’inconfondibile scenografia: la stessa ripresa da Frederik van Valckenborch (Anversa, 1566 – 1623) nei suoi lavori come Paesaggio fantastico (1595-96, già̀ attribuito a Paul Bril) e Paesaggiocon San Gerolamo (1595-1605 circa, già attribuito a Paul Bril), sempre dalla Galleria Borghese, che raccontano le vedute poi diffuse nelle Fiandre proprio dalle opere di Paul Bril e Jan Brueghel, che trasformarono in un topos figurativo i monumenti tiburtini e il paesaggio circostante.

Nel percorso espositivo anche Orfeo agli inferi (1594, Palazzo Pitti) di Jan Brueghel, che durante il suo viaggio in Italia fece prima tappa a Napoli, dove acquistò considerevole fama per i cosiddetti Inferni, opere ambientate in scenari suggestivi come le solfatare di Pozzuoli. Quando giunse a Roma (1593), tale fama gli valse il soprannome di Jan degli Inferni, con cui conquistò l’attenzione di numerosi committenti: tra questi Francesco Maria Del Monte, per il quale realizzò l’Orfeo agli inferi.

Jan Brueghel rimase talmente colpito dagli antri suggestivi della via Tecta e dalle arcate del Santuario di Ercole a Tivoli che l’inconfondibile scenario ricorre in numerose opere dell’artista, tra le quali la più significativa è Venere che disarma Marte (Getty Museum), realizzata in collaborazione con Peter Paul Rubens dopo il 1610.

Provenienti dalle Gallerie degli Uffizi le tavole di Bernard Rantwyck (notizie 1573 – ante 1596) che rappresentano Le sette meraviglie del mondo (1611), dove il paesaggio romano e tiburtino, frantumato in dettagli inconfondibili, fa da sfondo alle architetture monumentali in cui si manifesta lo spirito creatore degli dèi e degli uomini. Nella scena vi sono episodi legati alla storia dei monumenti stessi, con personaggi all’interno di quinte paesaggistiche che rappresentano il tempio di Diana a Efeso, le piramidi d’Egitto, il Colosso di Rodi, la Statua di Zeus a Olimpia, il Mausoleo di Alicarnasso, le Mura di Babilonia e il Colosseo.

Dalla collezione Spannocchi della Pinacoteca di Siena, La torre di Babele, ambito di Abel Grimmer (fine XVI – inizio XVII), Il giorno (Cristo tentato nel deserto) e Il tramonto (Cristo in Emmaus) entrambe di Johan König (Norimberga 1586 – Augusta 1642) a raccontare come i monumenti tiburtini segnarono in modo inconfondibile una scenografia che ben si presta a rappresentare il clima devozionale di quegli anni a Roma: nei quadri dei maestri il paesaggio tiburtino si popola di storie tratte dalla Bibbia e dal Vangelo e di santi in adorazione della magnificenza del creato.

C.S.m.
Comunicati stampa dicembre 2024

Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este – VILLÆ
Piazza Trento, 5 – 00019 Tivoli (Roma)
email: va-ve@cultura.gov.it
https://villae.cultura.gov.it

https://www.facebook.com/VilladEsteMibact/
https://www.facebook.com/VillaAdrianaMibac/?locale=it_IT

#VILLAE #MiC #villadeste #tivoli #garden #giardino #barocco #art #arte #fontana #lazio  #villaadriana #museum